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di Davide de Bari
“Vide due uomini, una donna, una cartina ed un Fiorino"

In Commissione antimafia ascoltato il magistrato e il poliziotto Roberto Di Legami

Nuovi retroscena sulle stragi stanno emergendo dall’attività della Commissione parlamentare antimafia. Nei mesi scorsi il gruppo di lavoro che si occupa di indagare sulla trattativa Stato-mafia, presieduto da Mario Michele Giarrusso, si è recato in missione a Firenze ed ha acquisito importanti materiali. Ieri il magistrato Gianfranco Donadio, consulente della Commissione antimafia, nella sua audizione ha riferito in merito ad una vicenda fino ad oggi rimasta in qualche maniera "seppellita" e che è stata possibile ricostruire acquisendo dalla questura di Firenze una sorta di rapporto interno redatto del 2013. In quel documento si dà atto di quanto fu messo a verbale da un soggetto che, la notte della strage di via dei Georgofili, avvenuta tra il 26 e il 27 maggio 1993, aveva potuto osservare strani movimenti.
“Nel cuore della città di Firenze - ha raccontato ieri Donadio in Commissione antimafia - in via Bardi, in un arco temporale tra le 23 e 24, accade che un testimone sente un vociare. Vi è qualcosa ad attirare la sua attenzione. Quindi attorno le 23.50 osserva la presenza di due giovani in una conversazione animata mentre cercano di recuperare una busta all’interno dell'infisso della porta (ad un certo numero civico, ndr)”.
Il racconto del testimone prosegue con la descrizione di un "Mercedes di coloro scuro, da cui esce una donna, un’altra automobile di colore scuro, e l’arrivo di un Fiorino Fiat bianco”.
Caso vuole, come ricordato dallo stesso Donadio, che in via dei Georgofili esplose proprio un Fiorino, “uno dei 734 che circolavano in quel periodo in Toscana. Nessuno era in centro a Firenze”. Ma il vero elemento di interesse, secondo il magistrato, è la presenza femminile tenuto conto che "nessuna donna ha fatto mai parte di un gruppo di fuoco mafioso”.

La donna vicino alla zona della strage
Grazie alle indicazioni di questo soggetto gli investigatori, subito dopo la strage, riuscirono a realizzare un fotofit della donna "con i capelli corti a caschetto e bruni, alla guida di un Fiorino e dai gesti nervosi”. Per quanto riguarda i due giovani “si era limitato a dire che l’identikit di questi erano stati già pubblicati dalla stampa sul giornale La Nazione e che corrispondevano a quelli”.
Analizzando gli elementi acquisiti sulla donna Donadio ha evidenziato come esista un "rapporto della Digos in cui si parla di una donna terrorista appartenente ad un’organizzazione parallela, che avrebbe agito insieme a Cosa nostra nelle stragi del ’93. Qui vi è un’espressa menzione del Sisde che vengono richiamati dall’analisi documentale. - ha proseguito - Nella strage successiva di via Palestro dalla Fiat uno era discesa una donna, anche di questa esiste un identikit che venne pubblicato dal Corriere della Sera. Ed è quello famoso di una donna bionda di via Palestro dove c’è scritto che i capelli sono biondi tinti. A dirlo sono due testimoni che guardarono la donna discendere dalla Fiat Uno”.

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Gianfranco Donadio © Imagoeconomica


La cartina
Ma c’è anche dell’altro. Perché il portinaio in tanti anni di indagini e processi sulle stragi "non è stato mai sentito” e la Commissione antimafia, in spedizione, è voluta andare fino in fondo sulla questione. Così è stato ascoltato il sottoufficiale dei carabinieri che ha realizzato l’identikit e al contempo sono state acquisite le dichiarazioni di questo testimone, rilasciate al tempo il 30 ed il 31 maggio 1993. "Da queste, analiticamente emerge che le sue attenzioni erano state suscitate dalle spallate che venivano date dai giovani al portone. Così aveva lasciato l’abitazione per osservare meglio, spostandosi al primo piano”. Ai carabinieri disse che, spostandosi nell’androne, aveva notato una busta. Diversamente, il soggetto che vide quei fatti, sentito durante la spedizione della Commissione antimafia, ha raccontato che quella “non era una busta, così come aveva riferito ai carabinieri, ma una cartina di Firenze, a colori, dove erano cerchiati due punti della città in rosso”. Ma come mai c’è stata questa discordanza? “Perché il testimone, precedentemente aveva parlato della cartina alla Polizia. Ma questi poliziotti gli avevano raccomandato di non parlarne più con nessuno”.
Ma anche un altro dettaglio è stato riferito con maggiore precisione, ovvero, secondo il racconto di Donadio, che i due uomini si passarono una borsa di tela di colore azzurro o blu che gli sembrò molto pesante, tanto che venne alzata dai due e che finì nel Fiorino.

Indagare su Gladio
Donadio ha proseguito nella propria esposizione raccontando ulteriori elementi evidenziando che i due giovani si allontanarono a piedi e avrebbero avuto a disposizione un terzo veicolo, "una macchina non grande”. Un altro dettaglio singolare, a cui ha fatto riferimento il consulente della Commissione antimafia, è che "all’indomani della strage di via dei Georgofili, il capo della Polizia Parisi dispose un’azione penetrante da parte dell’antiterrorismo, relativa a Gladio e sulle donne addestrate militarmente. Questo fatto non è tanto noto, ma lo raccontano due funzionari ai vertici dell’antiterrorismo - ha proseguito - è proprio Parisi che dà disposizioni di indagare su questa direzione e ne parlano ai pm di Roma Fasano e Vulpiani”.

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Roberto Di Legami © Imagoeconomica


Le rivelazioni di Naselli a Di Legami
Prima di Donadio la Commissione parlamentare antimafia ha audito Roberto Di Legami, direttore dell'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale. Anni fa fu indagato, processato e assolto in un processo scaturito dalle dichiarazioni di due suoi colleghi, Umberto Sinico e Raffaele Del Sole (al tempo in forza al Ros), i quali raccontavano di aver appreso da lui dell'esistenza di una relazione di servizio che attestava la presenza di Contrada in via d’Amelio negli attimi dopo la strage e che questa sarebbe stata stracciata negli uffici della polizia di Palermo.
Di Legami non ha parlato della strage di via d’Amelio, ma di quella di Capaci.
Nel corso dell'audizione ha raccontato quanto gli riferì Francesco Naselli Flores, cognato del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, quando si trovava in servizio al commissariato di San Lorenzo a Palermo. “Il 22 maggio 1992, alle ore 12, andò a Punta Raisi da Palermo utilizzando l'autostrada. Mi confermò il legame di parentela con Dalla Chiesa e mi disse che era titolare di società di servizi informatica. - ha detto - Aggiunse che il giorno precedente la strage, il 22 maggio, si trovava a transitare sull'autostrada in direzione dell’aeroporto. Si doveva imbarcare alle ore 13. Superato lo svincolo di Isola delle Femmine vide, sul ciglio della carreggiata opposta, un furgone bianco. Poiché personale della sua ditta aveva affittato un furgone, pensando che fosse dei suoi collaboratori, lasciò la macchina con le quattro frecce accese e si portò sul ciglio della carreggiata opposta, ma vide che il furgone non era quello della sua ditta. Dando un'occhiata, intravide che il mezzo mancava della targa anteriore, gli sportelli posteriori erano aperti e dentro c'erano attrezzi da lavoro con segnali autostradali per il restringimento di corsia. Guardando oltre il guardrail vide due uomini intenti a sbrogliare una matassa di filo nero: uno lo vide bene e non sembravano particolarmente preoccupati che lui li stesse osservando". Venne fatto anche un identikit dell’uomo. Secondo quanto riferito da Di Legami Naselli lo avrebbe riconosciuto come corrispondente al viso di Santino Di Matteo, detto Mezzanasca, poi condannato come uno degli autori della strage di Capaci.

La relazione di servizio
Alla domanda su come il poliziotto riferì all’autorità giudiziaria le rivelazioni del Naselli, Di Legami ha risposto: “Feci una relazione di servizio quando ero al commissariato di San Lorenzo al mio dirigente. Vista l’importanza mi chiese di portarla direttamente al Questore, Vito Platone, dove c’era anche il capo della Mobile, Arnaldo La Barbera, che la trovarono subito interessante. Mentre stavo tornando indietro mi richiamarono per dirmi che da quel momento facevo parte della Mobile per lavorare alle indagini sulla Strage di Capaci”. In riferimento ai rapporti intercorsi tra lui e La Barbera, Di Legami ha precisato: “Non ebbi molti contatti con lui. Lo conobbi molto meglio nella seconda fase, dopo la strage di via d’Amelio. Nella prima fase meno perché il mio rapporto era mediato dall’altro dirigente Salvatore La Barbera”. Il dirigente, rispondendo alle domande del senatore Giarrusso sull'identikit fatto dal Naselli, ha dichiarato di non sapere se lo stesso fu poi inviato alla stampa ("Se venne mai inviato, non lo so. Che io sappia no....io in questo aspetto non ho controllato i giornali di quel giorno per dire con certezza: c'era o non c'era"). Ed alla domanda su chi decidesse l'eventuale divulgazione o meno ha aggiunto: "Chiunque lo decidesse in quel momento era una cosa concertata con il Capo della Mobile (allora Arnaldo La Barbera, ndr)".
Di Legami ha spiegato alla Commissione di aver accompagnato Naselli anche a parlare con i magistrati ed altri suoi colleghi. "Lo accompagnai due volte, non mi ricordo se andò dalla Boccassini”.

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La strage di via dei Georgofili



Il riconoscimento di Di Matteo
Un altro episodio particolare vi è stato quando Mario Santo Di Matteo iniziò a collaborare con la giustizia. Vedendo la foto sui giornali Naselli avrebbe chiamato Di Legami per confermare che era lui l’uomo che aveva visto il giorno prima della strage a Capaci. “Mi chiamò e senza alcuna esitazione mi disse che era Santino Di Matteo che lo aveva visto sui giornali”.
Tuttavia, prima che Naselli riconoscesse Di Matteo, il poliziotto ha anche raccontato che dalla Squadra Mobile gli chiesero di andare da Naselli per "vedere se riconoscesse un pregiudicato dell’ennese, La Torre, come il soggetto dell’identikit. Naselli mi disse che aveva alcuni tratti simili, ma per confermarlo con sicurezza voleva la presenza fisica”.
Di Legami, una volta che Naselli gli aveva confermato il riconoscimento di Santino Di Matteo, avrebbe comunicato immediatamente il dato alla Procura: “L’ho comunicato alla Boccassini, con una relazione di servizio, non ricordo di aver fatto un verbale individuale visto che era un soggetto collaborativo. - ha spiegato - Non so i motivi e non li ho mai saputi, questa informazione che diedi alla Boccassini poi mi viene richiesta dal dottor Luca Tescaroli, anni dopo, che mi disse se mai avessi informato l’autorità giudiziaria. Io gli dissi di sì e mi chiese di inviargli tramite fax l’informativa che avevo mandato alla Boccassini”.

Sei persone nell’area di Capaci
Ma Naselli non sarebbe stata l’unica fonte a parlare di presenze nell’area di Capaci. Di Legami ha anche raccontato che un soggetto gli riferì che "una decina di giorni prima della strage di Capaci si era trovato a passare da quell'autostrada la mattina presto per andare in aeroporto e aveva notato sei persone nella zona dove poi si è verificato l’attentato. La persona in auto vide un giovane su un albero intento a tagliare dei rami e altre persone che in fila indiana stavano avvicinandosi a quella area, scavalcando il guardrail. L'ultimo della fila lo guardò in cagnesco. Il guidatore non andava veloce, la cosa lo spaventò e lui si disse indisponibile a collaborare. Anche in questo caso scrissi una relazione”.