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di Omero Ciai - 22 febbraio 2014
Da tre settimane migliaia di persone in piazza contro il governo chavista. Durissima la repressione. Il Paese al collasso economico

Venezuela, dilaga la protesta contro Maduro: otto morti

Appena un anno per dissipare l'eredità politica di Hugo Chávez, il leader della rivoluzione bolivariana in Venezuela, morto il 5 marzo del 2013. Dopo l'esigua vittoria elettorale alle presidenziali dell'aprile di un anno fa, Nicolas Maduro si trova a fronteggiare la più grande rivolta sociale dai tempi dello sciopero di Pdvsa, la holding del petrolio, nel 2002. Da tre settimane migliaia di dimostranti, all'inizio soprattutto studenti, liceali e universitari, protestano per la crisi economica, l'inflazione senza freni (60%), la scarsità ormai congenita di numerosi prodotti di prima necessità, dallo zucchero alla farina, la criminalità dilagante. Otto persone sono già morte negli incidenti, l'ultima era un sostenitore del presidente Maduro. Vie d'uscita non se ne vedono. Il più radicale fra i leader dell'opposizione al governo chavista, Leopoldo Lopez, continua ad incitare dal carcere i giovani a scendere in piazza, a "non arrendersi", con l'obiettivo dichiarato di costringere Maduro a cedere, a scendere a patti, a lasciare il potere e convocare nuove elezioni. Maduro si arrocca sempre di più, invia la Guardia Nazionale (l'esercito) a reprimere le manifestazioni. Fa volare i caccia militari sui cortei e lascia liberi di agire i cosiddetti "colectivos", una sorta di formazioni paramilitari armate nate nei "cerros", le favelas di Caracas, che rappresentano il nocciolo più duro e radicale della rivoluzione bolivariana. E che sono disposti a difenderla comunque con le armi.


La situazione del Paese è drammatica: scarseggia perfino la carta per stampare i giornali. Le tv, negli anni, sono state tutte conquistate dai chavisti. Prima quelle statali, dove l'unica narrazione consentita dei fatti è quella del governo, poi quelle private. Chiuse, minacciate o comprate. Così in questi giorni di proteste le uniche televisioni che danno fastidio a Maduro, una rete satellitare colombiana e la CNN, sono sotto scacco. La tv colombiana viene censurata mentre ai reporter della CNN sono stati ritirati di accrediti per lavorare e, già ieri pomeriggio, la anchorwoman Patricia Janiot e la sua troupe hanno lasciato il Venezuela. Anche Twitter viene oscurato. Dal 12 febbraio, secondo l'organizzazione locale della stampa, 55 giornalisti, compresi corrispondenti stranieri, sono stati aggrediti e picchiati.

L'opposizione è spaccata nettamente in due fronti. Da una parte c'è Henrique Capriles, governatore dello Stato di Miranda, ed ex candidato presidenziale sconfitto d'un soffio ad aprile da Maduro, che rifiuta la strategia delle proteste di piazza e teme che in questo modo la situazione possa solo radicalizzarsi con una repressione sempre più dura. D'altra c'è Lopez che invece è convinto che la protesta può crescere fino a diventare insostenibile per il governo ed essere la spallata che costringerà Maduro a cedere il potere.

Intorno il contesto è variegato. Gli Stati Uniti, che sono ancora il maggior importatore del greggio venezuelano, hanno protestato e chiesto la liberazione delle centinaia di giovani arrestati nel corso degli incidenti. Per Maduro si tratta di "ingerenza" negli affari interni e come risposta ha espulso tre diplomatici dell'ambasciata Usa con l'accusa di incitare i rivoltosi. I Paesi latinoamericani, Brasile in testa, per lo più girano lo sguardo da un'altra parte. Molti, come Uruguay, Ecuador e Argentina, dipendono per i loro deficit di energia dalle regalie di petrolio volute da Chávez e proseguite da Maduro. Il Brasile ha molti investimenti in Venezuela. Mentre un discorso a parte andrebbe fatto per Cuba, vero padre-padrone e punto di riferimento ideologico dell'attuale dirigenza bolivariana.

Oggi la situazione potrebbe degenerare di nuovo, a Caracas sono previste due marce: una dell'opposizione per chiedere la liberazione di Lopez, rinchiuso in un carcere militare in attesa di processo; l'altra dei sostenitori di Maduro. Nel Tachira, uno stato al confine con la Colombia, il governo ha dichiarato lo stato d'assedio e utilizzato battaglioni di paracadutisti per reprimere le proteste, mentre emergono dettagli sulla violenza. Due studenti hanno raccontato di essere stati torturati in carcere. Li avrebbero picchiati più volte e violentati con le canne dei fucili.

repubblica.it

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