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"L'azzeramento del Consiglio è stata un'occasione mancata". Intervista al giudice che sfidò il sistema delle correnti

Un magistrato controcorrente. Non c'è un'altra definizione per descrivere Andrea Mirenda, in passato presidente della sezione fallimentare del tribunale di Verona, ed oggi "semplice" magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Venezia. Un percorso, il suo, all'inverso, nelle logiche di carriera, ma con lo sguardo rivolto ampiamente "avanti" se si considerano le denunce che da sempre ha fatto nei confronti del sistema che si muove all'interno del Consiglio superiore della magistratura e tutto quello che c'è dietro alle nomine per i ruoli direttivi e non. Un sistema di "potere" che ha avuto nelle Correnti della magistratura una componente chiave, così come si è visto chiaramente nel recentissimo scandalo svelato dalla Procura di Perugia che ha indagato per corruzione l'ex Presidente dell'Anm Luca Palamara. Ma questa vicenda, che ha scosso l'intero organo della magistratura, è solo l'ultimo scandalo o la rappresentazione plastica di quello che in molti sapevano ma che in pochi avevano il coraggio di denunciare.
L'anno scorso Mirenda rilasciò una dichiarazione molto forte al giornalista Riccardo Iacona, in occasione della presentazione del libro "Palazzo d’ingiustizia - Il caso Robledo e l’indipendenza della magistratura”, parlando di "metodi mafiosi" all'interno del Consiglio superiore della magistratura. Ovviamente scoppiò un caso politico istituzionale con polemiche accesissime e minacce di azioni penali e disciplinari. Oggi, però, guardando ciò che è emerso attorno al sistema che veniva messo in atto proprio per le nomine, quella frase "scandalosa" appare quasi più come una "banale constatazione".

Dottor Mirenda, lei utilizzò un'espressione particolarmente forte per descrivere il sistema di potere che attraversa la magistratura. Di fatto oggi quelle parole trovano conferma nell'inchiesta di Perugia?
Allora quell'espressione di colore era stata usata per far capire la pervasività condizionante delle correnti della magistratura nel governo delle nomine. Ma quel che è emerso è chiaro ed evidente.
Qualcuno all'interno del sistema delle correnti, che si è già ricompattato, cerca di rappresentare il caso come un fenomeno isolato e criminale, che però non mette in discussione le idealità delle correnti stesse e il loro ruolo di rappresentazione pluralistica dei valori della giurisdizione. Ma la verità è che quel che è accaduto, al netto dei fatti penali, ha portato all'emersione di una normalità patologica che si è mantenuta da almeno vent'anni. E rimane il legittimo dubbio che chi non è stato fin qui coinvolto non lo sia stato perché semplicemente, all’epoca, non intercettato. Perché ci sono sempre state pratiche abnormi di scambi e di pattuizioni segrete. E quello che è emerso è il metodo mafioso che guida il sistema nomine. Le cose non venivano discusse all'interno della Quinta Commissione o al Plenum, ma all'esterno, di fronte a un Csm parallelo ed occulto, fatto di incontri segreti, scambi, ricevimenti, conversazioni, telefonate, promesse. Pratiche che non hanno risparmiato neppure i membri laici al massimo grado del precedente Consiglio, come è emerso recentemente.
In seno al Csm membri laici e togati realizzavano e realizzano pacchetti di accordi per la distribuzione degli incarichi direttivi, specie nei posti chiave (in particolare nelle Procure, come abbiamo visto), garantendosi l’eterogoverno della magistratura. E'questa la partita in gioco. Cose arcinote a tutti i magistrati e alla politica stessa. Dunque quello che è accaduto è la conseguenza fisiologica di qualcosa che c'è sempre stato: i cittadini devono esserne consapevoli. E il rischio non si è certo esaurito ora che questo scandalo è venuto a galla.

Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha deciso di non sciogliere il CSM, dichiarandolo un provvedimento inutile se non cambiano le regole del gioco.
Secondo me invece questa era l'opportunità reale per azzerare tutto e ricominciare davvero. La credibilità del CSM è ormai fortemente compromessa agli occhi della società civile prima ancora che dei magistrati. E’ tempo, quindi, di una rivoluzione totale per far fronte ad un malcontento che ha oramai radici lontane. Abbiamo avuto casi come quello di Why not, dello scontro tra le toghe lucane, abbiamo avuto le vicende di De Magistris, di Woodcock, di Robledo etc. Tutta una lunghissima serie di interventi consiliari a gamba tesa contro questo o quel magistrato, in funzione manifestamente intimidatoria, altro che CSM come organo di tutela dell’Indipendenza dei singoli magistrati.


csm soff eff

Eppure oggi ci sono forze come quella di Autonomia&Indipendenza, creata da Piercamillo Davigo e che ha tra i suoi membri anche Sebastiano Ardita, che stanno cercando di portare qualche novità. Penso, ad esempio, all'idea di promuovere la candidatura, da indipendente, del sostituto procuratore nazionale antimafia Antonino Di Matteo in vista delle elezioni suppletive del Csm che si svolgeranno il 6 e il 7 ottobre prossimi, necessarie dopo le dimissioni di Luigi Spina (Unicost) e Antonio Lepre (Mi).
Sicuramente si tratta di una scelta molto buona, anche se siamo di fronte all'indicazione di una corrente. Di Matteo rappresenta un uomo di riferimento sul piano della legalità, della chiarezza e del coraggio per tutte le cose che ha portato avanti nel corso della sua carriera. Si può salutare positivamente l'indicazione a portare nuovi volti all'interno del Csm e soprattutto che non siano compromessi con certe logiche. Detto questo, però, ritengo che si debba intervenire ancora più in profondità.
E' legittimo avere la speranza che i prossimi consiglieri adottino tutte le misure per scongiurare che le decisioni del Csm non siano determinate da logiche correntizie bensì da criteri oggettivi e trasparenti, ispirati al solo fine di garantire la valorizzazione del merito e del corretto funzionamento dell’organo di autogoverno.
Senza nulla togliere, come detto, al grande valore della scelta, con un recupero del prestigio, della pulizia e della trasparenza, io credo che il Di Matteo di turno, o l'Andrea Mirenda, o chiunque possa essere scelto da qui in avanti, non debba essere più posto nella possibilità di "peccare" o di farsi "coinvolgere", suo malgrado, in determinate logiche. Per questo serve subito un intervento strutturale fondato sulla legge, non più sui buoni propositi, sulle Carte (stracce) dei Valori e via discorrendo.

Lei ha sempre lottato contro il sistema delle correnti...
Dal 2008, allorquando uscii da Magistratura Democratica e dalla stessa Associazione Nazionale Magistrati (giusto per non sbagliare), ho criticato severamente il meccanismo carrieristico che lascia mani libere al sistema delle correnti. Un sistema dove una manciata di associazioni private si è impadronito del CSM al fine di asservire i magistrati.
Il problema di tutta questa situazione è che non siamo di fronte ad un banale "gioco di poltrone". L'effetto finale di questo meccanismo è proprio l'asservimento culturale della magistratura. Si è creato un modello di magistrato speranzoso, disponibile per carrierismo a piegare la schiena o a voltarsi dall'altra parte pur di conseguire vantaggi personali. Così abbiamo magistrati ambiziosi, sensibili alle sirene correntizie a scopo carriera, il cui grado di indipendenza è facile immaginare quale possa essere. E' questo il problema che ravviso.

E come si interviene?
A mio parere c'è solo un modo per risolvere la questione ovvero introdurre per legge la rotazione negli incarichi direttivi. L’unico modo per garantire la pari dignità dei giudici.
Guardiamo i modelli che abbiamo attualmente. Il Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria, a mio modo di vedere, è affannosamente proteso alla ricerca del magistrato “migliore” poiché dotato della misteriosa “attitudine direttiva”. Un’idea tanto incongrua quanto fuorviante: perché i magistrati sono tra loro indipendenti e perché i più elementari principi della scienza aziendalistica ci dicono che il manager è davvero tale quando dotato di budget autonomo, di leva di spesa, di uno staff proprio a cui affidare il raggiungimento degli obbiettivi perseguiti.
A ben vedere, nessuna di queste prerogative è riconosciuta ai cosiddetti “dirigenti giudiziari” le cui competenze organizzative sono vieppiù erose dalle attribuzioni dei dirigenti amministrativi.
E' in questa logica che entrano le correnti, assegnando di volta in volta fantasiose "medagliette" attitudinali ai vari sodali, compari e comparielli, da promuovere “a prescindere”, secondo logiche lottizzatorie, in spregio alle regole del Testo Unico sulla Dirigenza.
Il sistema ha creato, così, una sorta di “autogoverno oligarchico” dei raccomandati, che esclude già sulla carta circa il 90% dei magistrati da ogni esperienza direttiva, in barba al principio costituzionale di pari dignità delle funzioni.
Inoltre questa affannosa "ricerca del più bravo" fa sì che fin dagli inizi della carriera il magistrato pensi solo a mettersi in mostra: Consigli giudiziari, sindacalismo giudiziario, correnti, lezioni universitarie, pubblicazioni in nome del Foro Italiano, Scuola della Magistratura, collocazione fuori ruolo presso Ministeri, etc. Il giudice farà di tutto tranne quello che è il suo dovere quotidiano.
Solo la rotazione infliggerebbe un colpo mortale a quello che possiamo considerare l’“ufficio di collocamento” correntizio, restituendo a ogni singolo magistrato indipendenza e pari dignità e riconducendo le correnti al ruolo di semplici motori di idealità

Ma quale sarebbe il criterio per stabilire chi può essere "pronto" a svolgere degli incarichi direttivi?
La principale obiezione alla rotazione è quella del rischio di inadeguatezza del magistrato chiamato ad assolvere turnariamente alla funzione direttiva. Ma il problema vero non è evitare che un incapace danneggi i colleghi, bensì che un incapace danneggi i cittadini. La leva dell’autoformazione, supportata da quella disciplinare e dalla responsabilità civile, deve ridurre a monte il rischio, a prescindere da ogni opzione sulla rotazione.

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