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di Aaron Pettinari e Davide de Bari
Il 5 agosto 1989 la mafia assassinava il poliziotto e la moglie in un agguato.
Primo anniversario senza la mamma Augusta

“Quando morirò voglio che si scriva sulla mia lapide testualmente: qui giace una madre in attesa di giustizia”. Le parole di mamma Augusta Schiera, madre dell'agente di polizia Nino Agostino ucciso il 5 agosto 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio e il figlio che lei aveva in grembo, risuonano all'infinito in queste commemorazioni. Trent'anni sono passati senza conoscere la verità sul perché furono spezzate le loro vite.
Le inchieste hanno permesso di ricostruire alcuni tasselli ma non basta perché ci sono tanti, troppi, interrogativi e misteri che si celano dietro quell'agguato. Augusta si è spenta lo scorso febbraio ed oggi Vincenzo Agostino e tutta la famiglia, nonostante il dolore per un'ulteriore perdita, tornano con più forza a farsi carico anche di quel grido di giustizia e speranza che questa donna e madre esprimeva in ogni momento, rivivendo il dramma di quel giorno ma anche trasmettendo tutta la propria determinazione.
Il 5 agosto 1989 Nino e Ida si trovavano davanti la casa dei genitori di Agostino quando i sicari, in motocicletta, spararono contro i coniugi. Il poliziotto fu colpito da vari proiettili invece la moglie da un solo colpo mentre si avvicinava al marito ed urlava agli aggressori "Io so chi siete”. Quel giorno Agostino non era in servizio, né portava armi addosso. Il tutto avvenne davanti agli occhi del padre, Vincenzo.
Perché fu ucciso Antonino Agostino? Perché è tanto difficile giungere ad un processo? Dalle indagini fin qui compiute, tra fascicoli aperti, poi archiviati, ed ulteriormente riaperti, è emerso che Agostino era impegnato nella ricerca dei latitanti, che probabilmente indagava anche sul fallito attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone (è emerso recentemente che in quel giorno, ad esempio, era in servizio proprio in quei luoghi). L’omicidio dell’agente, però, fu inizialmente etichettato come “delitto passionale” dalle indagini iniziali, che si concentrarono ostinatamente sulla tesi di una vendetta da parte dei familiari di un’ex fidanzata. Il primo tentativo di depistaggio che proseguì immediatamente dopo quando furono fatte sparire le carte che lo stesso aveva nell'armadio di casa sua. Vincenzo Agostino ha raccontato più volte che "mio figlio nel portafogli portava un biglietto, quando lo presi e lo lanciai contro il muro, nel giorno del delitto, venne trovato questo pezzo di carta in cui c'era scritto di andare a cercare dentro il suo armadio nel caso in cui gli fosse successo qualcosa". Quegli appunti, però, furono fatti scomparire. E il dato emerge nelle inquietanti parole di un ex poliziotto, Guido Paolilli, indagato per favoreggiamento e poi archiviato per prescrizione.


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Augusta Schiera Agostino © Shobha


In un'intercettazione ambientale effettuata il 21 febbraio 2008 nella sua casa di Montesilvano, in provincia di Pescara, mentre in televisione veniva trasmesso un servizio durante la trasmissione “La Vita in diretta” in cui il padre di Nino, Vincenzo Agostino, parla del biglietto trovato nel suo portafogli, il figlio di Paolilli lo interrogava: “Cosa c'era in quell'armadio?”. E la risposta fu lapidaria: “Una freca di cose che proprio io ho pigliato e poi ne ho stracciato”. Paolilli ai magistrati ha sempre negato di aver mai pronunciato quelle parole e che se ciò era avvenuto il riferimento era a delle carte che il figlio, appena sposato, teneva in casa.
Ma le registrazioni raccontano altro. Quella sottrazione di prove rappresenta indubbiamente un altro pezzo del depistaggio condotto durante le indagini e di questo si dà atto nel decreto di archiviazione del Gip Maria Pino in quanto le risultanze istruttorie su Guido Paolilli“dimostrano come l’indagato (Paolilli, ndr) abbia contribuito alla negativa alterazione del contesto nel quale erano in corso di svolgimento le investigazioni inerenti all’omicidio di Antonino Agostino e Ida Castelluccio”.
Ma vi sono anche altre anomalie investigative come ad esempio il verbale di relazione scritto dallo stesso Paolilli ed inviato al dirigente della Squadra Mobile. Un documento dove si dà atto che nel corso delle indagini erano state "effettuate tre perquisizioni presso quella abitazione (di Agostino, ndr) e, solo nel corso della terza, durante la quale a differenza delle altre partecipava anche lo scrivente, in uno stanzino venivano rinvenuti 6 fogli su cui l'Agostino aveva scritto di proprio pugno, tra l'altro, di temere per la propria incolumità”.
Cosa c'era scritto in quei fogli scritti da Agostino?
La domanda, legittima, è rimasta fin qui inevasa. La Procura generale di Palermo sta conducendo una nuova indagine nei confronti dei boss Antonino Madonia e Gaetano Scotto, dopo l'avocazione del fascicolo della Procura avvenuto nel febbraio 2017. Da allora sono stati compiuti vari accertamenti come l'analisi di un revolver Smith&Wesson 357 magnum, rinvenuto a San Giuseppe Jato nel 1996 in quello che fu battezzato come l'arsenale mafioso di Contrada Giambascio, o la perquisizione della casa dell'ex numero due del Sisde Bruno Contrada sospettato di avere dei documenti utili alle indagini. "Esiste fondato motivo di ritenere - scrivevano i magistrati della Procura generale di Palermo nel decreto di perquisizione - che Contrada abbia ancora la disponibilità di documenti (appunti, fotografie, atti ufficiali, files) riguardanti i suoi rapporti con Paolilli (poliziotto in passato indagato per il depistaggio delle indagini sul delitto Agostino, ndr), Agostino stesso, Aiello, nonché del coinvolgimento di Agostino in attività di ricerca di latitanti ed altre attività extraistituzionali".


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Vincenzo Agostino © Our Voice


Non era la prima volta che l'abitazione di Contrada era divenuta oggetto di perquisizione. In precedenza anche la Procura di Reggio Calabria, nell'ambito dell'inchiesta 'Ndrangheta stragista sugli attentati ad alcuni carabinieri avvenuti nel '94 in Calabria, fece degli accertamenti proprio partendo dai presunti legami tra Contrada ed Aiello, ex agente di polizia ritenuto vicino ai Servizi, conosciuto anche come "faccia da mostro" per una cicatrice sul volto. Aiello, morto nell'estate 2017, era anche tra gli indagati del caso Agostino. Secondo la ricostruzione dell'accusa, avrebbe aiutato i killer, Madonia e Scotto, a fuggire dopo il delitto Agostino. Anche Vincenzo Agostino ha avuto modo di riconoscerlo, in un confronto all'americana, come l'uomo che una settimana prima dell’uccisione di Nino aveva bussato a casa per chiedere del figlio.
La Procura di Palermo, sentiti anche diversi collaboratori di giustizia che parlano di lui, nella richiesta di archiviazione sottolinea come lo stesso fosse un "soggetto certamente in contatto qualificato con l'organizzazione mafiosa Cosa nostra (se non addirittura intraneo)". Purtroppo la sua morte contribuisce a tenere ancora più avvolto nel mistero questo come altri casi in cui sarebbe stato coinvolto.
Sull’omicidio Agostino è aperta anche un’altra inchiesta, su cui indaga la Procura, sul contesto e sul possibile movente.
Secondo quanto emerso il poliziotto sarebbe stato occupato nel servizio di scorta nei confronti dell'ex estremista di destra, Alberto Volo, che tra il 28 marzo ed il 18 maggio fu segretamente interrogato dal giudice Falcone al quale confermò la pista dei killer neofascisti per l'omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella rivelando, tra le altre cose, di aver fatto parte dal '67 all'80 di un'organizzazione segreta chiamata Universal Legion, le cui caratteristiche combaciano con quella struttura che sarà poi identificata con Gladio.
Tante piste, una richiesta di processo che secondo il legale della famiglia Agostino è oggi "ineludibile". Certo è che di fronte alla barba lunga di Vincenzo Agostino, del dolore di tutta la sua famiglia dopo trent'anni senza giustizia si resta basiti. Non può considerarsi civile un Paese che conserva nei propri armadi della vergogna i segreti sui tanti delitti di Stato. E, possiamo dirlo, quello di Nino Agostino e di sua moglie Ida rientra a pieno titolo in questa categoria.

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