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Fu uno degli autori della legge che riconobbe l’associazione mafiosa e la confisca dei beni. Il ricordo a 37 anni dall’omicidio

“Lo so… lo so che a voi la mafia sembra un’onda inarrestabile… ma la mafia si può fermare … e la fermeremo!”. E’ con questa convinzione che l’onorevole Pio La Torre svolse la sua attività di contrasto alla criminalità organizzata quando era segretario siciliano del PCI, ma soprattutto quando sedette alla commissione parlamentare antimafia. La Torre era uno spirito libero della politica che voleva liberare davvero la Sicilia e l’Italia dall’oppressione mafiosa. E’ proprio per questo che il 30 aprile 1982 fu ucciso, insieme al suo agente di scorta Rosario Di Salvo, da Cosa nostra. L’onorevole rappresentava quella politica che non scendeva a patti con i mafiosi e che aveva come unico obbiettivo il contrasto alla criminalità organizzata. Oggi lo ricordiamo con un articolo in sua memoria.


Pio La Torre, il volto della politica onesta che si contrappose a Cosa nostra

di Davide de Bari
Erano le nove e venti del 30 aprile 1982 quando la mafia uccise l’on. Pio La Torre e il suo autista, Rosario Di Salvo. In via Generale Turba, i killer si erano già appostati dalle otto e trenta. Pino Greco, detto Scarpuzzedda, vide l'auto arrivare e allertò gli altri. Questioni di minuti e la Fiat 131 di La Torre fu affiancata dall'auto dei sicari che gli tagliarono la strada. Scarpuzzedda prese subito il mitra e lo puntò verso l’auto di La Torre. “Rosario! - gridò l’onorevole - Ci vogliono ammazzare!”. Di Salvo cercò di fare retromarcia, ma non ci riuscì, era bloccato. L’autista prese la sua pistola, ma i killer furono più veloci e spararono numerosi colpi d’arma da fuoco. Di Salvo riuscì a sparare quattro o cinque colpi in direzione del parabrezza, ma l’autista fu seccato dal muro di pallottole. La Torre vedendo il killer arrivare cercò di salvarsi. L’ultima parola che riuscì a gridare fu “Vigliacchi” e lo gridò per ben due volte: “Vigliacchi. Vigliacchi”. I killer spararono all’onorevole che morì sul colpo. Questo però ai sicari non bastò, scatenarono altri colpi sui corpi martoriati dal piombo. E’ così che uno dei politici più coraggiosi e onesti che l’Italia abbia mai avuto perse la vita per aver denunciato e soprattutto per aver lottato contro la mafia per davvero.

Chi era Pio La Torre?
Pio La Torre nacque nella borgata Altarello di Baida, frazione di Palermo, in una famiglia di poveri contadini. Lo stato di miseria in cui viveva insieme alla sua famiglia fu la spinta, grazie anche alla sua determinazione, per impegnarsi nel sociale. Così nel 1945 divenne comunista, si distinse molto nella partecipazione alle lotte contadine. Nel 1950 finì in carcere per diciotto mesi “a scopo preventivo” al termine d’una manifestazione contadina nel paese di Bisacquino (PA). Per lungo tempo si dedicò all’attività sindacale e poi a quella politica. La Torre fu segretario del PCI palermitano dal 1962 al 1967. Nel 1969 si trasferì a Roma per ricoprire incarichi di partito e da deputato fece parte della commissione antimafia, per la quale preparò la relazione conclusiva di minoranza. Da quella relazione emerse un'analisi sulla ricostruzione storica del fenomeno mafioso, dei traffici internazionali di droga, sulle ramificazioni nei Palazzi di Cosa nostra e sulla sua capacità di infiltrazione. La Torre in quel documento scriveva nomi di personaggi politici importanti della Democrazia Cristiana in rapporti con Cosa nostra corleonese. Nomi come quello di Vito Ciancimino, assessore ai lavori pubblici del comune di Palermo dal 1959 al 1964 e poi sindaco del capoluogo siciliano fino al 1975, di Salvo Lima e dell’imprenditore Francesco Vassallo.
La Torre era un uomo schietto che parlava al cuore delle persone. Non si dimenticò mai delle sue origini di siciliano e delle condizioni di vita della sua gente. Per questo motivo sapeva parlare alla gente che in lui riponeva fiducia. “La Torre non era un uomo da limitarsi ai discorsi e alle analisi, era un uomo che faceva sul serio, per questo lo hanno ucciso” disse di lui Enrico Berlinguer.
Nel 1981, La Torre chiese al suo partito di tornare nuovamente a Palermo per dirigere il PCI palermitano. E’ qui che combatté due guerre. La prima per la pace contro l’istallazione dei missili Nato nella base militare di Comiso e l’altra altrettanto dura contro la mafia. L’onorevole fu molto esplicito il 14 gennaio 1982, in occasione del nono congresso regionale del PCI: “Occorre respingere questa prospettiva, chiamando il popolo siciliano nella lotta per dire no a un destino che, prima ancora di farla diventare bersaglio della ritorsione atomica, trasformerebbe la nostra isola in terreno di manovra di spine, terroristi e provocatori di ogni risma al soldo dei Servizi segreti dei blocchi contrapposti. Ne trarrebbero nuovo alimento il sistema di potere mafioso e i processi degenerativi delle istituzioni autonomistiche, mentre la Sicilia sarebbe condannata alla degradazione economica e sociale”.
Ben presto La Torre comprese che per colpire efficacemente la mafia, bisognava attaccare i suoi capitali e beni. E questo era possibile solo attraverso la legislazione, perché non bastavano gli arresti della polizia e magistratura. Bisognava colpire il vero nettare della mafia: i soldi. Così divenne promotore di una legge di trentacinque articoli che introduceva il reato di associazione mafiosa (il famoso 416 bis, ndr). Oltre a questo, la rivoluzione di questa legge fu la confisca dei beni riconducibili alle attività mafiosa degli arrestati. Nel marzo 1982 l’onorevole guidò una delegazione del PCI dal presidente Spadolini per l'adozione di un pacchetto di misure per lanciare la controffensiva alla mafia. Dopo qualche giorno fu dato anche l’annuncio dell’invio a Palermo del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa e su questo La Torre era molto favorevole. Finalmente tutto il lavoro stava portando i suoi frutti, ma Cosa nostra non poteva permettere che questa legge passasse. Significava la fine, perché andava a colpire direttamente il suo cuore pulsante. E’ così che il 30 aprile 1982, Cosa nostra pensò di fermare la controffensiva dello Stato con l’uccisione di uno dei suoi servitori più fedeli, come è stato Pio La Torre fino al momento della sua morte.

Dopo la morte
Al funerale parteciparono centomila persone tra cui Enrico Berlinguer, il quale fece anche un discorso.
Il presidente Giovanni Spadolini e il ministro dell’Interno, Virginio Rognoni, chiesero a dalla Chiesa di anticipare l'insediamento a Palermo. Ma da lì a poco anche il Generale diventato Prefetto morì sotto i colpi della mafia. Solo dopo l’assassinio dell’onorevole e di dalla Chiesa, la legge La Torre, grazie al ministro degli Interni, fu approvata e oggi è conosciuta come la legge “Rognoni-La Torre”. Il suo primo utilizzo fu proprio nel maxi-processo contro Cosa nostra, istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che portò alla sbarra l’intero gotha della mafia grazie a questo strumento legislativo. Per l’omicidio del segretario del PCI sono stati condannati i boss Salvatore Cucuzza e Pino Greco, grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia Gaspare Mutolo, Tommaso Buscetta, Francesco Marino Mannoia e Pino Marchese. Sempre grazie a quest’ultimi, con l’aggiunta delle dichiarazioni di Cucuzza, è stato ricostruito il quadro dei mandanti identificati nei boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Antonino Geraci.
(30 Aprile 2018 )

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