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di AMDuemila
Il consigliere togato a Il Fatto Quotidiano: “Per affrontare sovraffollamento carceri possibili anche altre strade”

L’Italia sta attraversando, come il resto del Pianeta, un’emergenza sanitaria senza precedenti. Il decesso di un detenuto, un boss mafioso, ricoverato in ospedale a Bologna per alcune patologie e morto a causa del Coronavirus, ha riportato al centro del dibattito politico, sociale e culturale il tema del sovraffollamento delle carceri. Lo scorso 17 marzo il Governo ha adottato delle misure, inserite all’interno del decreto “Cura Italia”, in cui si prevede una possibilità di scarcerazione e detenzione domiciliare per determinate categorie di detenuti. Così come aveva fatto durante il plenum del Csm il magistrato Nino Di Matteo, eletto nell’organo di autogoverno della magistratura da indipendente, intervistato da Il Fatto Quotidiano, ha definito senza remore il provvedimento come un “indulto mascherato”. Con esso, sostiene il consigliere togato, si “rende possibile la scarcerazione di migliaia di detenuti senza permettere al magistrato di sorveglianza una adeguata istruttoria su chi viene scarcerato, senza che possa valutare se esiste il pericolo di fuga e di reiterazione del reato. È stato creato un automatismo analogo a quello dell’indulto. Anzi, questo è peggio”.
Il motivo è presto detto: “Almeno l’indulto è una decisione dei politici che se ne assumono la responsabilità. Qui invece la scaricano formalmente sui magistrati di sorveglianza, che però non possono decidere niente”.
Di Matteo ha anche ravvisato il rischio per cui grazie al "meccanismo del cosiddetto ‘scioglimento del cumulo’ fa sì che potrebbero goderne detenuti condannati per mafia, ma anche per altri reati, che stiano scontando un residuo di pena per reati minori”.
Ad aggravare ancor di più la situazione è la scansione temporale con cui si è arrivati al provvedimento, cioè immediatamente dopo le rivolte nelle carceri di inizio marzo: "Le istituzioni non devono dare neppure l’impressione di cedere davanti ai ricatti violenti. Dovrebbero rispondere all’emergenza sanitaria in corso garantendo il diritto alla salute di tutti, ma senza cedimenti e senza infliggere un vulnus agli obiettivi di certezza della pena. Senza un indulto mascherato. Cercando, prima delle scarcerazioni di massa, altre soluzioni, come l’utilizzo di padiglioni oggi inutilizzati o di caserme dismesse”.
Fermo restando che “il diritto alla salute di tutti i cittadini, anche quelli detenuti in carcere, è importante” il magistrato ha evidenziato anche la necessità di garantire la salute degli agenti di polizia penitenziaria. “Dovremmo essere molto attenti alla salute degli agenti che entrano ed escono regolarmente dal carcere e dunque sono quelli che possono portare dentro l’infezione. - ha continuato - Non mi risulta che questi servitori dello Stato siano stati dotati di mascherine e di tutti gli strumenti di protezione necessari, esattamente come i medici e gli infermieri negli ospedali, o anche peggio”.
Quel che è certo è che il problema del sovraffollamento delle carceri non è solo di questi mesi e la politica in questi anni ha sempre preferito rimandare ogni discussione.
Rispondendo ad una domanda di Gianni Barbacetto, il consigliere Di Matteo ha sottolineato come “del sovraffollamento si discute da decenni, ma resta un tabù la soluzione più semplice: costruire nuove carceri. Nell’immediato, la scarcerazione non è comunque l’unica soluzione". "Prima si potrebbero percorre altre strade - ha concluso - Mi risulta per esempio che esistano strutture penitenziarie e padiglioni oggi inutilizzati, che potrebbero essere impiegati come luoghi di isolamento per i detenuti eventualmente contagiati dal virus. Poi ci sono molte caserme dismesse che potrebbero essere rapidamente riconvertite, prima d’imboccare la strada delle scarcerazioni anche di detenuti di elevata pericolosità sociale”.

Foto originale © Imagoeconomica

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