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L'avvocato Repici: “Sconcertante. Chiederemo si proceda con la richiesta di rinvio a giudizio"
di Aaron Pettinari

Quanto tempo deve ancora passare affinché una famiglia possa avere verità e giustizia sulla morte del figlio, di sua moglie e di un bimbo mai nato? Una domanda che risuona forte dal 5 agosto 1989 e che, trent'anni dopo, torna con forza di fronte all'ennesimo "schiaffo" subito dalla famiglia dell'agente di polizia Antonino Agostino ed Ida Castelluccio. Il gip di Palermo, infatti, ha rigettato la richiesta avanzata dalla procura generale per l'arresto dei boss Nino Madonia (capomandamento di Resuttana già detenuto dal 1987) e Gaetano Scotto (boss dell'Acquasanta indicato da diversi collaboratori di giustizia come ponte tra Cosa nostra e i servizi segreti deviati). A darne notizia è questa mattina il quotidiano La Repubblica nell'edizione di Palermo: per il giudice non vi sarebbero elementi per procedere in tal senso.
Eppure in questi mesi la Procura generale, che aveva avocato l'inchiesta, ha compiuto diversi accertamenti come l'analisi di un revolver Smith&Wesson 357 magnum, rinvenuto a San Giuseppe Jato nel 1996 in quello che fu battezzato come l'arsenale mafioso di Contrada Giambascio. Oppure ancora la perquisizione della casa dell'ex numero due del Sisde Bruno Contrada sospettato di avere dei documenti utili alle indagini.
Le indagini compiute in questi trent'anni hanno portato alla luce dei frammenti di verità.
Ad esempio è stato provato che sulle indagini fu messo in atto un vero e proprio depistaggio.
L'omicidio in un primo momento fu etichettato come “delitto passionale” (una vendetta dei familiari di un’ex fidanzata di Nino, ndr) dal capo della Squadra Mobile Arnaldo La Barbera, ovvero colui che secondo i giudici avrebbe avuto un ruolo determinante nel depistaggio della strage di via d'Amelio, con la costruzione del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Il primo tentativo di depistaggio che proseguì immediatamente dopo quando furono fatte sparire le carte che lo stesso aveva nell’armadio di casa sua. Vincenzo Agostino ha raccontato più volte che “mio figlio nel portafogli portava un biglietto, quando lo presi e lo lanciai contro il muro, nel giorno del delitto, venne trovato questo pezzo di carta in cui c’era scritto di andare a cercare dentro il suo armadio nel caso in cui gli fosse successo qualcosa”. Quegli appunti, però, furono fatti scomparire. E il dato emerge nelle inquietanti parole di un ex poliziotto, Guido Paolilli, indagato per favoreggiamento e poi archiviato per prescrizione.
Proprio Paolilli il prossimo 19 febbraio dovrà comparire davanti al tribunale, citato dalla famiglia Agostino per un risarcimento danni da 50mila euro per quel "furto di verità".
Ma perché Agostino, che ufficialmente non era altro che un poliziotto addetto alle volanti del commissariato San Lorenzo, fu ucciso?

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L'avvocato Fabio Repici © Imagoeconomica


Elementi raccolti
Tra indagini aperte ed archiviate in questi anni sono stati raccolti vari frammenti di verità. Ad esempio è emerso che Agostino sarebbe stato impegnato nella ricerca di latitanti del calibro di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Una notizia che un compagno di pattuglia apprese e riferì con una reazione di servizio allo stesso La Barbera.
Altro dato riguarda il fallito attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone. Rispetto a quanto veniva riferito in passato si è appreso che Agostino, in quei giorni, sarebbe stato in servizio proprio in quei luoghi.
Nei mesi precedenti l’agente del commissariato San Lorenzo sarebbe stato impegnato anche in un delicatissimo servizio di scorta nei confronti dell’ex estremista di destra, Alberto Volo, che tra il 28 marzo ed il 18 maggio, veniva interrogato in gran segreto in Procura dal giudice istruttore Giovanni Falcone.
A Falcone il Volo confermava in particolare la pista dei killer neofascisti per l’omicidio del presidente della Regione Mattarella e rivelò anche di aver fatto parte, dal '67 all'80, di una organizzazione segreta che si chiamava Universal Legion ma che coincideva perfettamente con quanto successivamente è emerso su Gladio. Un dettaglio ritenuto importante proprio perché nel 1989 l’esistenza di Gladio non era ancora nota.
E’ possibile che Agostino, che appunto si occupava della sicurezza di Volo durante gli interrogatori, avesse appreso qualcosa di delicato?
L'importanza del delitto Agostino, inserito in un quadro più ampio, è testimoniata anche dalle parole di Giovanni Falcone.
L'ex commissario di San Lorenzo a Palermo, Saverio Montalbano racconta che Falcone si confidò con lui in occasione della veglia funebre per la morte del poliziotto e della giovane moglie, affermando che "questo omicidio è stato commesso contro di me e contro di te”.
E come non tenere in considerazione anche le parole del padre di Emanuele Piazza (ex collaboratore del Sisde ucciso a Palermo il 16 marzo 1990 in circostanze mai del tutto chiarite, ndr)?
Esaminato come testimone innanzi alla Corte d'Assise di Caltanissetta nel processo denominato 'Capaci bis' affermò che il proprio figlio, quando venne ucciso, stava indagando sulle motivazioni e sulle responsabilità del delitto Agostino.

agostino vincenzo incontra aiello

Vincenzo Agostino riconosce Giovanni Aiello


Faccia da mostro
La ricerca della verità è passata anche nell'intento di dare un volto a quella "faccia da mostro" che Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto, vide nei giorni precedenti al delitto. “Mio figlio era in viaggio di nozze - ha ricordato in più occasioni - a casa si presenta una persona che spinge il cancello come fosse casa sua e mi chiede se mio figlio è in casa. Poiché io ho due figli maschi chiedo chi cerca. E questa persona dice 'il poliziotto'”. Quando Agostino chiede a questo soggetto chi fosse a rispondere è un altro uomo, più distante. “Mi dice che sono colleghi - ha proseguito nel racconto - Per me era l'uomo più brutto che esiste al mondo e lì per lì lo definì un mostro”.
Questo soggetto sarebbe stato individuato dagli organi inquirenti tanto che nel fascicolo sull'omicidio era indagato Giovanni Aiello, deceduto nell'agosto 2017, che aveva una profonda cicatrice sul volto.
Diversi pentiti hanno parlato di lui, ex poliziotto, come un soggetto che “frequentava Fondo Pipitone”, sito nel mandamento di Resuttana, a Palermo (feudo della famiglia mafiosa dei Galatolo, ndr) e che era “a disposizione della mafia anche per compiere omicidi”.
E qualche anno addietro Vincenzo Agostino, durante un confronto all'americana, lo riconobbe come lo stesso personaggio presentatosi a casa sua pochi giorni prima dell'omicidio chiedendo del figlio.
Nella richiesta di archiviazione che la Procura di Palermo avanzò per effetto della prescrizione nei confronti di Aiello, accusato di concorso in associazione mafiosa, i pm evidenziavano come vi fosse la prova che questi sia “la persona con il volto deturpato che, reiteratamente nel corso degli anni, aveva personalmente partecipato a vere e proprie riunioni mafiose, tenutesi nel luogo - tanto noto quanto strategico - di Fondo Pipitone, nella disponibilità ‘storica’ e diretta della famiglia Galatolo”. Non solo, tenuto conto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e delle individuazioni personali e fotografiche svolte dai vari Vito Lo Forte, Vito Galatolo, Giovanna Galatolo, Consolato Villani e Giuseppe Di Giacomo, anche in assenza di “dettagli sui contenuti di tali riunioni, deve anche ritenersi che il calibro e il carisma mafioso dei soggetti che - secondo i predetti collaboratori - vi avrebbero partecipato (tutti i fratelli Madonia; molteplici esponenti della famiglia Galatolo e della famiglia Graziano; esponenti della famiglia Ganci; etc.) costituisca prova insuperabile del contenuto prettamente illecito, e strettamente ‘mafioso’, dei temi affrontati nelle stesse riunioni, sì da poter ritenere Aiello soggetto certamente in contatto qualificato con l’organizzazione mafiosa Cosa nostra (se non, addirittura, a questa intraneo)”.

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Augusta Schiera © Shobha


Processo ineludibile
Di fronte alla decisione del Gip di rigettare la richiesta di arresto dei boss Madonia e Scotto la Procura generale, rappresentata dal Procuratore Roberto Scarpinato e i sostituti procuratori generali Nico Gozzo (da oggi in servizio alla procura nazionale antimafia, ndr) e Umberto De Giglio, potrebbe presentare appello davanti al Tribunale del Riesame.
Ma intanto la famiglia, tramite l'avvocato Fabio Repici, preannuncia di voler chiedere l'apertura di un processo che, a questo punto, è "ineludibile": "Non possiamo che prendere atto della decisione del gip a nostro avviso giunta con una certa lentezza. Rileviamo che ancora lo Stato a oltre trent'anni dal delitto non abbia la forza per affermare la verità sull'uccisione di Nino Agostino e Ida Castelluccio. Riteniamo che ciò sia oggettivamente l'effetto del coinvolgimento di apparati istituzionali nel delitto. Nonostante questa decisione, che ovviamente ci sconcerta, restiamo convinti che, alla luce di quanto emerso in questi anni, vi siano comunque tutti gli elementi per fare il processo a Nino Madonia e Gaetano Scotto. Per questo chiederemo ufficialmente alla Procura generale di fare la richiesta di rinvio a giudizio".
Una richiesta assolutamente legittima nella speranza che, lo Stato, magari memore di quelle parole che la mamma di Agostino, deceduta lo scorso anno, ha voluto scritte nella sua tomba ("Qui giace Augusta Schiera, madre dell’agente Nino Agostino, una madre in attesa di giustizia, anche oltre la morte") trovi finalmente la volontà di dare una risposta alla pretesa di verità.

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