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vérémiï-viatcheslav"Era uno dei nostri migliori giornalisti, aveva seguito tutta la rivolta". Viatcheslav Vérémiï avrebbe compiuto 33 anni due giorni dopo la morte. Stava tornando a casa in taxi dopo una giornata di lavoro. Il reporter era già stato ferito a gennaio, un pestaggio che gli aveva provocato problemi agli occhi ma non gli aveva impedito di lavorare.
di Veronica Fernandes - 20 febbraio 2014
Kiev. E' morto con la telecamera in mano, Viatcheslav Vérémiï (in foto), cercando di filmare i suoi aggressori. Firma di punta del quotidiano ucraino Vreme, stava tornando a casa in taxi dopo una giornata di lavoro quando un commando di uomini incappucciati lo ha aggredito e crivellato di colpi di pistola. Aveva appena finito di scrivere un articolo, racconta il suo caporedattore, Igor Guzhva.

Come è avvenuta l'aggressione?
Il suo taxi è stato bloccato da un gruppo di persone mascherate. Lui ha subito capito che si trattava di un'aggressione, ha tirato fuori la telecamera e ha iniziato a documentare quello che stava succedendo. Lo hanno trascinato fuori dall'auto e picchiato, poi gli hanno sparato. Era in un lago di sangue, ci ha detto il tassista. Anche lui è stato colpito selvaggiamente ma oggi è vivo mentre il nostro collega è morto.

Che giornalista era Viatcheslav Vérémiï?
Era sempre in prima linea, soprattutto da quando bisognava raccontare che cosa stava succedendo qui a Kiev. Da novembre ha seguito tutte le proteste, è anche rimasto coinvolto. Il 16 gennaio lo hanno picchiato, da quel momento ha sempre avuto problemi agli occhi ma non ha mai smesso di lavorare.

Ora cosa succederà alla sua famiglia?
Viatcheslav Vérémiï avrebbe compiuto 33 anni tra due giorni, il 22 febbraio, era sposato e con un bimbo di 4 anni. La sua famiglia è disperata per la perdita e preoccupata per il futuro. Il nostro giornale farà di tutto per stare loro vicino e anche dare un supporto economico per risollevarsi.

Un lutto per voi gravissimo e oggi altri 17 morti. Come si lavora in queste ore?
Il clima è teso, sappiamo che il nostro Paese ha bisogno del nostro lavoro ma io ho molta paura e vorrei che i giornalisti non si esponessero al pericolo. Ma so che in questo momento lavorare vuole dire essere in pericolo, la situazione è imprevedibile, per il prossimo futuro immaginiamo solo altro sangue e altri morti, è terribile.

rainews.it

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