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Oggi avrebbe compiuto 74 anni
di Davide de Bari

"Giovanni amore mio, sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre dentro di me così come io spero di rimanere viva nel tuo cuore. Francesca”. E’ questa la frase scritta da Francesca Morvillo a suo marito Giovanni Falcone che non fece in tempo a leggere, visto che tutti e due morirono nella strage di Capaci il 23 maggio 1992, insieme agli uomini della scorta (Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani). Un biglietto ritrovato dopo tantissimi anni dalla loro morte che esprimeva l’essenza dell’amore che vi era tra i due, che sapeva andare oltre ogni cosa. Un amore così intenso che il destino ha fatto sì che nessuno dei due potesse sopravvivere all’altro. Era il 14 dicembre 1945 quando a Palermo nacque il magistrato Francesca Laura Morvillo. Lei aveva delle spiccate capacità nel mondo della giurisprudenza, visto che suo padre era sostituto procuratore e anche suo fratello Alfredo decise di entrare in magistratura. La stessa strada fu percorsa anche da Francesca che entrò in magistratura il 10 marzo 1971 come giudice del Tribunale di Agrigento. Dopo pochi anni fu nominata sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo. Francesca aveva delle eccellenti qualità professionali, caratterizzate da un impegno di assoluto rilievo. A Palermo era seriamente impegnata in difesa dei minori e molto spesso aveva a che fare con ragazzi provenienti da famiglie mafiose.
Fu a Palermo che Francesca conobbe Giovanni Falcone a una cena a casa di amici nel 1979. Falcone era arrivato nel capoluogo siciliano da un anno, con un matrimonio alle spalle con la moglie Rita. I due si innamorano perdutamente uno dell’altro. La Morvillo era l’unica donna che potesse comprendere e capire il lavoro e il sacrificio che stava svolgendo Falcone in quanto non era un uomo come tanti. Giovanni sapeva che solo un altro magistrato che si batteva con passione per la giustizia come Francesca poteva sopportare tutto quello che gli anni insieme gli avrebbero riservato. Da lì a poco Falcone ricevette la scorta, è così che ebbe inizio una vita blindata. Falcone, insieme al pool composto da Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello, coordinati da Antonino Caponnetto divennero il nemico numero uno della mafia. L’amore tra i due era spesso messo a dura prova per gli ostacoli che si trovavano a vivere, visto che, dopo la collaborazione di Tommaso Buscetta, Falcone insieme a suoi colleghi istruì il maxi processo, blindati con le famiglie nel carcere dell’Asinara. morivllo biglietto a falconeFrancesca non lo lasciò mai e lo sosteneva come poteva, senza trascurare il suo lavoro da magistrato minorile. La donna accettò anche di non avere figli perché come le disse un giorno Falcone “non si fanno orfani, si fanno figli”. Francesca e Giovanni si sposarono, con una cerimonia segretissima nel maggio 1986 celebrata davanti al sindaco Leoluca Orlando, uno dei testimoni fu il giudice Antonino Caponnetto.
Dopo il successo nel maxi processo, ebbe inizio una stagione ancora più dura per Falcone: quella anche nota come "stagione dei veleni", in cui il magistrato subì una lunga serie di attacchi e delegittimazioni. Una situazione davvero difficile da affrontare, come quella del 21 giugno 1989 quando Giovanni Falcone e sua moglie si trovavano in vacanza in una villa all’Addaura, dove furono ritrovate 58 cartucce di esplosivo, di tipo Brixia B5, all'interno di un borsone sportivo. E’ in quel momento che Falcone rilasciò un’intervista al giornalista Saverio Lodato in cui parlò per la prima volta delle “menti raffinatissime”. Quell’attentato ebbe delle conseguenze notevoli nel rapporto tra Francesca e Giovanni, come raccontato dal fratello Alfredo nel libro “L’obbiettivo” del magistrato Luca Tescaroli, “Furono conseguenze piuttosto pesanti […] rimase molto scioccata e incise seriamente sulla loro vita familiare, perché… per tutta l’estate.. la sera mia sorella se ne andava a dormire a Palermo e lui restava lì. […] Quindi, ha avuto ripercussioni sia di carattere pratico… disagi concreti, sia nella loro vita familiare, sia come suo vero e proprio shock per ciò che era accaduto”. Un altro amico giornalista di Falcone, Francesco La Licata, raccontò che il magistrato, dopo il fallito attentato, si armò anche di una pistola. “L’ho visto che aveva un’arma addosso […] a una certa ora faceva andare via la moglie e si opponeva in ogni modo alla sua presenza nella villa… almeno quella sera proprio stavano quasi litigando perché lei voleva rimanere e lui invece ha insistito molto per farla andare via, perché diceva: ‘Hai capito che devo rimanere lucido? Devo rimanere lucido, devo capire, devo pensare... se penso a me non posso pensare anche a te’. - raccontò La Licata nel libro di Tescaroli - E’ per questo mi disse che dormiva per terra, evitava di dormire nel letto”.
Nonostante i grandi ostacoli, Francesca cercava in tutti i modi di stare accanto a Falcone, tanto che chiese al Csm di avere un incarico che gli permettesse di stare accanto al marito. “L’esigenza di raggiungere la sede richiesta per mantenere l’unità del nucleo familiare dato che il proprio coniuge Giovanni Falcone, anch’esso magistrato, - scriveva la Morvillo al Csm - è stato destinato al Ministero di Grazia e Giustizia con l’incarico di direttore generale degli affari penali”.
La Morvillo era accanto a Giovanni anche in quel tragico 23 maggio 1992, giorno in cui persero la vita assieme agli agenti della scorta. Francesca non morì subito, fu trasportata d’urgenza all’ospedale Cervello, poi trasferita al Civico, nel reparto di neurochirurgia, dove però perse la vita intorno alle 23, per le gravi lesioni interne riportate. Quando era ancora cosciente, nel letto d’ospedale pronunciò quelle sue ultime parole: “Dov’è Giovanni?”. Un amore quello di Francesca che andò oltre ogni limite e che ancora oggi fa battere il cuore a chi legge quelle sue parole d’amore nei confronti di un uomo che per la giustizia decise di sacrificare qualsiasi cosa della sua vita.

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