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In memoria della madre di Nino Agostino: la pretesa di una giustizia che ancora non c’è

Il cielo è terso, alcuni bambini reggono uno striscione, davanti a loro c’è una donna con un cartello scritto a mano. Sono i primi versi della poesia “Amore per la libertà”, di Frances Harper, un'attivista, poetessa e scrittrice statunitense. “Fatemi una tomba dove volete, in una bassa pianura o su una collina elevata, fatemela fra le tombe più umili, ma non in una terra dove gli uomini sono schiavi”. Poco più in basso è stata aggiunta una frase: “Liberi dalla mafia”. Quella donna era Augusta Schiera, moglie di Vincenzo Agostino. In questa immagine, scattata poco dopo le stragi del '92 dalla fotografa palermitana Shobha, traspare tutto il dolore e la pretesa di giustizia di una madre. Che dal giorno dell’omicidio di suo figlio Nino e della nuora Ida Castelluccio ha speso ogni istante della sua vita per cercare la verità. Ma quale verità è possibile in una terra dove gli schiavi di cui parla Frances Harper si manifestano sotto svariate forme? Ci sono gli schiavi consenzienti di un sistema criminale che ogni giorno uccide la possibilità di vivere liberi. E ci sono anche quelli inconsapevoli, assuefatti alle ingiustizie, che non cercano nemmeno di ribellarsi, e che diventano complici di un dolore che continua a perpetuarsi.
E’ come se Augusta facesse proprie le parole della poetessa: “Vorrei dormire, cari amici, dove nessun tronfio potere possa derubare l'uomo del suo più sacro diritto; il mio sonno sarà calmo in una tomba dove nessuno chiamerà schiavo il suo fratello. Non chiedo un monumento alto e maestoso che arresti lo sguardo dei passanti, tutto quello che il mio spirito ardentemente implora è non seppellitemi in una terra di schiavi”. Nei confronti di questa donna minuta dalla grande forza abbiamo il dovere morale di continuare a fare la nostra parte. Per lei, per Vincenzo - la cui pretesa di giustizia ci impone di schierarci dalla parte giusta -, per la sua famiglia, per tutti noi. Perché fino a quando non avremo verità e giustizia per Nino e Ida saremo anche noi schiavi di uno Stato-mafia che continua a tenerci prigionieri.
In queste ore frenetiche nelle quali tornano in mente pezzi di vita vissuti assieme ad Augusta, sembra ancora di risentire le sue parole pronunciate nella chiesa di San Gaetano a Brancaccio il 1° luglio del 2014. Quel giorno si festeggiava il 25° anniversario di nozze di Nino e Ida. Accanto a don Ciotti e a don Francofonte Augusta aveva preso il microfono e ci aveva accompagnato in un sogno. “Nel 2013 - aveva sussurrato in un soffio - nell’ultima settimana di passione di Nostro Signore Gesù Cristo, mi sono addormentata sul tavolo della mia cucina con la tv accesa, poco dopo ho sognato Gesù e gli ho chiesto: ‘Signore, quest’anno vorrei sapere chi ha ucciso i miei cari’. Il Signore mi ha detto: ‘Èpresto, devi ancora camminare e fare conoscere la storia di tuo figlio’. Io ho risposto: ‘Signore, sono stanca, non ce la faccio più, abbiamo già camminato tanto...’.Nel sogno continuavo a camminare per quasi 20 km, in lontananza vedevo una croce grandissima, alta circa 6 metri. Mi sono avvicinata, ho guardato il Signore che aveva gli occhi chiusi e ho esclamato: ‘Signore, tu sei morto...allora non c’è più speranza di conoscere la verità sui miei cari...’dopodiché mi sono messa a piangere. Poi l’ho guardato ancora e ho visto che aveva gli occhi aperti: ‘Signore - gli ho detto - tu sei risorto, così come risorgerà la verità sulla morte di Nino e Ida’. Il giorno dopo mi ha chiamato una scuola di Camporeale per andare a commemorare con loro una vittima di mafia, Giuseppe Montalbano, ebbene, dopo aver fatto 20 km mi sono ritrovata la stessa croce che avevo sognato, quando sono arrivata sotto la croce ho detto: ‘Signore, tu ci sei...ti ho visto questa notte e ti rivedo ora, ti prego Gesù fammi sapere chi è stato...’,ecco perché io credo che Dio mi darà giustizia!”. La fede incrollabile di questa donna è andata oltre se stessa. La giustizia a cui anelava ardentemente Augusta deve però ancora arrivare. “Quando morirò - aveva detto pochi anni fa - voglio che si scriva sulla mia lapide testualmente: qui giace una madre in attesa di giustizia”. Che dobbiamo cercare con ogni mezzo. E quando il dolore e la disillusione prendono il sopravvento, non possiamo arretrare di un passo. Perchè lei non lo avrebbe fatto.

Foto © Shobha

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