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borsellino paolo ultima stagione videodi AMDuemila - Video
Strage di Via d’Amelio: quegli angoscianti 57 giorni raccontati con la testimonianza dei colleghi e degli amici di Falcone e Borsellino

Arriva in onda anche sulla tv nazionale il racconto di quella scellerata Trattativa iniziata negli anni '90 nel nostro Paese. Un documentario intitolato “Paolo Borsellino, l’ultima stagione”, a cui hanno preso parte scrittori e magistrati, come Roberto Scarpinato, Procuratore generale della Corte d’Appello di Palermo e il giornalista Saverio Lodato.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano “due giudici che in una città e in un palazzo di giustizia come quello di Palermo davano l’impressione di essere due marziani catapultati da un’astronave, in una città e in un mondo, quello della giustizia, che non aveva mai voluto fare i conti con la mafia”, sono state le parole di Lodato.
Attraverso la testimonianza di amici e colleghi il servizio Rai ha ricostruito la storia di Borsellino, in particolare l’angoscia e la fretta con cui visse quei 57 giorni che separavano la morte del suo compagno più fedele, Giovanni Falcone, alla strage di Via d’Amelio il 19 luglio 1992, dove lui stesso fu assassinato insieme ai cinque agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Dopo Capaci c’era paura sì, scatenata dalla consapevolezza che la sua fine era vicina, ma allo stesso tempo c’era la necessità di capire. Capire perché Falcone, poco tempo prima della strage, aveva parlato di “menti raffinatissime e di centri occulti di potere capaci di orientare anche le scelte di Cosa Nostra”. Capire perché nel gennaio del 1988 anche la magistratura, nel ruolo del Csm, aveva ostacolato la candidatura del suo collega a succedere ad Antonino Caponnetto. Capire perché si era voluto a tutti i costi smantellare l’intero Pool Antimafia di Palermo. Capire chi veramente si nascondeva dietro a quella stagione stragista che aveva fatto di Palermo una polveriera con centinaia di morti, una città lastricata di strade di sangue e un luogo dove non si riusciva a vincere il muro dell’omertà e dell’indifferenza.

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“Falcone aveva la visione del futuro, dell’evoluzione dei fenomeni”, ha commentato l’ex presidente del Senato Pietro Grasso, mentre “Borsellino era speciale nel trovare le cose che nessuno si ricordava”, ha detto il giornalista Francesco La Licata. Erano una coppia perfetta. Come hanno raccontato tanti amici che si trovavano al suo fianco dopo Capaci, Borsellino aveva occhi persi nel vuoto e la città di Palermo, come ha spiegato l’allora giovane magistrato Roberto Scarpinato, “finalmente era diventata visibile ed era rimasta orfana dei suoi padri fondatori. Esprimeva tutta la sua rabbia e chiedeva che quella stagione non si chiudesse definitivamente. Borsellino mi disse che quello sarebbe stato il futuro che ci aspettava e ci chiese se sceglievamo di restare oppure no, poi mi disse ‘io devo restare’”.
In quei 57 giorni per Borsellino iniziò una corsa contro il tempo. Ed era effettivamente poco il tempo per mettere insieme tutti i pezzi del mosaico. Come ha ricordato Lodato, durante una conferenza che si tenne nell’università di giurisprudenza di Palermo, in cui il pubblico si aspettava un’assenza del magistrato, quest’ultimo “arrivò in ritardo e aveva capito da dove venivano i mandanti delle stragi. Sapeva che c’erano altri livelli dietro il delitto. Fece un discorso in cui non poteva andare in fondo a quello che sapeva perché era un magistrato, ma siccome era amico di Falcone non voleva tradire con il suo silenzio la sua memoria.
Il giudice aveva capito che era in corso quella scellerata Trattativa. E come viene spiegato nel servizio “ciò che è sicuro è che Borsellino fu messo a conoscenza che apparati dello Stato stavano provando ad aprire un dialogo con emissari di Cosa nostra”. “C’è un episodio ancora più inquietante”, e lo rivela il pentito di mafia Gaspare Mutolo in incontri segreti organizzati a Roma che “svela a Borsellino per la prima volta la storia di servitori dello Stato che sono infedeli, e che trattano, fanno affari con la mafia e che con la mafia hanno un ruolo di complicità”.
Poi quel 1° luglio 1992, in cui durante l’interrogatorio al collaboratore di giustizia, il magistrato si allontana per andare al Viminale ad incontrare il nuovo Ministro degli interni Nicola Mancino. “È in quelle ore che succede qualcosa che turba il magistrato”, che infatti, come ha ricordato Lodato attraverso le parole di Mutolo, “torna ed è sconvolto”. Quella sera infatti confida anche alla moglie Agnese di “aver visto la mafia in diretta”.
Che mafia poteva aver visto Paolo Borsellino dentro un luogo istituzionale come il Palazzo del Viminale, sede della Presidenza del Consiglio e del Ministero degli Interni?

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“Credo che lui si sia reso conto di qualcosa che l’ha veramente sgomentato”, come ha chiarito Scarpinato “e cioè che nella strage di Capaci non vi erano soltanto gli interessi della mafia ma c’erano interessi convergenti di entità superiori. Da una parte lo aveva annotato nell’Agenda rossa e dall’altra si riservava di dirlo ai magistrati della procura di Caltanissetta. E penso che fu anche per un senso di protezione nei nostri confronti, che lui tenne per sé quello che aveva capito perché condividerlo significava esporre noi ai suoi stessi rischi. E forse quello fu un suo errore”.
Si, Borsellino aveva capito tutto. Pochi giorni dopo infatti, il 13 luglio, arrivò a Palermo l’esplosivo che avrebbe fatto saltare in aria la sua autovettura. Fu una sconcertante accelerazione per cercare di sotterrare ciò che aveva compreso. “Sarà la mafia ad uccidermi ma quando altri decideranno che devo essere ucciso”, aveva detto Borsellino, sempre alla moglie, poco tempo prima della strage.
E ancora, dopo 28 anni dalla morte “restano da capire alcune cose inquietanti: perché in una conversazione segreta intercettata tra il collaboratore di giustizia Di Matteo, a cui rapirono il figlio, e la moglie, si parla di infiltrati esterni a quella strage. Resta da capire chi fu l’artificiere della strage. Resta da capire chi era quella persona che non apparteneva a Cosa nostra e che Spatuzza disse di essere presente a sorvegliare le operazioni di caricamento dell’esplosivo. Resta da capire come sia possibile che a pochi minuti dall’esplosione di Via d’Amelio qualcuno aveva avuto la lucidità per prelevare l’Agenda rossa e di farla sparire. Evidentemente quell’Agenda rossa era ritenuta estremamente pericolosa perché forse c’era la chiave di lettura di quello che c’era dietro le stragi”, come ha chiarito Scarpinato.
Dopo quel terribile 1992 e adesso dopo 28 anni, quei pochi, veri rappresentanti e servitori dello Stato continuano a ricercare la verità in una spaventosa corsa contro il tempo. Perché il tempo è l’unica arma che davvero riesce a seppellire nel cimitero di una nazione l’inconfutabile evidenza di uno Stato che andò in cerca della mafia per tradire i propri cittadini.

Foto © Shobha

VIDEO Guarda la puntata integrale: “Paolo Borsellino, l’ultima stagione”

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