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battaglia robertoOstia, via la tutela all’imprenditore che gestisce i forni sequestrati al clan Fasciani
di Ilaria Sacchettoni
Roma. La telefonata, cortese ma asciutta, risale a martedì scorso: "Mi toglieranno la scorta, da sabato sarò solo" spiega. Roberto Battaglia, 48 anni, vive a Ostia dove, fra le molte difficoltà di un territorio infiltrato, continua a gestire i forni del pane sequestrati al clan dei Fasciani. In qualche modo si tratta di una seconda vita imprenditoriale. La prima era bruciata sei anni fa, nel rogo della sua impresa casearia: una vendetta dei Casalesi per gli arresti subiti dopo le sue denunce. Imprenditore, testimone di giustizia, vittima dei clan, impegnato contro gli Schiavone ma anche contro Michele e Pasquale Zagaria (quest’ultimo condannato grazie anche alla sua testimonianza), Battaglia si dice prigioniero di un paradosso istituzionale: "Da un lato lo Stato fa appello agli onesti perché, con i loro comportamenti, resistano alle mafie, dall’altro li abbandona quando lo fanno". In effetti all’indomani dell’udienza del processo Spada che ha rivelato il clima di intimidazione che soffia sul litorale laziale, le sue parole suonano come una conferma. Le motivazioni della decisione prefettizia non si conoscono, manca l’ufficialità di una lettera, ma dal passato affiora un precedente. Diviso fra il casertano e il litorale romano, Battaglia si era visto limitare la scorta durante i suoi spostamenti fra Caserta e la provincia. Lo Stato aveva deciso di tutelarlo part time, solo a Ostia: "È successo due anni fa. Feci ricorso al Tar e lo vinsi". Problemi di costi? Può darsi. Ora ecco la novità. La patente di attendibilità ricevuta dai giudici del tribunale di Santa Maria Capua Vetere sembra non essere servita. Eppure, proprio in virtù di quella patente ("La vera forza probante delle dichiarazioni del Battaglia deriva non solo e non tanto dal positivo giudizio di attendibilità intrinseca delle stesse bensì dai numerosi elementi di riscontro documentale" scrivono i giudici) l’imprenditore è chiamato a rendere una nuova testimonianza davanti alla Corte d’Appello di Napoli il prossimo 19 giugno: "Andrò a fare il mio dovere" annuncia. Ricorda, poi, come in questi due anni a Ostia non siano mancate intimidazioni e messaggi: "La notte del primo marzo 2017 - racconta - la mia auto è stata speronata, ho dovuto rifugiarmi in una caserma per strada". Poi sono arrivati gli sputi davanti ai forni dei Fasciani. E ancora: vetrine in frantumi e visite dei parenti del clan, come Terenzio Fasciani. Timori, Battaglia? "So che questo non è solo un Paese di burocrati - dice - ma ci sono persone degne di rispetto come il procuratore Cafiero de Raho al quale ho testimoniato la mia stima. A volte penso di andare via da questo Paese. Ma è la mafia che deve andarsene. Non gli imprenditori onesti. Non so se torneranno sulla loro decisione ma intanto vorrei ringraziare i ragazzi della scorta che fin qui mi hanno sopportato".

Corriere della Sera

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