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di Aaron Pettinari
L'ex membro di Avanguardia Nazionale sentito nel processo 'Ndrangheta stragista

"Secondo quanto mi disse Antonino Gioè c'era un contatto tra Cosa nostra e piani alti di governo e c'entravano anche gli Stati Uniti, perché c'era un parente di Riina in America. Era una triangolazione, tutto in uno. Questo intendo quando parlo di seconda trattativa".
Dopo una lunga attesa Paolo Bellini, ex primula nera di Avanguardia Nazionale, affiliato alla 'Ndrangheta e killer delle cosche calabresi radicate in Emilia Romagna, è stato finalmente sentito in video conferenza al processo 'Ndrangheta stragista, in corso davanti alla Corte d'Assise di Reggio Calabria.
Chiamato a testimoniare dalla parte civile, rappresentata dagli avvocati Antonio Ingroia e Giuseppe Basile, Bellini, attualmente indagato a Bologna per la strage alla stazione del 2 agosto 1980, è tornato a parlare di quei contatti avuti nei primi anni Novanta con il boss siciliano.
Dopo aver ripercorso la sua carriera criminale, vissuta in Italia e all'estero sfruttando un passaporto brasiliano e la falsa identità di Roberto Da Silva, ha ricostruito le fasi di quel rapporto, iniziato alla fine degli anni Ottanta con il boss che poi verrà ritrovato morto in carcere nell'estate del 1993.
"A Gioè lo conobbi in carcere, a Sciacca - ha detto rispondendo alle domande dell'avvocato Basile - Poi mi incontrai con lui tempo dopo e mi infiltrai in Cosa nostra. Il pretesto fu quello di recuperare delle opere d'arte rubate dalla Pinacoteca di Modena. Un'operazione che concordai con il maresciallo Tempesta, che conobbi tempo prima a San Benedetto del Tronto".
Così come aveva già fatto in precedenti occasioni (processo Stato-mafia o quello sulle stragi su Messina Denaro, i cui verbali sono stati acquisiti), anche se in maniera più confusa nell'esposizione, ha approfondito quelli che furono gli argomenti trattati: "Gli dissi di questa possibilità e gli parlai del contatto che avevo con un ispettore. Non parlai mai dei carabinieri. Una volta mi chiese se ero dei servizi segreti o della massoneria ma gli dissi che quelle sul mio conto erano barzellette. E lui mi disse che con la massoneria erano ben introdotti a Trapani. Io portai anche una busta sigillata, gialla, con scritto dietro 'Ministero dei Beni culturali', con all'interno le foto dei quadri da recuperare". In quella busta, a detta del teste, vi sarebbero state le foto delle opere d'arte che dovevano essere recuperate. Qualche tempo dopo Gioè tornò con la risposta. "Per quelle opere non si poteva far nulla - ha proseguito Bellini nel suo racconto - Però mi chiese se potevano interessare altre opere importanti, di valore, e rubate in Sicilia. Mi diede anche lui una busta ed un bigliettino con cinque nomi. E mi chiese se si poteva fare qualcosa per queste persone. Vi erano nomi pesanti come Bernardo Brusca, Liggio, Pippo Calò. Quando parlai con Tempesta mi disse di mantenere aperto il canale, di non sbilanciarmi troppo ma che quello era il ghota di Cosa nostra. Aggiunse che uno era malato e che forse si poteva fare qualcosa, quindi mi disse che ne avrebbe parlato con il colonnello Mori e che avrei dovuto aspettare di essere contattato da qualcuno del Ros. Non arrivò nessuno fino a dicembre quando un soggetto, che si presentò con il nome 'Aquila selvaggia', disse di essere del Ros". Questa persona, di cui Bellini non ha mai saputo far il nome, avrebbe detto all'ex membro di Avanguardia Nazionale di non scendere in Sicilia perché "vi era una grossa operazione in corso". Qualche tempo dopo fu arrestato Riina.

I piani alti e gli attentati alla Torre di Pisa
Nel proseguo dell'esame Bellini ha poi raccontato di un incontro avuto con Gioè, particolarmente teso, presso Cava Buttitta, nell'ottobre 1992. "Gioè era arrivato alla frutta, uno straccio. Molto allarmato disse che erano stati consumati. Cosa significa? Che avevano fatto un cosa che qualcuno gli ha detto di fare e che poi a rimetterci sono stati loro. E lì mi dice che questi non erano gente seria per poi aggiungere: 'che ne direste se un giorno sparisse la Torre di Pisa?'. Ed io per rispondergli dissi 'certo' e dentro di me pensai che se scompare è la morte di una città. Ma poi non lo rividi più".
Su quell'ipotesi di colpire monumenti, espressa già nell'ottobre 1992, vi sono due versioni. Il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca ha più volte raccontato di essersi nascosto durante quegli incontri tra Gioè e Bellini e di aver sentito quest'ultimo suggerire di colpire i monumenti o di cospargere le spiagge di Rimini di siringhe infette.
Da parte sua l'ex terrorista nero ha rigettato ogni accusa attribuendo "l'idea" allo stesso Gioè.
Alla domanda su chi fosse "la gente che non era seria" ha risposto di aver inteso "si riferisse ai politici di Modena non interessati a trovare i quadri rapinati" e che qualora avesse sospettato di lui come infiltrato "a quest'ora sarei finito sotto terra".
Ma quando il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, in controesame, ha fatto notare che un'altra opzione poteva essere che Gioè vedeva in Bellini un tramite con cui far arrivare ad altri un messaggio lo stesso ex killer ha ammesso: "E' perfetto quello che fa lei come discorso. In tutti i casi quello che mi diceva l'ho sempre riferito a Tempesta".
E poi ancora sulla "sponda trattativa": "Quando mi ha parlato della trattativa con i piani alti di Governo fu una frase lapidaria. E mi disse anche degli Stati Uniti con il riferimento al parente di Totò Riina. Poi se sia vero o meno non lo so". Bellini non ha saputo dare una spiegazione delle parole scritte da Gioè, nella sua ultima lettera in cui lo indica come un creditore ("…Dimenticavo di dire che mio fratello Mario nell’andare a tentare di recuperare il credito ha consegnato al creditore una tessera dello stesso creditore il che adesso mi rendo conto che quest’ultimo fosse un infiltrato; mio fratello non lo ha incontrato ed il figlio gli ha detto che il padre era ri­cercato. Supponendo che il sig. Bellini fosse un infiltrato sarà lui stesso a darvi conferma di quanto sto scrivendo. L’ulti­ma volta che ho incontrato quest’uomo è stato presso la cava Buttitta solo per pura fatalità me lo sono fatto portare in quel posto dove ero andato per cercare di con­vincere il sig. Gaetano Buttitta a comprare del lubrificante da me…”). Una missiva con i contenuti criptici in cui si cita un personaggio come il boss di 'Ndrangheta Domenico Papalia, che Bellini ha assolutamente escluso di conoscere.
Il processo è stato rinviato al prossimo 17 gennaio quando è prevista l'audizione di Tempesta e l'esame di Giuseppe Graviano, imputato nel processo con Rocco Santo Filippone. Il boss di Brancaccio ha detto di essere disposto a rispondere alle domande di tutte le parti.

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