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di Davide de Bari
Il presidente dell’antimafia: “Sentenza si rispetta, ma restano ambiguità e perplessità”
I giudici ermellini ribaltano il verdetto d’Appello che aveva riconosciuto il 416bis, che la Procura Generale aveva chiesto di confermare

“Non è mafia”. E’ questo il verdetto dei giudici della Suprema Corte di Cassazione, che in tarda serata, dopo una lunga camera di Consiglio, hanno pronunciato la sentenza su uno dei processi più importanti della storia della Capitale. La VI sezione penale della Cassazione, presieduta da Giorgio Fidelbo, ha deciso che il ‘mondo di mezzo’ dell'ex Nar Massimo Carminati e dell'ex Ras delle cooperative Salvatore Buzzi non era un'associazione mafiosa. La procura generale della Corte di Cassazione aveva chiesto la conferma delle condanne di Appello, che riconobbero per Buzzi e Carminati e i loro collaboratori le accuse aggravate dal metodo mafioso, ma la decisione è stata un’altra. I giudici ermellini hanno riconosciuto l’associazione a delinquere, ma non la sua “mafiosità”. Inoltre, sono cadute anche molte delle accuse contestate a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.
L’inchiesta sul ‘mondo di mezzo’, ribattezzata “Mafia Capitale", dalla Procura di Roma, allora guidata da Giuseppe Pignatone, fece venire a galla come negli ultimi anni nella capitale avrebbe agito un'associazione di stampo mafioso, ''romana'' e con ''caratteri suoi propri e originali rispetto alle altre organizzazioni mafiose''‎, capace di mettere le mani, con la complicità di politici e funzionari, sugli appalti pubblici: dai centri di accoglienza per i migranti ai campi nomadi, dal verde ai rifiuti.
Un’inchiesta che portò, nel dicembre 2014, all’arresto di 37 persone e 39 indagate e sequestrati beni per 200 milioni di euro. Secondo i pm a capo dell’organizzazione ci sarebbe stato Massimo Carminati, ex esponente del gruppo eversivo neofascista NAR, legato anche alla Banda della Magliana, detto “Er Cecato”. "E' la teoria del mondo di mezzo, compà. Ci stanno, come se dice, i vivi sopra e li morti sotto e noi stamo ner mezzo… ce sta un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici: cazzo, com'è possibile che… un domani io posso stare a cena con Berlusconi?… il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra”, diceva Carminati in un’intercettazione. Secondo l’accusa insieme a Carminati a capo dell’organizzazione ci sarebbe stato anche Salvatore Buzzi, ex presidente della Cooperativa 29 giugno. “[…]Tu c'hai idea de quanto ce guadagno sugli immigrati? il traffico de droga rende meno…”, diceva Buzzi al suo collaboratore in un’intercettazione del Ros.
Tra gli indagati, spiccava il nome di Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, che avrebbe ricevuto 125 mila euro, in gran parte attraverso la sua fondazione “Nuova Italia”, da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. Il 5 novembre 2015 è iniziato il maxi-processo a “Mafia Capitale”. Davanti al giudice sono comparsi 46 imputati, 19 dei quali accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso (416 bis).

Il primo grado
La sentenza di primo grado del processo al 'Mondo di Mezzo' arrivò il 20 luglio 2017 e vide la condanna dei principali protagonisti dell'inchiesta ma il mancato riconoscimento dell'associazione mafiosa. Per il risultato la difesa esultò, visto che il piano dell’accusa si basava principalmente nel riconoscimento del 416bis, nonostante le pesanti condanne inflitte dalla X sezione penale del Tribunale, che comunque furono più basse di quelle chieste dalla procura di Roma, 250 anni di carcere contro gli oltre 500 chiesti dai pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli. Alla sbarra 46 imputati, 19 con l'accusa di 416 bis, reato che cadde per tutti. Quarantuno le condanne e cinque le assoluzioni. Furono assolti l'ex dg di Ama, Giovanni Fiscon per il quale la Procura aveva chiesto 5 anni; Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, accusati di essere il collegamento del clan Carminati & Buzzi con la ‘Ndrangheta; Giuseppe Mogliani e Fabio Stefoni. Per l'ex Nar la condanna più dura: 20 anni di reclusione contro i 28 anni chiesti dalla procura. Al 'ras delle cooperative' Salvatore Buzzi furono inflitti 19 anni, contro i 26 anni e 3 mesi richiesti. Tra gli altri, per Riccardo Brugia, considerato il braccio destro di Massimo Carminati, la condanna fu a 11 anni (la richiesta per lui era 25 anni e 10 mesi). Per l'ex capogruppo Pdl alla Regione Lazio Luca Gramazio, unico politico con l'accusa di associazione mafiosa, la condanna è a 11 anni di carcere (contro i 19 e sei mesi chiesti dai pm), per Mirko Coratti, ex presidente dell'assemblea capitolina, a 6 anni (erano stati chiesti 4 anni e 6 mesi). Nelle oltre 3.200 pagine di motivazioni, il Tribunale, che aveva smontato l'accusa di associazione mafiosa, aveva spiegato che "non ha individuato, per i due gruppi criminali", quello presso il distributore di Corso Francia e quello riguardante gli appalti pubblici, "alcuna mafiosità 'derivata' da altre, precedenti o concomitanti formazioni criminose". Per i giudici di primo grado le due associazioni non sono caratterizzate neppure da mafiosità 'autonoma'. Il concetto di ''mafiosità'', cui più volte fecero riferimento gli accusatori nel processo al 'Mondo di Mezzo', "non è quello recepito dal legislatore nella attuale formulazione della fattispecie di cui all'art. 416 bis c.p. per la quale, come già detto, non è sufficiente il ricorso sistematico alla corruzione ed è invece necessaria l'adozione del metodo mafioso, inteso come esercizio della forza della intimidazione".

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Suprema Corte di Cassazione © Imagoeconomica


Il secondo grado
Risultato quello di primo grado, ribaltato in Appello. Infatti, i giudici con la sentenza dell’11 settembre 2018 riconobbero il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Dunque l’ipotesi della Procura, che era caduta in primo grado con la sentenza del luglio 2017, in Appello fu confermata. Per l'ex terrorista dei Nar Massimo Carminati e il ras delle coop romane, Salvatore Buzzi, fra i 43 imputati al processo sul 'Mondo di Mezzo', le pene in Appello furono ridotte. I due furono condannati rispettivamente a 14 anni e mezzo e a 18 anni e 4 mesi dalla terza Corte d'Appello di Roma, presieduta da Claudio Tortora. Il pg aveva chiesto una condanna a 26 anni e mezzo per l'ex Nar e 25 anni e 9 mesi per Buzzi, condannati in primo grado rispettivamente a 20 e a 19 anni. Oltre a Buzzi e Carminati, l’associazione mafiosa fu riconosciuta anche per altri 16, tra i quali Luca Gramazio e Franco Panzironi. I giudici riconobbero l'associazione a delinquere di stampo mafioso, l'aggravante mafiosa o il concorso esterno, a vario titolo, anche per Claudio Bolla condannato a 4 anni e 5 mesi, Riccardo Brugia 11 anni e 4 mesi, Emanuela Bugitti 3 anni e 8 mesi, Claudio Caldarelli 9 anni e 4 mesi, Matteo Calvio 10 anni e 4 mesi. Condannati, tra gli altri, anche Paolo Di Ninno 6 anni e 3 mesi, Agostino Gaglianone 4 anni e 10 mesi, Alessandra Garrone 6 anni e 6 mesi, Luca Gramazio 8 anni e 8 mesi, Carlo Maria Guaranì 4 anni e 10 mesi, Giovanni Lacopo 5 anni e 4 mesi (poi deceduto), Roberto Lacopo 8 anni, Michele Nacamulli 3 anni e 11 mesi, Franco Panzironi 8 anni e 7 mesi, Carlo Pucci 7 anni e 8 mesi e Fabrizio Franco Testa 9 anni e 4 mesi, Mirko Coratti 4 anni e 6 mesi, Andrea Tassone 5 anni. Furono assolti, invece, Stefano Bravo, Pierina Chiaravalle, Giuseppe Ietto e Sergio Menichelli, con la formula "per non aver commesso il fatto". Fu assolta "perché il fatto non costituisce reato" anche Nadia Cerrito, contabile della Coop 29 giugno. Furono confermate anche le assoluzioni per Rocco Ruotolo e Salvatore Ruggiero. "Abbiamo sempre detto che le sentenze vanno rispettate. Lo abbiamo fatto in primo grado e lo faremo anche adesso - aveva detto commentando il verdetto d'Appello il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini, in aula assieme al pm Luca Tescaroli in applicazione ai sostituti procuratori generali Antonio Sensale e Pietro Catalani - La Corte d’Appello ha deciso che l'associazione criminale che avevamo portato in giudizio era di stampo mafioso e utilizzava il metodo mafioso. Era una questione di diritto che evidentemente i giudici hanno ritenuto fondata". Nelle quasi 600 pagine depositate dai giudici dalla terza Corte d'Appello di Roma per motivare la sentenza su “Mafia Capitale”, si leggeva che "elementi di fatto a conferma del carattere mafioso dell'associazione possono trarsi anche dalla protezione garantita ad imprenditori e dal successivo inserimento nella loro attività con un rapporto caratterizzato dalla gestione di affari in comune". "Ai fini della sussistenza del delitto di associazione mafiosa - scrivevano ancora i giudici - non è rilevante né il numero modesto delle vittime (che il tribunale ha indicato nel numero di 11) né il limitato contesto relazionale e territoriale. Non può escludersi il carattere mafioso della nuova associazione perché non sono elementi costitutivi di tale elemento né il controllo generale del territorio né una generalizzata condizione di assoggettamento e omertà della collettività. Nella associazione Carminati conferì la sua forza di intimidazione e Buzzi conferì l'organizzazione delle cooperative e il collaudato sistema di corruttela e prevaricazione".
Risultato quello di Appello ribaltato oggi dopo la sentenza della Cassazione. Dunque per Buzzi e Carminati, insieme agli altri imputati, ci sarà un nuovo processo d’Appello bis per la revisione delle pene, visto che è stata riconosciuta l’associazione per delinquere semplice e non mafiosa.
Ciò che è certo, dopo un verdetto come quello di questa sera, è che restano i dubbi e le perplessità, come ha commentato il presidente della Commissione antimafia, Nicola Morra: “A Roma non c'era mafia. Secondo la Cassazione. Le sentenze si rispettano. Ma le perplessità, i dubbi, le ambiguità permangono tutte".

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