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furto casa nipote messina denarodi Egidio Morici
Come leggere il furto nella casa di campagna di Francesco Guttadauro, “nipote prediletto” di Matteo Messina Denaro?
Ladri sprovveduti, che non sapevano quale casa della contrada Strasatto stessero violando, oppure un messaggio intimidatorio contro il boss?
Al momento è difficile dirlo. La procura di Marsala e i carabinieri di Castelvetrano non stanno tralasciando nessuna ipotesi su quanto accaduto tra il 5 e il 6 gennaio: infissi forzati, telai delle porte divelti, quadri e oggetti di valore rubati, oltre ai cavi di rame del sistema elettrico.
Il particolare principale però è quello dei mobili ammassati al centro di una stanza, sul quale però non si hanno al momento informazioni dettagliate che potrebbero fare la differenza tra uno scenario ed un altro.
Se le masserizie fossero state “semplicemente” raggruppate nella parte centrale delle varie stanze e non accatastate a formare un cumulo, si potrebbe anche pensare che i malviventi cercassero una cassaforte a parete o un qualche nascondiglio situato dietro gli stessi mobili.
Sarebbe difficile immaginare che ladri interessati a portar via oggetti di valore, o magari denaro contante, possano aver pensato di bruciare tutto. Cosa che per altro non hanno fatto, forse a causa di un imprevisto che ha interrotto l’azione, o forse perché proprio non era nei loro piani.
Al contrario, volendo prendere in considerazione l’ipotesi dello sgarbo al boss, risulterebbe abbastanza anomalo il furto dei cavi elettrici, che invece farebbe pensare di più ai ladri di rame.
Inoltre ci si chiede quale potrebbe essere la paternità dell’eventuale gesto intimidatorio: un interlocutore scontento del superboss? Una cosca emergente sconosciuta perfino nelle dinamiche delle ultime operazioni antimafia?
Tra l’altro alcune vecchie operazioni antimafia sono state possibili proprio grazie ad intercettazioni da cimici e microcamere posizionate dagli investigatori proprio a pochi metri dalla villetta. Oggi i Guttadauro (padre e figlio) sono in carcere, ma è probabile che proprio per la caccia al latitante, la zona in questione sia ancora sotto monitoraggio. Siamo proprio sicuri che agli autori (o mandanti) del raid punitivo-intimidatorio la cosa possa essere sfuggita? Il rischio di essere intercettati e poi scoperti sarebbe stato davvero elevato.
Il massimo riserbo nelle indagini ci impedisce al momento di sapere se l’azione sia stata filmata o meno da telecamere. Una di queste per esempio aveva ripreso l’incontro tra Giovanni Filardo e Filippo Guttadauro, cognato e cugino di Matteo Messina Denaro, proprio a due passi da quell’abitazione. Immagini ed intercettazioni finite nell’operazione Golem 2 del marzo del 2010, quindi non proprio recentissime, ma certamente conosciute negli ambienti di cosa nostra.

Ad ogni modo, anche se non si esclude la pista dei ladri sprovveduti, venuti “da fuori” e quindi senza le informazioni necessarie sulla pericolosa proprietà di quell’azienda agricola dove sorge la casa oggetto di furto e danneggiamento, si ha l’impressione che la mafia non riesca più a controllare come un tempo il territorio in termini di microcriminalità.
In questo senso appaiono ancora più illuminati e grottesche le parole emerse dalle intercettazioni dell’operazione antimafia Eden 2, dove a lagnarsi del comportamento spregiudicato della microcriminalità castelvetranese era addirittura Rosario Cacioppo, poi arrestato per mafia e condannato a 10 anni e 10 mesi. Aveva dato un passaggio in macchina ad un certo Piero che gli raccontava di essere stato arrestato in flagranza per furto. Il Cacioppo, col chiaro intento di redarguirlo, gli diceva che anche il cognato di Matteo Messina Denaro (Gaspare Como) non era molto contento delle attività delinquenziali dei piccoli pregiudicati di Castelvetrano, riportando le sue parole un po’ come monito a fare il bravo: “Castelvetrano è diventato un paese che sono tutti “alla rotta” (allo sbando, ndr), sparano pure ai cartelli… vanno facendo un mare di danno, quando è successo, gli abbiamo detto: ‘Picciotti… datevi una regolata, perché vedi che qua succedono cose brutte! Picciotti, finitela di fare danni!’ e uno mi risponde dice: ‘Io sono ladro di trattori…’, quello mi fa: ‘Io mi faccio le persiane alla Triscina!’, Nicola dice: ‘Io sono ladro di appartamento!’… Si gira il cognato di Mattè, dice: ‘Ma tu lo hai come mestiere allora!’ […] ‘Allora picciotti, vi dico una cosa: uomo avvisato, mezzo salvato… Vedi che piange il peccato per il peccatore (il giusto per il peccatore, ndr)! Finitela perché praticamente succede una guerra! Perché ci sono lamentele… per dire picciotti, date una sistemata a questi… oh…”.

Oggi è come se chi dovesse dare “una sistemata a questi”, essendo ormai in galera, non potesse più occuparsi del controllo violento del territorio.
Ricordiamo il pestaggio da parte della famiglia mafiosa nei confronti del tizio che avrebbe rubato l’oro della madre di Matteo Messina Denaro custodito a casa dei genitori di Peppe Fontana, dopo che quest’ultimo aveva scontato una lunga condanna per traffico di droga.
Arrivarono da Palermo per convincere il presunto ladro a restituire la refurtiva, rompendogli le costole e riducendolo in una pozza di sangue. Un pestaggio così duro da spaventare lo stesso Fontana che, pur essendosi rivolto alla “famiglia” per riavere il maltolto, non si aspettava una reazione così eccessiva.

Ma al di là dei possibili retroscena e delle possibili conseguenze, resta il fatto che a denunciare il furto della casa di contrada Strasatto sia stata Rosalia Messina Denaro, sorella del superboss. Un gesto atipico, se inquadrato nell’ambito di possibili aspettative di giustizia, storicamente demandate a figure non proprio istituzionali nel senso classico del termine. Chissà, un segno del cambiamento dei tempi. Oppure la consapevolezza che, visto il probabile monitoraggio della casa da parte degli inquirenti, fare la denuncia ai carabinieri poteva essere forse la scelta più sensata.

Ma chi sono i Guttadauro?
Francesco, proprietario della casa oggetto del recente furto, è in carcere con una condanna a 16 anni per mafia, arrestato nell’operazione “Eden” nel dicembre del 2013, figlio di Filippo e di Rosalia Messina Denaro.
Filippo, già accusato di associazione mafiosa nel 1997, nel recente passato prima del nuovo arresto del 2006, si occupava della comunicazione “via pizzini” tra Matteo Messina Denaro (nome in codice “Alessio”) e Bernardo Provenzano. Il suo nome in codice era “121”.
Giuseppe, fratello di Filippo, era il capomafia di Brancaccio. La sua voce era stata registrata in varie intercettazioni mentre conversava con Mimmo Miceli, ex assessore alla sanità nella città di Palermo. Quest’ultimo aveva appreso della presenza delle cimici da Totò Cuffaro e, prima che Guttadauro le scoprisse, gli investigatori lo ascoltarono mentre descriveva come la mafia avesse finanziato la campagna elettorale di Totò “vasa vasa” a governatore della Sicilia.

Una cosa è certa. Braccati dalle forze dell’ordine e contemporaneamente anche da chi invece non va poi tanto per il sottile, gli autori del furto, chiunque essi siano, non staranno certo dormendo sonni tranquilli.

Tratto da: tp24.it

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