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di Davide de Bari - Foto
Si concludono i tre giorni di dibattiti sui problemi e sulle soluzioni della giustizia in Italia

E’ terminata ieri sera la tre giorni organizzata dall’Associazione Giuridica Fabrianese "Carlo Galli" e dalla rivista “MicroMega” intitolata “Giustizia è Libertà” a Fabriano, in provincia di Ancona, che ha affrontato il delicato tema della giustizia. Giorni in cui si sono susseguiti autorità, magistrati e giornalisti: dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede, per passare ai magistrati come Nino Di Matteo, Henry John Woodcock e Luca Tescaroli e arrivare a giornalisti del calibro del direttore de “Il Fatto Quotidiano” Marco Travaglio. L’ultimo tema affrontato inerente alla giustizia sono state le “Ostruzioni di giustizia” su cui sono intervenuti il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli, il giornalista Gianni Barbacetto e l’avvocatessa esperta in informazione, Caterina Malavenda.
In prima battuta uno degli “ostacoli che impedisce di arrivare alla finalità del processo penale è rappresentato dalla prescrizione - ha detto il pm - Questo spesso non ci permette di vedere se l’imputato è colpevole oppure no e impedisce anche di confiscare beni di provenienza delittuosa”. Quindi, la prescrizione è “il frutto di una sequenza di riforme che ha allungato a dismisura la tempistica del processo senza rapportarsi con gli elementi fondamentali della giurisdizione”. Infatti, per il pm si assiste a “interventi continuativi” senza “vedere l’insieme del processo”. “Tutto questo ostacola l’accertamento della verità - ha spiegato - La legge che sarà applicata dal gennaio 2020 prevede la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. E’ una soluzione ma come spesso ho detto sarebbe meglio adottare il meccanismo che avviene nel processo civile”.

“L’imputato deve dire la verità o tace”

Sempre riguardo alle “Ostruzioni di giustizia”, il magistrato ha parlato della figura dell’imputato, di come secondo la carta costituzionale prevede che “deve difendersi”. “Secondo il nostro sistema, l’imputato potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere per difendersi - ha spiegato Tescaroli - Ma c’è la possibilità che potrebbe dichiarare il falso, costruendo in maniera diversa la realtà anche dosando circostanza mendaci. Questo dato probabilmente non è compatibile con l’esigenza morale di fondo”. Secondo il magistrato il processo non dovrebbe essere formato da “elementi idonei a minare l’indagine e per difendersi basterebbe tacere. Questo potrebbe essere un’eresia all’interno del nostro sistema ipergarantito nel quale ci sono tre gradi di giudizio e poi con una giurisdizione europea che condiziona le sentenze emesse dal nostro sistema”. Per questo motivo bisognerebbe “riflettere attorno all’imputato”, ma questo “non viene fatto - ha continuato - Mi chiedo perché non consentire meccanismi non idonei a garanzia dell’imputato che invece rappresenti una degenerazione. Si può pensare a vari strumenti e quindi utilizzare le dichiarazioni nel contraddittorio”. Un altro strumento che potrebbe essere introdotto è che l’imputato può “avvalersi della facoltà di non rispondere e una volta che viene deciso dovrebbe fare sempre così. Quindi dovrebbe essere permesso di parlare sempre e non quando gli fa comodo”.


La frode processuale di depistaggio
Il pubblico ministero di Firenze ha poi spiegato che la sentenza della Cassazione dell’omicidio di Roberto Calvi ha evidenziato come “non sono stati individuati i responsabili del delitto” in quanto all’interno dell’indagine ha “pesato in maniera decisiva le omissioni e atteggiamenti poco chiari insieme agli interessi che hanno condonato l’accertamento della verità. - ha continuato - Questo si è visto anche nella strage di Bologna dove hanno inciso i condizionamenti anche delle istituzioni”. Il magistrato ha spiegato che nel 2006 è stato introdotto un reato che si chiama frode processuale penale di depistaggio (art. 375 c.p.). “Questa innovazione dispone di uno strumento perfettibile ed estremamente importante per l’accertamento della verità - ha spiegato - se ci fosse stata una norma di questo genere riguardo l’omicidio Calvi che è stato travestito da suicidio avremmo potuto trovare le responsabilità sulle manomissioni dello stato dei luoghi, visto che è un delitto che nasconde verità inconfessabili”.

I colletti bianchi
Secondo Tescaroli i delitti commessi “dai colletti bianchi sono quelli che minano la democrazia in quanto compromettono la fiducia dei cittadini davanti alla legge”. Quelle responsabilità “sono difficili da cercare e i relativi processi si traducono con delle pronunce caratterizzate dall’accettamento della responsabilità penale, destituiti dalla possibilità di far espiare la pena”. “Quali sono le condotte più gravi all’interno della società? - si è domandato il magistrato - bisogna chiedersi se sono più gravi le condotte di coloro che sono posti ai vertici degli istituti finanziari che dissipano i risparmi di una vita di una persona o se siano più gravi i comportamenti dei migranti che commettono furti in abitazione o al supermercato?”.

La tempistica del processo
Un’altra “Ostruzione di giustizia” potrebbe essere la “tempistica del processo”. Per il magistrato all’interno dei processi si verifica un “notevole rallentamento” e questo può essere per il “mutamento dei collegi dei Tribunali o della Corte d’Assise o del giudice monocratico”. “Io credo che l’introduzione di una norma per fare continuare il processo anche quando c’è il cambiamento di uno o più giudici, penso che consenta di accelerare il processo senza ledere e creare pregiudizio a tutela della garanzia dell’imputato”. Come anche “nei processi ci sono attività che sono inutili e appesantiscono il procedimento, mi riferisco alla necessità di riprodurre gli esiti delle indagini che sono consacrate in informative redatte dalla polizia giudiziaria e si ripetono in una ripetizione dei dati di fatto che agevolmente possono essere introdotte nel processo con l’informativa nelle parti in cui non ci sono aspetti valutativi”.

Sempre parlando di tempistica dei processi, il pm ha parlato del ruolo del giudice delle indagini preliminari dicendo che è “un filtro che si traduce in una stagnazione del processo in attesa di giudizio se procedere oppure no. Quindi non si può produrre un verdetto su un filtro - ha spiegato - Io credo che bisognerebbe eliminare l’udienza preliminare perché è un’utilità marginale. E’ un imbuto”. Piuttosto bisognerebbe pensare a “una struttura dell’ufficio del pm che possa vagliare con più attenzione, di come viene fatto oggi, e quindi snellire la tempistica del processo”.
Tescaroli ha parlato di un’altra proposta che si potrebbe adottare per diminuire la tempistica del processo, riguardo i tre gradi di giudizio: “Bisogna ragionare in termini di creazione in due gradi di giudizio: uno destinato all’accertamento della verità con l’acquisizione delle prove e l’altro prende in considerazione le eventuali nuove prove e valutare i profili di legittimità riguardo la prima fase del processo”.
L’avvocatessa Caterina Malavenda ha poi parlato del rapporto tra informazione e giustizia. “Tutti i giornalisti che fanno cronaca quando raccontano le cose hanno il freno tirato perché hanno paura delle querele, che ormai sono un vero e proprio spauracchio e la causa per diffamazione sono ormai un modo per cassa - ha spiegato - La causa fa paura e ti condiziona. Il giornalista ha il diritto di informare così avremo modo di farci una nostra opinione”.

Foto © Paolo Bassani

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