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Rinvio a giudizio chiesto anche per Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento
di Aaron Pettinari

Nello stesso giorno in cui Nino Agostino e Ida Castelluccio (uccisi il 5 agosto 1989 all'ingresso dell'abitazione estiva della famiglia Agostino, a Villagrazia di Carini) avrebbero festeggiato il loro trentunesimo anniversario di nozze la Procura generale di Palermo è stata notificata alle parti la richiesta di rinvio a giudizio, da parte della Procura generale di Palermo diretta da Roberto Scarpinato, nei confronti dei due boss accusati del duplice omicidio, Antonino Madonia e Gaetano Scotto, e per Francesco Paolo Rizzuto, l'amico del poliziotto, accusato di favoreggiamento aggravato.
L'udienza preliminare si terrà davanti al gup, Alfredo Montalto (già Presidente della Corte d'Assise di Palermo che ha emesso la sentenza nel processo trattativa Stato-Mafia), il 10 settembre.
Una notizia che restituisce nuova speranza all'intera famiglia Agostino e soprattutto al padre Vincenzo, che da anni mantiene lunga la propria barba, proprio in attesa di verità e giustizia. Una richiesta che si fa ancora più incessante da quando, lo scorso anno, sua moglie Augusta è deceduta, lasciando un grande vuoto, ma al tempo stesso rafforzando lo spirito di lotta.

I fatti
La Procura generale, rappresentata dai sostituti procuratori generali Nico Gozzo (oggi alla Dna) e Umberto De Giglio, avvalendosi del contributo investigativo della Dia ha approfondito ogni elemento che è emerso in questi 31 anni passati da quella tragica sera del 5 agosto, in particolare esplorando quei segmenti che facevano emergere l'esistenza di intersezioni pericolose tra mafia e ambienti deviati dei servizi segreti.
Pochi dubbi sul fatto che a sparare furono due killer giunti a bordo di una moto di grossa cilindrata, successivamente rinvenuta parzialmente bruciata non distante dal luogo dell'eccidio. Tuttavia le indagini si rivelarono sin dal primo momento particolarmente complesse, principalmente per alcune evidenti anomalie.
E' un fatto noto che l'omicidio, in un primo momento, fu etichettato come “delitto passionale” (una vendetta dei familiari di un’ex fidanzata di Nino, ndr) dal capo della Squadra Mobile Arnaldo La Barbera, ovvero colui che secondo i giudici avrebbe avuto un ruolo determinante nel depistaggio della strage di via d'Amelio, con la costruzione del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Il primo tentativo di depistaggio che proseguì immediatamente dopo quando furono fatti sparire documenti che sarebbero stati preziosissimi per il lavoro degli organi inquirenti: quelle carte che il poliziotto Agostino teneva nell’armadio di casa sua. Vincenzo Agostino ha raccontato più volte che “mio figlio nel portafogli portava un biglietto, quando lo presi e lo lanciai contro il muro, nel giorno del delitto, venne trovato questo pezzo di carta in cui c’era scritto di andare a cercare dentro il suo armadio nel caso in cui gli fosse successo qualcosa”. Quegli appunti, però, furono fatti scomparire. E il dato emerge nelle inquietanti parole di un ex poliziotto, Guido Paolilli, indagato per favoreggiamento e poi archiviato per prescrizione.
La Procura generale ha cercato di ricostruire, dunque, la causale del delitto.
Sin dalle prime indagini e dalle dichiarazioni dei suoi "superiori", Antonino Agostino appariva essere un agente addetto al servizio "volanti" del Commissariato di Palermo - San Lorenzo, che non aveva mai svolto attività investigativa né, tantomeno, ricoperto incarichi sensibili.
Ma la verità era differente. Purtroppo l'accertamento dei fatti in questi anni è stato ostacolato dalla iniziale reticenza di varie persone informate della operatività segreta di Agostino nell'ambito di una struttura di intelligence, accompagnato dalla sostanziale assenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Secondo gli investigatori due dati che sono indice del peculiare regime di segretezza che aveva caratterizzato l'ultimo segmento di vita di Agostino e che evidenziano come le ragioni della sua morte dovevano restare occulte anche all'interno di cosa nostra.
La Procura generale e la Dia hanno ricostruito una serie di attività condotte dal poliziotto, tra cui "mansioni coperte" che esulavano dai suoi compiti ordinari istituzionali, con particolare riferimento ad iniziative assunte unitamente ad esponenti di spicco dei Servizi di sicurezza ed apparentemente finalizzate alla ricerca di latitanti di mafia di spicco.

Le dichiarazioni dei pentiti su killer e movente
Si dà atto dell'acquisizione di dichiarazioni da parte di alcuni collaboratori di giustizia sugli esecutori materiali del delitto, indicati in Gaetano Scotto e Antonino Madonia, ed anche sul movente che, scrivono gli inquirenti, "è ambientato nel torbido terreno di rapporti opachi tra componenti elitarie di cosa nostra ed alcuni esponenti infedeli delle Istituzioni". E poi ancora: "E' emerso in particolare, nella ricostruzione della Procura Generale ora al vaglio del Gup, che Agostino faceva parte, insieme a Emanuele Piazza, Giovanni Aiello (il c.d. mostro), Guido Paolilli (anche lui Agente della Polizia di Stato e mentore dello stesso Agostino, che aveva provveduto a reclutare), ed altri componenti allora apicali dei Servizi di sicurezza, di una struttura di intelligence che, in fase di reclutamento, veniva rappresentata con finalità di ricerca latitanti, ma che in realtà si occupava di gestire complesse relazioni di cointeressenza tra alcuni infedeli appartenenti alle Istituzioni e l'organizzazione criminale cosa nostra".
"E' emerso - si legge ancora, con riferimento a molteplici prove - che Agostino aveva, nell'ultima parte della sua vita, compreso le reali finalità della struttura cui apparteneva (alla quale aveva offerto una pista molto seria - legata a familiari della moglie - per pervenire alla cattura di Salvatore Riina a San Giuseppe Jato), e se ne era allontanato poco prima del suo matrimonio, fatto che era stato posto a fondamento della decisione di uccidere lui e la moglie".
Le indagini si sono dunque concentrate sui rapporti tra appartenenti alle Istituzioni con i due boss Antonino Madonia, incontrastato capo del mandamento di Resuttana, e Gaetano Scotto, anche lui appartenente allo stesso mandamento e da sempre indicato come trait d'union con appartenenti ai Servizi di sicurezza.
E sul punto sono stati acquisiti i contributi dichiarativi, e dovranno essere valutati dal Gup, dei collaboratori di giustizia Vito Galatolo, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo, Giuseppe Marchese e Francesco Onorato, ma anche di testimoni vicini all'Agostino, come colleghi e familiari. Nella richiesta di rinvio a giudizio, inoltre, sono state inserite anche le intercettazioni telefoniche, che hanno dimostrato il coinvolgimento della struttura in alcuni importanti depistaggi.

Il lavoro con Falcone
Agli atti compaiono anche le indagini condotte dalla DDA di Palermo e acquisite dalla Procura Generale, che hanno messo in evidenza i rapporti di Agostino con il giudice Giovanni Falcone nella fase in cui questi stava conducendo indagini delicatissime sulla cosiddeta "pista nera" per l'omicidio del Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella.
Infatti, l’agente del commissariato San Lorenzo sarebbe stato impegnato anche in un delicatissimo servizio di scorta nei confronti dell’ex estremista di destra, Alberto Volo, che tra il 28 marzo ed il 18 maggio, veniva interrogato in gran segreto in Procura da Falcone.

Il ruolo di Francesco Paolo Rizzuto
Nel contesto delle nuove indagini è emersa la figura di Francesco Paolo Rizzuto, detto "Paolotto", nell'anno 1989 ancora minorenne (aveva 16 anni, ndr), amico personale di Antonino Agostino.
Rizzuto, come risulta in atti, al momento del duplice omicidio si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con Antonino Agostino ad una battuta di pesca. Successivamente, i due avevano dormito presso l'abitazione estiva degli Agostino a Villagrazia di Carini. La mattina dopo, Agostino si sarebbe recato in ufficio, mentre Rizzuto si sarebbe attardato presso gli Agostino.
Scrive la Dia che in merito "è stato possibile raccogliere prove, attraverso attività tecniche riservate, che ora sono al vaglio del GUP, sul fatto che Rizzuto, in più occasioni, abbia reso dichiarazioni false, contraddittorie e reticenti in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto ed, in generale, su quanto a sua conoscenza (tale è la contestazione della Procura Generale). Tramite intercettazioni, risulta che lo stesso ha dichiarato ad un proprio congiunto di aver visto Agostino a terra sanguinante e di essersi sporcato la maglietta indossata piegandosi sul corpo ormai esanime dell'amico, per poi fuggire buttando via l'indumento, precisando di non aver mai riferito tale circostanza quando venne sentito, poco dopo l'omicidio, dagli organi inquirenti". E' questo il motivo per cui "l'amico" di Agostino, oggi si trova indagato con l'accusa di favoreggiamento personale aggravato.

Le parole di Vincenzo Agostino e Fabio Repici
Raggiunto da Italpress, con emozione, Vincenzo Agostino esprime gioia, ma anche amarezza: "Questa svolta nelle indagini doveva esserci già 31 anni fa. Io non posso fare altro che ringraziare la Procura generale che ha avocato a sé le indagini e ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Finalmente hanno saputo leggere bene le cose come stanno. Non posso che essere contento, e spero che mia moglie, se c'è un aldilà, ora riposi in pace anche lei. Insieme, abbiamo lottato tutta la vita per sapere i nomi di chi ci ha strappato nostro figlio. Non posso dimenticare che per 31 anni la mia famiglia ha chiesto la verità e poi, solo ora, è venuto fuori che mio figlio collaborava con Giovanni, con le istituzioni sane. Mio figlio è stato un eroe che voleva combattere il malcostume che c'era nelle istituzioni. Ho sempre avuto fiducia nelle istituzioni ma se avremo giustizia - conclude - vuol dire che finalmente qualcosa è cambiato".
Di "giornata storica" ha invece parlato l'avvocato Fabio Repici, raggiunto dall'AGI: "Dopo una lotta titanica dei genitori di Nino Agostino alla ricerca di verità e giustizia siamo di fronte a una giornata storica. Un percorso che ora non può più fermarsi, i familiari di Nino aspettavano da 30 anni questo giorno che finalmente è arrivato".
Repici si è poi soffermato sulle difficoltà emerse in questi anni per giungere fino all'udienza davanti al Gup, che dovrà decidere sul rinvio a giudizio: "La distanza dall'omicidio, 31 anni tra poco più di un mese, è invece il precipitato di una mole imponente di 'depistaggi' posti in essere da importanti esponenti istituzionali che hanno giocato contro la verità, la giustizia e la memoria di Nino e Ida". Depistaggi che sono partiti da lontano. "Il primo - ha ricordato il legale - è avvenuto con la distruzione da parte dell'ispettore Paolilli degli appunti riservati del poliziotto Agostino. Successivamente il depistaggio assunse dimensioni enormi e scandalose con l'informativa di Arnaldo La Barbera che, a un mese dal duplice omicidio, lo classificò come 'delitto passionale'". Per quanto riguarda le accuse nei confronti di Antonino Madonia e Gaetano Scotto Repici ha rimarcato proprio il ruolo di entrambi all'interno delle "gerarchie di Cosa Nostra a causa del loro ruolo anfibio a metà tra Mafia e apparati deviati dello Stato". "La loro partecipazione al delitto - ha detto ancora i legale - è la prova che l'omicidio del poliziotto Agostino e della moglie è stato compiuto a mezzadria da Cosa Nostra e da infedeli rappresentanti istituzionali". Un delitto, a parere di Repici, "marchiato da nefandezze commesse nel 1989, ma anche negli anni precedenti e successivi da settori della Polizia di Stato e del Sisde". A dimostrare questa tesi, ha spiegato ancora il legale, è il nome che manca tra gli imputati. "Quello dell'ex poliziotto Giovanni Aiello, - ha detto - arruolato informalmente nei servizi segreti, e che manca solo a causa della sua morte". Infine ha concluso: "La celebrazione del processo è un bene prezioso donato dalla famiglia Agostino con i suoi sforzi a beneficio dell'intera nazione".