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di Aaron Pettinari
La famiglia insiste opponendosi all'archiviazione dell'inchiesta "ter"

Ieri mattina, davanti al gip di Messina Valeria Curatola, si è tenuta l'udienza amorale per l'omicidio del giornalista Beppe Alfano, ammazzato dalla mafia a Barcellona Pozzo di Gotto l'8 gennaio 1993. Come noto la Procura di Messina, rappresentata dal procuratore aggiunto Vito Fai Giorgio, lo scorso luglio ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta "ter" nei confronti di Stefano Genovese e Basilio Condipodero, indicati dal collaboratore di giustizia Carmelo D'Amico di essere stati il sicario ed il basista dell'omicidio.
Ad opporsi alla richiesta di archiviazione è la famiglia Alfano, rappresentata dall'avvocato Fabio Repici, determinato ad approfondire ulteriormente proprio le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia partendo proprio da D'Amico che di fatto scagiona uno dei soggetti già condannati per il delitto, Antonio Merlino. Assieme al camionista è stato condannato in via definitiva, come mandante, anche il boss Giuseppe Gullotti. Ma cosa ha dichiarato D'Amico agli inquirenti?
“...Mio fratello Carmelo, dopo che uscì dal carcere nel 1995, a seguito del triplice omicidio Raimondo-Geraci-Martino, mi disse che quell’omicidio non era stato commesso da Antonino Merlino, che dunque era stato arrestato un innocente e che l’esecutore materiale di quel fatto di sangue era stato, in realtà, Stefano Genovese”. Poi aveva aggiunto: “Mio fratello Carmelo non mi disse come fosse venuto a sapere queste circostanze. Per l’omicidio Alfano furono arrestati Merlino e Pippo Gullotti ma mentre Merlino non c’entrava niente, era coinvolto in pieno Gullotti... Mi pare di ricordare che Carmelo mi disse anche che all’omicidio Alfano aveva partecipato tale Basilio Condipodero, soggetto anche lui affiliato ai barcellonesi. Specifico però che non sono sicuro che mio fratello mi abbia riferito di tali circostanze. Mi pare di ricordare che la partecipazione di Condipodero all’omicidio Alfano me l’abbia riferita qualcun altro, ma in questo momento non ricordo chi”.

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L'avvocato Fabio Repici © Imagoeconomica


Come riportato da "La Gazzetta del Sud", Repici ha depositato un voluminoso atto d'opposizione, in cui indica una serie di nuovi e clamorosi accertamenti investigativi che dovrebbero essere espletati alla ricerca della verità.
Secondo il legale della famiglia Alfano il delitto rappresenta il "più grave dei crimini commessi a Barcellona Pozzo di Gotto da Cosa nostra". Non solo. "E' questo il crimine sul quale maggiormente organi istituzionali hanno mostrato il loro volto peggiore, con la commissione di sconvolgenti omissioni e veri e propri depistaggi".
"Prima di tutto - scrive il legale nel documento di 160 pagine - però, occorre nuovamente segnalare, come già fatto a partire dal 2003, che le indagini sull'omicidio di Beppe Alfano furono caratterizzate fin dall'immediatezza da un clamoroso depistaggio, il primo di una lunga e ininterrotta catena depilatoria. Le risultanze oggi presenti in atti dimostrano come la presenza di Santapaola nel barcellonese fosse stata appurata non solo da Alfano ma anche da organi investigativi e di intelligence fin da epoca di parecchio precedente all'omicidio Alfano; eppure, di ciò non era mai stata lasciata traccia nel fascicolo relativo all'omicidio Alfano". Secondo il legale sarebbero tre gli approfondimenti che dovrebbero essere eseguiti: "1. le indagini suppletive che si rendono necessarie sulla scorta delle risultanze circa la presenza di Santapaola nel barcellonese nel periodo precedente e successivo all'omicidio Alfano e circa eventuali mandanti del delitto ulteriori rispetto a Giuseppe Gullotti; 2. le indagini suppletive che si rendono necessarie sulla sorta delle clamorose anomalie e degli evidenti depistaggi compiuti da soggetti istituzionali (e non solo) sull'omicidio Alfano, non per comprovare responsabilità penali al riguardo (che spettano per la gran parte ad altra A.g.) ma perché da quegli accertamenti derivano ovvi elementi per l'accertamento della verità. Al riguardo, è facile rilevare come i depistaggi abbiano avuto quale scopo proprio quello di ostacolare l'individuazione di ulteriori mandanti e delle cause o concause del delitto; 3. le indagini suppletive necessarie alla scorta delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Carmelo D'Amico, Francesco D'Amico e Nunziato Siracusa".

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Sonia Alfano © Imagoeconomica


Il gip Curatola ha disposto intanto l'acquisizione delle trascrizioni integrali delle dichiarazioni dei collaboratori per i quali vi erano agli atti solo i verbali riassuntivi. Poi ha rinviato tutti al 19 dicembre, quando prenderà la parola il difensore dei due indagati, l'avvocato Diego Lanza.
Nel frattempo il 10 ottobre 2019 la Corte d’Appello di Reggio Calabria, dopo aver accolto l’istanza dei difensori, ha avviato il giudizio di revisione a favore del boss Giuseppe Gullotti.
Un processo che viene guardato con preoccupazione dalla figlia del cronista, Sonia Alfano.
"Ciò che è strano - ha detto - è che questa revisione è stata disposta senza passare dal vaglio di ammissibilità. Per revisionare una sentenza definitiva ci devono essere nuovi elementi, nuove prove, che prima hanno bisogno di un vaglio e solo se vengono ritenute valide e tali da dare un contributo utile si dispone la revisione. In tale circostanza tutto questo non c'è stato ed è l'unico caso nella storia della giustizia italiana".
E a rendere ancora più intricato il caso il dato per cui, sempre a Reggio Calabria, Gullotti è indagato assieme all'ex pm Canali (accusato per corruzione in atti giudiziari per favorire Cosa nostra). Due procedimenti distinti che di fatto si basano sul memoriale scritto proprio da Canali nel 2006 in cui, secondo gli inquirenti, avrebbe cercato di scagionare Giuseppe Gullotti dalle accuse mossegli in un altro processo, noto come Mare Nostrum, sollevando dubbi anche sulle sue responsabilità nel delitto Alfano, responsabilità che pure aveva sostenuto in fase di indagine e in aula nelle vesti di sostituto procuratore pur non contestando l'aggravante della premeditazione (così per Gullotti giunse una condanna a 30 anni invece che all'ergastolo, ndr).
Vicende che si intrecciano e che rischiano di generare ulteriore confusione rispetto ad un caso che ventisei anni dopo, nonostante i processi e le sentenze già emesse, è tutt'altro che concluso.

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