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di AMDuemila
L'intervento del pm per ricordare il giudice e il maresciallo Lenin Mancuso

"Cesare Terranova è uno di quei magistrati di cui sono particolarmente onorato di parlare. Perché, tra tanti motivi, è un magistrato che ha combattuto la criminalità organizzata 50 anni fa, ma lo ha fatto con gli strumenti e con una visione di insieme che solo oggi rappresentano un bagaglio sedimentato dell’azione giudiziaria antimafia. Questo 'cortocircuito' temporale ne ha segnato costantemente la vita e, inesorabilmente, la morte".
Con queste parole Roberto Tartaglia, ex pm della Procura di Palermo che ha fatto parte del pool che ha sostenuto l'accusa nel processo sulla cosiddetta trattativa tra Stato e Mafia e oggi consulente della Commisione nazionale antimafia, è intervenuto ieri a Petralia Sottana (Pa) all'evento organizzato nel quarantennale dell'omicidio del giudice Terranova e del maresciallo Lenin Mancuso.
"Tra le tante e nobili parole che sono state spese per descriverlo, mi hanno sempre colpito quelle di Leonardo Sciascia, che scolpì tre parole per descrivere le qualità più evidenti di Terranova: 'acutezza', 'tenacia' e 'candore di fronte al male' (inteso quest’ultimo come antidoto al cinismo 'burocratizzante' di alcune funzioni).
Tornando al dato temporale, mi impressiona che Terranova sia arrivato all’Ufficio istruzione di Palermo, ad occuparsi di 'corleonesi', nel 1958: anche dopo aver letto tanti materiali, fatico ad immaginare cosa doveva essere la Palermo di quegli anni. Il ‘58 è prima della prima guerra di mafia; è ancora prima di quella nota Pastorale del cardinale Ruffini - del 1964 - in cui si tranquillizzavano le coscienze della città gridando che la mafia non esiste. Proprio in quel 1964 in cui il giudice istruttore Terranova - a proposito di mafia che esisteva - firma la sentenza istruttoria nei confronti di La Barbera più 116.
"Ma Terranova è un pioniere non solo per aver 'scoperto' giudiziariamente i corleonesi e non solo perché il suo lavoro personale portò al primo ergastolo di Luciano Leggio per l’omicidio di Navarra - ha proseguito il magistrato - fu un pioniere perché fotografò in diretta la grande e micidiale trasformazione imprenditoriale di Cosa Nostra, collegata al 'sacco di Palermo' ma non solo. La fotografò e la mise davanti agli occhi di tutti, scrivendo nero su bianco - nella sentenza sulla strage di viale Lazio - che la “nuova mafia” stava assumendo il volto degli amministratori comunali. Ed aggiungendo, pochi giorni prima di morire, in un’intervista, che la mafia che lo preoccupava era quella degli appalti pubblici. È quasi un salto naturale allora quello che Terranova fece in Commissione antimafia, quando fu eletto deputato; quando decise di portare con sé Lenin Mancuso come consulente della Commissione antimafia (circostanza spesso non ricordata); quando nella 'storica' relazione di minoranza del 1976, firmata insieme a Pio La Torre, scrisse che la mafia è 'un fenomeno di classi dirigenti' e poi aggiunse, per la prima volta in un documento sulla criminalità organizzata, i nomi e cognomi di persone come Lima e Ciancimino". "È per tutto questo che Terranova è stato ucciso - ha concluso Tartaglia - evidentemente non solo per la vendetta personale di Luciano Leggio; ma perché uno così non poteva diventare capo dell’Ufficio istruzione di Palermo, come stava per accadere. Perché non poteva essere consentito da quel fenomeno di classi dirigenti. Non è un caso d’altronde che il suo omicidio fu rivendicato, per depistare, da Ordine Nuovo: strategia di depistaggio raffinata, che successivamente si ripeterà ogni volta che gli omicidi di Cosa Nostra avranno purtroppo un obiettivo strategico e complesso".

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