Il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero che dovrà istruire nuove indagini
di Maria Elena Vincenzi
Tutto da rifare: non sono minacce ma "tentata violenza privata". Lo ha stabilito il giudice monocratico del tribunale di Roma nell'ambito del processo che vede imputato Armando Spada di minacce ai danni della cronista di Repubblica Federica Angeli. Per questo gli atti devono essere rinviati al pubblico ministero che dovrà istruire nuove indagini.
Armando Spada era accusato di aver minacciato di morte la giornalista di Repubblica Federica Angeli che insieme a due operatori Luca Ferrari e Marco Fagnocchi era andata allo stabilimento Orsa Maggiore di Ostia per un’inchiesta sulle infiltrazioni della criminalità organizzata negli stabilimenti balneari di Ostia.
“Te sparo in testa”, le aveva detto Spada. Il pubblico ministero aveva chiesto un anno di reclusione, mentre gli avvocati della difesa avevano auspicato l’assoluzione. Il legale di parte civile, Giulio Vasaturo, ha auspicato un risarcimento da 50mila euro da donare, per volere della stessa Angeli, alle associazioni che sostengono i giornalisti minacciati.
Federica Angeli aveva raccontato in aula il 19 febbraio le minacce subite da Armando Spada all'interno dello stabilimento. Una testimonianza di un'ora nella quale la giornalista ha ripercorso i lunghi attimi del 23 maggio 2013, giorno in cui è stata rinchiusa all'interno di una stanza e minacciata "perché stavo facendo il mio lavoro d'inchiesta".
Non erano mancati momenti di forte emozione, in particolare quando la giornalista ha raccontato della sua vita, e di come è cambiata dal momento in cui le è stata data la scorta, proprio in seguito
alle sue denunce: "Il prefetto chiamò il giornale e in poco tempo la mia vita è cambiata. Da quel giorno non ho più la libertà che avevo prima", ha spiegato. Voce tremolante e occhi lucidi aveva proseguito: "Da allora devo viaggiare sempre sotto scorta. Non posso neanche affacciarmi al balcone. Spiegarlo ai bambini è stato difficile. Ho tre figli. È tutto cambiato. Non posso nemmeno portarli a prendere il gelato".
roma.repubblica.it
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