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di Davide de Bari - Video
Il consigliere togato intervenuto in diretta streaming alla presentazione del libro “Dialogo sulla corruzione”

"Quello della corruzione è un fenomeno di cui in Italia c’è una scarsa percezione, laddove si vuole tenere sotto silenzio l’indicazione di organi internazionali, come Transparency, che evidenziano come questo fenomeno si sia evoluto radicandosi in un sistema burocratico-politico italiano. Per cui non mi stupisce che non sia stata utilizzata una chiave di lettura non burocratica su questa vicenda”. E’ così che è intervenuto il consigliere togato del Csm, Sebastiano Ardita, per anni pm antimafia a Catania, durante la presentazione del libro “Dialogo sulla corruzione”, scritto da Michele Pennisi e Claudio Sammartino. L'incontro-dibattito è stato trasmesso in diretta streaming su Facebook in collaborazione con “Sicilian Post”. Secondo il pm “è un bene” che nel confortato alla corruzione “ci siano strutture come l’ANAC”, ma chi le dirige deve “l’anima di saper dove guardare oltre le forme e le carte, e non che non sa dove si trova il problema”. “Come ricorda monsignor Pennisi è inutile rifugiare la Chiesa dietro uno spazio sacramentale di fede, - ha aggiunto - perché ognuno la fede se la fa a modo proprio. Se uno vuole incidere, se quando ha davanti a sé una situazione sporca di personaggi borderline, c’è bisogno dirli io non ti do i sacramenti, compiere un atto di rottura”.
Per il magistrato il fenomeno della corruzione in Italia non è contrastato adeguatamente. “Sul piano normativo non c’è una risposta completa di fronte al fenomeno, - ha detto - perché c’è una grande confusione e quindi noi abbiamo due tipi di carenze di una normazione, che sia capace di superare le pastoie burocratiche, di dare linfa a una amministrazione attiva, di gente attenta che sa vedere gli impicci, di vedere dietro quale azienda c’è la mafia”. E proprio il rapporto tra mafia e corruzione “è molto determinato nelle parole di Pennisi e Sammartino” in quanto “questi due fenomeni sono molto incrociati”. “Il vero problema nel nostro Paese è il fatto - ha continuato il consigliere togato - che non si riesce a dare una risposta seria a questo problema, perché fino adesso si è andati avanti da un punto di vista emozionale”. Quindi, secondo Ardita, “occorre operare in modo incisivo e per questo si è cercato di introdurre degli strumenti processuali, le intercettazioni, come c’è stata una riforma importante in quest’ultima legislatura” degli strumenti che “vanno bene fino a un certo punto perché se poi diventa una sorta di omogenizzazione per cui lo stesso regime vieta i benefici penitenziari, si impedisce a un detenuto di andare in misura alternativa, se c’è un reato contro la pubblica amministrazione potrebbe essere un errore”. Perché molto spesso “quando si appesantisce l’azione di contrasto ci sono poi dei contraccolpi anche in sede europea e non sempre si ottiene quello che si vorrebbe e la risposta è data da quello che è accaduto nelle vicende carcerarie e quindi di assistere a una libera per tutti rispetto a delle realtà complesse. - ha proseguito il magistrato - Davanti alle rivolte lo Stato non è riuscito a tenere la barra dritta”.

Il contrasto alla corruzione
dialogo sulla corruzioneSecondo il pm antimafia oggi “nei reati di mafia ad esempio ci sono i giovani nei confronti dei quali si fa poco o nulla e non c’è attenzione alla loro condizione sociale”. Quindi quello che bisogna fare per contrastare la corruzione è la prevenzione: “Nella fase che è fatta anche della formazione di persone che sanno resistere alla corruzione, quello che molte volte non si riesce a formare è una classe dirigente che sa resistere”. Nelle scuole di formazione dei pubblici ufficiali, secondo Ardita, “non c’è questa concezione”. “I giovani pubblici ufficiali - ha aggiunto - non vengono educati allo sviluppo della propria attività con disciplina ed onore, come dice la Costituzione non li si inculca il fatto che si sta operando per una funzione pubblica dello Stato ed è un argomento che fa pandan con l’incapacità dello stato di reprimere. Non siamo capaci di intercettare i fenomeni quando essi nascono”.
A parlare di prevenzione del fenomeno, all’incontro moderato dal giornalista Giorgio Romeo, è stato il presidente del Tribunale minorile di Reggio Calabria, Franco Di Bella, che ha spiegato come non “basta la repressione penale del fenomeno” in quanto “la funzione educativa è cruciale perché bisogna agire su questo versante che significa prosciugare il bacino mafioso che alimenta questo fenomeno”. “Le mafie reclutano all’interno dei quartieri poveri - ha ricordato Di Bella - quindi con la crisi della famiglia e delle strutture sociali le mafie sembrano essere l’unico soggetto che danno un’identità”. Il giudice, che tra l’altro è stato autore del programma previsto per strappare i ragazzi alle famiglie mafiose, ha spiegato che per contrapporre questa cultura di illegalità bisogna che si fornisca “servizi socio sanitari”, “professionisti che riescano a intercettare i bisogni” in quei territori di frontiera e spesso dimenticati.

La cultura della mafia è la stessa della corruzione
20200529 pres dialogo sulla corruzioneA parlare di corruzione è stato anche l’avvocato siciliano Enzo Guarnera, ospite all’interno della presentazione del volume. “Il sistema della corruzione è un fenomeno dilagante che imperversa in una parte della politica in maniera trasversale - ha detto - il tentativo di corrompere l’anima del politico è un tentativo che accade appena tu entri in una istituzione in quanto c’è un sistema del favore attraverso l’istituzione. E quindi se qualcuno vuole entrare con idee diverse lo comprano con la proposta e se tu ci caschi sei dentro il sistema e poi non puoi parlare più”.
L’avvocato ha poi spiegato che “la cultura della mafia è la stessa della corruzione, esse lavorano in sinergia, anche se alcune volte in ambiti diversi. Per questo è fondamentale prevenire. Noi dobbiamo operare affinché le nuove generazioni crescano con la consapevolezza che al centro della loro vita abbiamo questo. Perché l’illegalità è la cultura della morte e della disgregazione sociale”.
Il prefetto Sammartino ha poi parlato del libro: “Questa è una conversazione che abbiamo tenuto nel corso di un anno quando ero commissionario dello Stato a Palermo. Dalla collaborazione con l’associazione dei prefetti è nata l’idea di questo libro che condensa la nostra esperienza di lavoro con gli uomini e per gli uomini e le istruzioni”. Sammartino ha anche riportato quanto scritto nel rapporto del 2016 dell’ANAC: “La Sicilia si è piazzata ai primi posti per la triste classifica della corruzione. Di fronte a questo virus che continua a infettare il nostro tessuto sociale. E quindi davanti alla corruzione e legalità che fare? - si è poi domandato - Ci adeguiamo, accettiamo lo Status quo o la consideriamo una sfida rivolta a ciascuno di noi in qualsiasi condizione ci troviamo. Da questa domanda siamo partiti cercando di rispondere, parlando della nostra esperienza e delle scelte che abbiamo fatto”. L’altro autore Monsignor Pennisi si è soffermato sull’importanza dell’educazione alla legalità che è “una proprietà per la società e la chiesa”. “Certo il compito della Chiesa è essenzialmente educativo, - ha concluso - ma anche la società deve avviare un intercorso di prevenzione attraverso l’educazione. Per questo è importante una sinergia educativa tra società, famiglia, chiesa e istituzioni per educare le nuove generazioni alla legalità; formando le coscienze, cercando di far comprendere che vivere nella legalità alla fine conviene perché favorisce lo sviluppo della persona e della società”.