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di AMDuemila
Scoppia la polemica. Per ex presidente Parco dei Nebrodi: "Rimango basito, forse dovevo morire"

Con il voto unanime dei presenti la Commissione antimafia regionale siciliana, presieduta da Claudio Fava, ha approvato questo pomeriggio la relazione (104 pagine di documento) sul fallito attentato all'ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, avvenuto la notte tra il 17 e il 18 maggio 2016 mentre era di rientro verso casa.
Al tempo Antoci aveva una scorta di terzo livello e durante il suo mandato ha introdotto un protocollo di legalità, poi sottoscritto dai prefetti dell’isola e dalla Camera, in base al quale bisognava presentare il certificato antimafia per avere l’assegnazione degli affitti dei terreni all’interno del parco, in modo da arginare l’infiltrazione della criminalità, che sfruttava i terreni per accedere ai fondi europei.
Lungo il cammino l'auto blindata venne dapprima bloccata da alcuni massi, successivamente furono sparati dei colpi di lupara contro la vettura.
Si legge nella relazione che la Commissione regionale antimafia in questi mesi di inchiesta ha valutato tre ipotesi delineate da varie fonti, compresi gli auditi: un attentato mafioso fallito che intendeva eliminare il dottor Antoci; un atto dimostrativo destinato non ad uccidere ma ad avvertire (la vittima o altri ambienti criminali locali sui quali far ricadere la responsabilità del fatto); nessun attentato ma solo una messinscena (che renderebbe Giuseppe Antoci doppiamente vittima, in quanto del tutto inconsapevole di tale simulazione).
"Alla luce delle testimonianze raccolte - è scritto nel documento - degli atti acquisiti e delle contraddizioni emerse sotto il profilo testimoniale e investigativo, nessuna delle tre ipotesi può essere accantonata". L'Antimafia ha svolto un ciclo di 19 audizioni: Mario Barresi (giornalista), Paolo Mondani (giornalista), Francesco Viviano (giornalista), Mario Ceraolo (ex vice questore della Polizia di Stato, audito due volte), Lorena Ricciardello (compagna dell'assistente capo Tiziano Granata), Enzo Basso (giornalista), Salvatore Calì (sindaco di Cesarò), Giuseppe Cucchiara (ex questore p.t. di Messina), Mario Finocchiaro (ex questore p.t. di Messina), Giuseppe Anzalone (ex dirigente della squadra mobile di Messina), Fabio Venezia (sindaco di Troina), Salvatore Santostefano (assistente capo della Polizia di Stato), Sebastiano Proto (assistente capo della Polizia di Stato), Giuseppe Lo Porto (ex maresciallo dei carabinieri presso la locale stazione di Cesarò), Giuseppe Antoci (ex presidente dell'Ente Parco dei Nebrodi), Daniele Manganaro (ex dirigente del commissariato di P.S. di Sant'Agata di Militello), Angelo Cavallo (Procuratore capo di Patti) e Nuccio Anselmo (giornalista della Gazzetta del Sud). Il tema dell'inchiesta, inoltre, è stato oggetto di approfondimenti nel corso della missione nella Prefettura di Messina svoltasi il 22 luglio scorso alla quale hanno preso parte, tra gli altri, il procuratore generale Vincenzo Barbaro, il procuratore Maurizio De Lucia e il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio.

Fava: "Antoci vittima, ma anomalie impongono nuove indagini"
Ad esporre la relazione è stato il Presidente Claudio Fava che ai giornalisti ha spiegato il lavoro svolto: "La Commissione, ha spiegato il presidente Fava, ha cercato di approfondire i numerosi interrogativi lasciati aperti dal decreto di archiviazione disposto dal gip di Messina e, al tempo stesso, di affrontare, attraverso una minuziosa ricostruzione dei fatti, le opacità, le contraddizioni e i vuoti di verità che permangono da tre anni su questa vicenda. Abbiamo ascoltato tutti quelli che potevano portare un elemento di chiarezza, partendo da tre ipotesi che restano tutte in campo. Dalle contraddizioni che emergono, la meno plausibile sembra quella dell'attentato mafioso. E io credo che ci sia un debito di verità anzitutto nei confronti di Antoci che in ogni caso è vittima". "Se hanno tentato di ucciderlo o se nella sua inconsapevolezza hanno organizzato una messa in scena ai suoi danni - ha aggiunto - l'auspicio è che ci sia un supplemento di indagini su una vicenda che è stata archiviata che però pretende che la verità, qualunque essa sia, venga restituita ad Antoci".
Fava ha spiegato che quelle anomalie emerse, le incongruenze e le contraddizioni non riguardano nello specifico l'ex Presidente del Parco dei Nebrodi ma "quel che si è mosso attorno a lui. Oltre ad alcune lacune sul piano investigativo che è difficile spiegare vista la gravitàdi quello che si suppone sia potuto accadere: il più clamoroso attentato di mafia dopo le stragi del 1992".
Secondo l'Antimafia regionale "non è plausibile che quasi tutte le procedure operative per l'equipaggio di una scorta di terzo livello, qual era quella di Antoci, siano state violate (l'auto blindata abbandonata, la personalità scortata esposta al rischio del fuoco nemico, la fuga su un'auto non blindata, l'aver lasciato due agenti sul posto esposti ad una reazione degli aggressori)", si legge nella relazione. Non la sola incongruenza per l'Antimafia regionale. Altri dubbi riguardano il fatto che gli attentatori, "almeno tre (a giudicare dalle tre marche di sigarette riscontrate sui mozziconi), presumibilmente tutti armati (non v'è traccia nelle cronache di agguati di stampo mafioso a cui partecipino sicari non armati), non aprano il fuoco sui due poliziotti sopraggiunti al momento dell'attentato". Allo stesso modo "non è plausibile che, sui 35 chilometri di statale a disposizione tra Cesarò e San Fratello, il presunto commando mafioso scelga di organizzare l'attentato proprio a due chilometri dal rifugio della forestale, presidiato anche di notte da personale armato, né è plausibile che gli attentatori non fossero informati su questa circostanza".
Fava, parlando con i giornalisti, ha aggiunto: "In quella occasione sono state violate tutte le procedure previste nei confronti di una personalità scortata da parte dell'equipaggio della scorta. Non c'è stata comunicazione fra tutti i soggetti presenti, agenti o funzionari di polizia, e non c'è stato un confronto né in sede investigativa né in sede giudiziaria tra due funzionari di polizia che, sugli stessi episodi, hanno offerto versioni diametralmente opposte". E ancora, risulta inspiegabile che "nessuno, dopo mesi di intercettazioni nessuno, dalla criminalità locale alle organizzazioni mafiose più consolidate, abbia saputo spiegare o alludere a quello che era successo continuando a dirsi del tutto estranei. Uno a uno possono considerarsi dettagli, ma tutte insieme si possono considerare una filiera di anomalie, di incongruenze che hanno portato questa commissione a ritenere che tutte le ipotesi restino in campo e che fra queste, forse, l'attentato sia la meno plausibile". "Noi non ci siamo mossi dalle segnalazioni anonime - ha voluto sottolineare il Presidente Fava - ma siamo partiti da un'altra urgenza: come il più grave attentato stragista mafioso che viene archiviato senza colpevoli. Noi trasmettiamo per prassi la nostra documentazione all'autorità giudiziaria, poi se riterranno di fare ulteriori approfondimenti sarà una loro valutazione".
Parlando delle indagini compiute dagli investigatori sul fallito attentato Fava ha spiegato che non si tratterebbe di un depistaggio: "Noi pensiamo semmai che ci sia stata una carenza investigativa come ci èstato riportato da molte fonti autorevoli, tutte investigative. E' abbastanza inconsueto che di fronte a un'ipotesi stragista di questo tipo, per fortuna mancata, si attivino la squadra mobile di Messina e il commissariato di Sant'Agata di Militello. E come se dopo l'attentato fallito all'Addaura a Falcone fosse stato incaricato delle indagini il commissariato di Mondello...".

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Il presidente della "Commissione d'inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della
corruzione in Sicilia", Claudio Fava



Misteri da chiarire
Nella relazione si definisce "censurabile il fatto che il dottor Manganaro abbia offerto su alcuni punti versioni diverse da quelle che aveva fornito ai pm in sede di sommarie informazioni". Non è tutto: "E' per lo meno inusuale che di fronte ad un attentato ritenuto mafioso con finalità stragista la delega per le indagini venga ristretta alla squadra mobile di Messina e al commissariato di provenienza dei quattro poliziotti protagonisti del fatto, fatta eccezione per un contributo meramente tecnico dello Sco e per l'intervento del gabinetto della polizia scientifica di Roma molto tempo dopo".
"Non si comprende - si legge ancora nella relazione - la ragione per cui al gabinetto della polizia scientifica di Roma, tra i vari quesiti sottoposti, non sia stato chiesto di valutare se la Thesis blindata di Antoci avrebbe potuto o meno superare il 'blocco' delle pietre poste sulla carreggiata (e soprattutto quanto tempo e quante persone occorressero per posizionare quelle pietre)". "Insolito", infine, che sulla ricostruzione dei fatti emergano "versioni divergenti" da parte dei diretti interessati su "punti dirimenti", dal numero degli aggressori alla loro fuga.
Secondo la commissione Antimafia dell'Assemblea regionale siciliana "difficilmente si sarebbe potuti arrivare ad esiti investigativi diversi dall'archiviazione d'un fatto tuttora attribuito ad ignoti, ma certamente indagini più estese e soprattutto più coinvolgenti rispetto ad altri apparati di forze dell'ordine avrebbero potuto contribuire a fornire alcune risposte che mancano. Su altri punti, tutti dirimenti, la non plausibilità dei comportamenti resta invece senza spiegazioni".
Nella relazione, che sarà trasmessa, oltre che al presidente dell'Ars, anche alla Commissione antimafia nazionale e alle procure della Repubblica competenti, si affronta anche la vicenda di due dei più fidati collaboratori del dottor Manganaro: il sovrintende Calogero Emilio Todaro e l'assistente capo Tiziano Granata, morti a distanza di un giorno l'uno dall'altro. Granata, l'1 marzo 2018 per arresto cardiocircolatorio. Todaro, l'indomani, a seguito di una leucemia fulminante. Per queste morti, la Commissione ha chiesto che vengano riaperte le indagini. La compagna di Granata, Lorena Ricciardello, ascoltata in commissione Antimafia, ha sempre nutrito dubbi sulla morte naturale del suo compagno.

L'inchiesta della Dda di Messina
Nella richiesta di archiviazione i pm della Dda di Messina avevano specificato che l'intenzione di quell'agguato non sarebbe stata di uccidere Antoci ma solo fermare l'auto ("un vero e proprio agguato, meticolosamente pianificato, organizzato ed attuato con tecniche di tipo militare. Appariva in dubbio che gli attentatori avessero agito non al fine di compiere un semplice atto intimidatorio e/o dimostrativo, ma al deliberato scopo di uccidere").
"I Killer del commando mafioso - scrivevano ancora i magistrati della Procura - avevano ostruito le carreggiate con massi al fine di costringere l'autovettura a rallentare l'andatura; subito dopo avevano sparato all'indirizzo del mezzo blindato, attingendolo nella sua parte inferiore, nella immediata vicinanza della gomma posteriore sinistra, e ciò al probabile fine di bloccare la corsa del mezzo''. Ed ancora si scriveva che "al contempo, la presenza delle bottiglie molotov induceva a ritenere come gli attentatori, una volta bloccata l'autovettura blindata, volessero incendiare quel mezzo e così costringere i suoi occupanti a scendere da esso, in modo che questi ultimi non potessero più beneficiare della protezione del veicolo blindato".
Quel piano sarebbe però saltato per l'intervento del vicequestore della polizia Antonio Manganaro, dirigente del commissariato di Sant'Agata e amico di Antoci, che viaggiava in un'altra auto poco distante di ritorno da una cena in compagnia dell'amico. Manganaro, come lui stesso ha raccontato, avrebbe messo in fuga gli attentatori assieme al poliziotto Tiziano Granata (deceduto a marzo 2018).
Le indagini che furono condotte nei confronti di 14 persone, però non portarono ad una conclusione certa tanto che la richiesta di archiviazione fu accolta dal Gip. In quell'indagine emerse che i profili genetici (due diversi, riconducibili a individui di sesso maschile), ricostruiti dal Dna trovato su cinque cicche di sigarette (tre Rothmans, una Camel e una B&H) rinvenute sul luogo dell'agguato, non corrispondevano a nessuno dei 14 indagati. Inoltre, tra la mezzanotte e le tre del 18 maggio, nessuna delle utenze telefoniche intestate o in uso agli indagati era presente nell'area di copertura di cella della zona interessata dall'agguato. Ugualmente non emerse nulla di significativo isolando tutte le utenze attive in quella fascia oraria e in quell'area geografica, monitorando i tabulati telefonici, e non comparvero contatti o relazioni con gli indagati.
Nemmeno le segnalazioni del vicequestore Manganaro su alcuni individui mafiosi che aveva individuato nei luoghi in cui Antoci si trovava prima dell'agguato hanno portato risultati perchè non sono riusciti ad ottenere riscontri concreti. Nessun passo falso da parte dei mafiosi neanche al telefono, anzi tra le intercettazioni registrate vi è anche una in cui gli stessi mafiosi si domandano chi possa aver fatto l'agguato ad Antoci.

La replica dell'ex Presidente del Parco dei Nebrodi
Da parte sua Antoci, leggendo le prime notizie riportate sulla relazione, ha commentato: "Rimango basito di come una Commissione, che solo dopo tre anni si occupa di quanto mi è accaduto, possa arrivare addirittura a sminuire il lavoro certosino e meticoloso che per ben due anni la DDA di Messina e le Forze dell'Ordine hanno portato avanti senza sosta, ricostruendo gli accadimenti con tecniche avanzatissime in uso alla Polizia Scientifica di Roma e che oggi rappresentano per l'Italia un fiore all'occhiello".
"Fava dice che io sono in ogni caso una vittima? Non m'interessa - ha proseguito - Io sono vivo grazie alla mia scorta. Ci sono stati due poliziotti morti in 24 ore. Ci sono i milioni di euro finiti alla mafia dei pascoli. E l'indagine la fanno sulla dinamica dell'attentato". "La magistratura - ha aggiunto - ha fatto un lavoro certosino. E' una pagina buia, vergognosa quella scritta dall'Antimafia siciliana. Danno credito a persone che non portano prove. Io difendo i magistrati e le forze dell'ordine. E' proprio di questi giorni l'agguato in Colombia contro la candidata Sindaco di Suarez anche essa bloccata con l'auto blindata colpita da fucilate e poi bruciata. Morti lei e gli uomini della scorta. Stessa tecnica utilizzata sui Nebrodi per l'attentato a me. Ma forse il fatto che l'ex presidente del Parco e la sua scorta quella sera non siano morti basta per alimentare la solita più che sperimentata macchina del fango". "Il tema non è Antoci: Falcone diceva bisogna morire per essere credibili - conclude - Non si può gettare nel piatto tre ipotesi e dire scegliete quella che vi piace. E' una cosa vergognosa".
E poi ancora: "Come mai la Commissione, come prevede la Legge Regionale, non si è occupata anche dei milioni di Euro che sono stati colpiti dal Protocollo Antoci e delle possibili connivenze che andavano verificate all'interno dell'apparato regionale che per anni ha assistito inerme ad un affare che, per molti versi, si è rivelato per la mafia maggiore del lucroso mercato delle droga? Sulla mafia dei Terreni nessuna inchiesta. Sul loro sistema di collusioni nessun accertamento. Nessun atto a favore dei poveri agricoltori e allevatori che per anni hanno subito le vessazioni dei mafiosi rubando loro la dignità, i diritti e il futuro". "Non si fa politica - ha aggiunto Antoci - giocando con la vita delle persone, dando spunti a delegittimatori e mascariatori. Bisogna essere rigorosi e cauti, ci va di mezzo la sicurezza e la vita della gente. Ma purtroppo passando il tempo - ha continuato Antoci - le cose pare si dimentichino ed io non pensavo che proprio Claudio Favadimenticasse ciò che è stato detto e fatto contro suo padre ed il mascariamento che ha subìto quando tutto veniva sminuito e legato a fatti personali e non alla mafia".
Rispetto alle parole di Antoci, rispondendo a giornalisti, il presidente Fava non ha voluto commentare.

Foto © Imagoeconomica

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