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Nino-Migliori-dalla-serie-Gente-dellEmilia-1957di Felice Cavallaro - 31 marzo 2015
Ogni click, uno scatto di civiltà. Ogni foto, un racconto. Dai disastri della mafia alle dimore dei gattopardi. Senza perdere di vista gli occhi interrogativi dei bimbi. Dai quartieri popolari di Palermo alle strade di Panjim o Bombay. Con un intreccio di Sicilia e India in cui si specchiano le vite di Letizia e Shobha, madre e figlia, spesso lontane, ma vicinissime per le tante battaglie della Battaglia.

Un cognome che calza con le due signore della fotografia cresciute in una terra amata e ripudiata fra altalene di delusioni e speranze. Chiara e dolce come la madre, Shobha ha rinunciato da 40 anni al cognome cancellando anche il vero nome, Angela, da nessuno ormai pronunciato. Nemmeno da Letizia, adesso giovanissima ottantenne fresca di compleanno esaltato anche dalla coincidenza degli auguri inviati dal neo presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da lei catturato nello scatto del 1980, un minuto dopo l’agguato mortale al fratello, Piersanti. Con lei per un caso sul luogo del delitto senza sapere chi avessero ucciso e chi stesse fotografando.

Emblematico dettaglio di una delle eccezionali sequenze per documentare lo scempio di Cosa Nostra sul vecchio glorioso «L’Ora». Un racconto scritto in bianco e nero con Franco Zecchin, un maestro della Magnum allora esordiente fra i geni che passavano dal «laboratorio d’If», l’invenzione di Letizia, dove s’affacciavano Cartier Bresson e Josef Koudelka, Ferdinando Scianna, Graciela Iturbide e Cristina Rodero, ovvero giovani destinati ad altre esperienze, come accadde a Filippo La Mantia, lo chef adesso lontano da quella trincea dove scattò la foto di una testa sgozzata dalla mafia.

Orrori esposti con sgomento in quel laboratorio dove si modellò la mano di Shobha, pronta a volare nel 1976 in India, poi in America, a Cuba, collezionando premi, compreso il World Press Photo che le procurò un invito a Bagdad l’anno prima della guerra in Iraq, ammessa alla festa di compleanno per Saddam Hussein, ritratto con tutti i colonnelli poi uccisi.


Scopriva il mondo Shobha per rientrare con rabbia, di tanto in tanto, nella sua terra, controllarne la malattia
, constatare l’effetto degli antidoti offerti dalla madre che con Giuliana Saladino, Simona Mafai, Lina Colajanni, Rosanna Pirajno e tante altre donne di una Palermo perbene, accendevano la luce di catene umane, lenzuoli bianchi, riviste controcorrente, compresa una casa editrice non a caso denominata «Edizioni della Battaglia».

Appunto, una battaglia continuata anche sul fronte politico, sulle barricate della «primavera» di Leoluca Orlando, accettando l’elezione all’Assemblea regionale con Letizia pronta a replicare con un «tié» se chiamata «onorevole».

Letizia Battaglia, Palermo, «La bambina col pallone», 1980

Ecco una vita professionale che comincia nel dicembre del 1972 al Circolo Turati di Milano quando Letizia si ritrova a fotografare Pier Paolo Pasolini infuriato contro i violenti attacchi ai suoi Racconti di Canterbury, 32 immagini diventate una mostra, anche se allora «non sapevo di essere una fotografa, non sapevo nulla di regole, contrasti, controluce».

Poi è diventata una maestra. Anche per Shobha decisa a miscelare professione e volontariato, come fa da un piccolo villaggio indù di nome Saipem, un fiume e una foresta di palme da cocco, vicino alla capitale Panjim. Da qui lavora al progetto Mother India School, collabora con le donne chirurgo «Women for Women» come le capita di fare in Bangladesh per le vittime sfigurate dal vetriolo, vola in Sri Lanka per la storia di una bimba nata in un cimitero. Una bimba che ha adottato.

Da sinistra, Shobha, Baronessa Maria Cultrera di Montesano con Concetta Monelli, casa Monelli, Ragusa Ibla, 1998

Tanti i punti di incrocio fra madre e figlia, a volte offerti dai premi. Come nel 2008, insieme in Cina al Festival des Tops, nel 2012 con la mostra «Falcone eroe italiano» a Washington, nel 2013 a Caltagirone per le carriere sintonizzate sui diritti civili. Sempre a colpi di click.

Come vogliono continuare a fare con un progetto che illumina gli occhi di Letizia, «un centro internazionale di fotografia» da aprire a Palermo entro un anno, esponendo le foto dei grandi passati dalla Sicilia: «Da Robert Capa a Bresson, da Leonard Freed a Gabriele Basilico… Per fare rinascere attorno a loro uno scambio culturale fra noi e il mondo».

27esimaora.corriere.it

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