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di Jean Georges Almendras - Foto e video
Giovani di Our Voice a Plaza de Mayo, per i 30.000 desaparecidos

È difficile camminare tra la moltitudine, ma dovevamo farlo. Abbiamo camminato in mezzo a centinaia di persone nelle prime ore del pomeriggio di domenica 24 marzo: ricorrevano 43 anni dal colpo di stato militare in Argentina. E non si tratta di un festeggiamento, ma di una mobilitazione di massa (che si ripete ogni anno), per dire sostanzialmente che 30.000 desaparecidos erano presenti e per lottare tutti con lo stesso slogan: per l'unità e per la memoria. Abbiamo continuato ad approssimarci alla storica Plaza de Mayo. Alle mie spalle, in fila indiana (e chiedendo continuamente permesso, ma senza spintoni di alcun tipo), i giovani di Our Voice. Membri del Movimento che per la prima volta partecipavano ad una manifestazione di questa natura. Sotto un sole splendente, ci siamo fatti strada camminando sul prato della Piazza, superando famiglie, altri giovani, bambini, adulti, attivisti di sindacati, studenti, lavoratori.
In poche parole: il popolo. Un popolo consapevole del fatto che sono già trascorsi 43 anni dalla dittatura militare e coscienti del fatto che l'autoritarismo macrista non è tanto diverso dagli anni del terrorismo di Stato di 43 anni fa. Pensando a tutto ciò continuavamo ad aprirci la strada tra la folla. Una moltitudine di cittadini liberi che rivendicavano libertà e che venga preservata la memoria dei desaparecidos. Una moltitudine che si è riunita lì, pacificamente. Una moltitudine, di cui facevamo parte anche noi come giornalisti di Antimafia Dos Mil e come giovani del Movimento Our Voice. La leader e fondatrice del gruppo, Sonia Bongiovanni, ha condiviso con noi questa esperienza insieme a compagni della sua amata Italia, del Paraguay, dell'Uruguay e dell'Argentina.
Una esperienza di impegno, solidarietà e denuncia. Ma fondamentalmente di esercizio della libertà in un paese: dove le ingiustizie sociali sono la normalità; dove le proteste sociali sono soffocate duramente dalle forze di sicurezza (o dell’insicurezza?); dove i popoli originari sono assoggettati cinicamente come all’epoca orrenda della colonizzazione in America Latina ed in Africa; dove la povertà sta toccando livelli preoccupanti; dove il giornalismo è soffocato e dove il giornalismo asservito al sistema e al potere si rende complice dell'autoritarismo imposto dalla Casa Rosada (sede del governo), da loschi personaggi, come il Ministro della Sicurezza Patrizia Bullrich e lo stesso presidente della Nazione, Mauricio Macri; dove la Corte Suprema di Giustizia si rende complice dello Stato (del terrorismo di Stato in tempo di democrazia) favorendo la cultura dell'impunità, ponendo ostacoli all’avvio di processi contro militari repressori o alla ricerca dei nipoti e delle nipoti delle Nonne di Plaza de Mayo; dove ci sono obiettori di coscienza e dove c’è sopraffazione a diversi livelli e ambiti della vita nazionale.

Dove i tentacoli dell'impero del Nord, Stati Uniti, ovviamente (non poteva essere altrimenti), sono presenti con diverse forme: nell’ingerenza nel modello economico di un paese (attraverso il FMI), a scapito dei settori della società più vulnerabili e tra altre cose con la presenza di truppe nordamericane in diverse parti del territorio, con l’avallo del parlamento e dei poteri dello Stato. Con questi pensieri, continuavamo il nostro percorso fino a giungere ai piedi del palco da dove venivano lette le adesioni dei comitati, sindacati e associazioni; da dove veniva ricordato continuamente che i 30.000 desaparecidos sono presenti (Ora e sempre!!).
Eravamo lì per la copertura giornalistica congiunta con i giovani di Our Voice. Eravamo lì perché sentivamo anche che dobbiamo partecipare con il popolo, in un’espressione attivista, una rivendicazione diretta contro il potere, denunciando che fuori dalla Casa Rosada, c'è indignazione popolare e ripudio, oltreché resistenza contro la sopraffazione imperante e intollerabile, che ha lasciato morti e feriti negli ultimi anni. Repressione, tagli alla spesa, fallimento di fabbriche e imprese. In sintesi, una crisi dilagante ed un deterioramento politico ed istituzionale non meno dilagante.
Eravamo lì per dare forma all’impegno per la vita, la giustizia e la verità, nel campo di battaglia: uno spazio pubblico, davanti alla sede del governo del macrismo, per resistere con solo tre strumenti: il giornalismo libero ed indipendente, l'arte e la forza dei nostri giovani e di tutti i giovani che si trovavano lì a Plaza de Mayo. Giovani e non meno giovani che ad intermittenza gridano che Macri deve andare via, inneggiando slogan offensivi e di condanna verso la sua gestione e la sua persona.
Quando sono salite sul palco le Nonne e le Madri di Plaza de Mayo, ed i rappresentanti di organismi di Diritti Umani e gli invitati speciali, per la maggior parte uomini e donne conosciuti per il loro impegno nelle lotte sociali (come ad esempio Adolfo Pérez Esquivel e la madre del leader mapuche detenuto in Cile, il "Lonko" Facundo Jones Huala, accompagnata da donne mapuche), tra gli altri, c’è stata una naturale apoteosi come espressione popolare di una società impegnata in una visibile e tenace lotta contro il potere.



Striscioni, slogan e le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo hanno rappresentato nel loro insieme l'emblema vivente di una lotta di questo secolo. Una lotta legata alla contestazione politica, perché questo collegamento è inevitabile. La congiuntura di chi resiste contro tanta violenza che ha origine nelle file del potere. Un potere che si lascia corrompere (o corrotto in sé), a differenti livelli. Corruzione legata al sistema criminale radicato nel sistema politico, giudiziale e di polizia.
Poco dopo il tramonto, sul palco (dal quale si vedevano perfettamente le circa 300.000 persone in Plaza de Mayo e nelle strade adiacenti), è stato letto un esteso documento che riassume tutta la lotta, i risultati e le mancanze dello Stato e dei potenti. Un esteso documento letto da madri e nonne, e rappresentanti di organismi di Diritti umani. Un ampio documento che mette a nudo l’arbitrarietà di un sistema giudiziale che non fa altro che favorire l'impunità dei repressori e un governo macrista servile all'impero nordamericano.
Un ampio documento che ha messo in evidenza come la resistenza è estesa in tutta l'Argentina, perché non solo a Buenos Aires si lotta giorno dopo giorno. Perché non solo in Plaza de Mayo, questo 24 marzo, a 43 anni dal colpo militare, il popolo è sceso in strada a manifestare contro il potere e ad accusarlo. Perché la marcia per l'Unità e per la Memoria si è svolta a livello nazionale.
Elia Espen, Madre Plaza de Mayo "Continuate la lotta anche quando noi non ci saremo più".
Dopo la lettura del documento i giovani di Our Voice ed i redattori di Antimafia Dos Mil hanno raggiunto il settore laterale del palco ufficiale per raccogliere delle testimonianze. A quel punto una equipe della televisione di 5CN si è avvicinata a noi: Sonia Biongiovanni, fondatrice e leader di Our Voice, Mattias Guffanti, Coordinatore di Our Voice in Sudamerica e il sottoscritto, come direttore di Antimafia Dos Mil siamo stati intervistati in diretta dalla televisione, nella trasmissione dal vivo dalla manifestazione.
Con la calma e la concentrazione che caratterizza Sonia e Matías hanno enfatizzato l’obiettivo di Our Voice e l'importanza dell'arte nella resistenza e nella lotta sociale. Si sono espressi duramente contro l'amministrazione Macri, che favorisce la cultura dell'impunità agli assassini, ai repressori, e ai responsabili di reati di lesa umanità, e contro le assurdità della sua gestione (oltre alle sue idee di netto taglio fascista ed antipopolare), che ha danneggiato la popolazione argentina compromettendo la sua qualità di vita e compromettendo letteralmente lo Stato di diritto. Da parte mia, ho sottolineato l'importanza della lotta dei famigliari dei desaparecidos, affinché vengano puniti i violentatori dei diritti umani, sia in Argentina che in Uruguay, dove il sistema politico e giudiziale sono allineati in favorire l'impunità, nonostante sia un governo di sinistra, il che rende ancora più grave e preoccupante il problema. A questo proposito, abbiamo detto durante l’intervista che il governo uruguaiano è in grande obbligo verso le madri e i parenti dei detenuti desaparecidos in Uruguay.



Si sono susseguite diverse altre interviste nel settore destinato ai mezzi stampa, sotto il palco, tra gli slogan e nel pieno dei discorsi a microfono aperto.
Isabel Huala, madre del Lonko Facundo Jones, autorità spirituale e politica della comunità mapuche della Lof Cushamen nella provincia di Chubut, detenuto in una prigione del Cile, ha detto: "I trentamila desaparecidos si possono contare, ma la nazione mapuche e gli altri popoli originari non si possono contare. Non sappiamo quanti sono stati ammazzati, quanti massacrati. Ad esempio, i bambini a partire degli otto anni venivano ammazzati. Fu un genocidio di lesa umanità che non è stato riconosciuto da nessun Stato fino al giorno di oggi”.
Sergio, fratello di Santiago Maldonado (il giovane tatuatore vittima di una sparizione forzata e poi ucciso, ad agosto del 2017, nel corso di una violenta repressione della gendarmeria nazionale nella comunità mapuche Lof Cushamen di Chubut, si è così espresso riguardo la manifestazione: "Ho vissuto questo con molta emozione, c’è tanta gente unita continuiamo a mantenere viva la memoria e la ricerca di giustizia. La causa Maldonado non è schierata politicamente. La sparizione forzata e la morte di una persona non appartiene a un settore, come neanche i 30.000 desaparecidos”.
Sonia Bongiovanni di Our Voice, gli ha chiesto un messaggio per i giovani, e Sergio ha risposto: "Che continuino a lottare, che non si lascino intimidire, perché questo governo tenta di reprimere, di incutere paura e evitare le manifestazioni. Non succederà loro niente, siamo in molti".
L'argentino Adolfo Pérez Esquivel, premio nobel per la Pace e conosciuto mondialmente per il suo attivismo a favore della difesa dei diritti umani, puntualizzò: “In America Latina siamo tremendamente retrocessi e dobbiamo recuperare i diritti delle nazioni. Diritti umani e democrazie sono valori indivisibili. Se vengono violati i diritti umani le democrazie si indeboliscono e smettono di essere democrazie. Un vostro compatriota, lo diceva con molta chiarezza, sto parlando di Eduardo Galeano. Oggi dobbiamo recuperare la Repubblica, le istituzioni che l'hanno distrutta totalmente e ci hanno sottomessi un'altra volta alla ricolonizzazione".
Matías Guffanti ha chiesto un messaggio per i giovani. Adolfo Pérez Esquivel ha così risposto: "Unità nella diversità, non nell'uniformità. La ricchezza dei popoli è la diversità, non l'uniformità. Bisogna superare quello che io chiamo la monocoltura delle menti. Per affrontare questo dobbiamo avere la capacità di resistenza culturale, sociale, politica e spirituale, senza smettere di sorridere alla vita. Se voi osservate, la cosa straordinaria qui è che c'è una incredibile moltitudine di giovani. Vuole dire che il lavoro che abbiamo fatto per trasmettere la memoria sta dando i suoi frutti e essi devono assumersi la responsabilità. Noi dobbiamo fare la resistenza, culturale, sociale e politica per cambiare questo e lo faremo."



Myrian Bregman, legislatrice del Partito dei Lavoratori Socialisti (Pesete) ci lasciò questa dichiarazione sul significato politico della marcia a 43 anni del colpo di stato militare e per la memoria dei 30.000 desaparecidos: "Per me il 24 marzo è sempre una data molto speciale di questa lotta da quando cominciai a militare a prenderne parte dall'interno, essendo avvocato di Rodolfo Walsh, delle vittime, lavorando perché si faccia giustizia. Allora quando in Argentina si sta perpetrando un nuovo saccheggio contro il popolo lavoratore come sta facendo il governo di Mauricio Macri bisogna ricordare chi furono quelli che organizzarono quel gran saccheggio storico che fu la dittatura militare. Lo disse Walsh che non vennero solo ad uccidere ma anche a pianificare la miseria per generazioni e dopo si sono succeduti molti governi costituzionali. Ognuno commette una razzia. La dittatura sapeva molto bene quello che faceva. Dobbiamo denunciare i responsabili militari del genocidio e i responsabili civili”.
Nora Cortiñas, Madre di Plaza de Mayo, linea fondatrice affermò: "Stiamo tutti d'accordo con questo slogan: Mai più! che Macri se ne vada."
Ai giovani, rappresentati da Sonia e Matías di Our Voice consigliò: "Uscite sulle strade, a protestare in strada."
Elia Espen, Madre di Plaza de Mayo, fu altrettanto incisiva: "Sono tutti genocidi, devono andare in prigione, morire in prigione. Non fuori, perché la maggioranza di loro sta fuori. Noi dobbiamo proseguire nella lotta finchè tutti saranno rinchiusi. Che paghino per quello che hanno fatto, ma c'è chi li protegge."
Il suo messaggio ai giovani, in risposta alla domanda postagli dai giovani di Our Voice, fu molto chiaro e molto emozionato: "Continuate la lotta anche quando noi non ci saremo più. Non abbandonate la lotta, per il vostro bene. Un giorno vedrete un paese tranquillo, senza che ci siano morti. Perché tutti abbiamo diritto di parlare qualsiasi cosa vogliamo dire, e nessuno ha diritto di opprimerci e distruggerci come hanno fatto loro. Lottate ragazzi, lottate. "Non cedete."

Foto © Our Voice / ANTIMAFIADosmil

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