Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Giorgio Bongiovanni e Karim El Sadi
Il giornalista intervenuto a “Otto e Mezzo” su “La7"

Definisco centrale, oggi in Italia, la necessità di una discussione approfondita, animata dalla volontà di chiudere con gli scheletri e i fantasmi del passato, e che si prendesse atto del fatto che per sessant’anni è stata raccontata una favola alla quale tutti abbiamo creduto. La favola che la mafia fosse un mostro che si era fatto da solo e che aveva fatto tutto da solo”. E’ con queste parole che il giornalista e scrittore Saverio Lodato è intervenuto ieri su “La7” durante il programma "Otto e mezzo" condotto da Lilli Gruber. L’autore del libro “Il Patto Sporco”, scritto insieme al sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, ha partecipato al programma assieme al Generale Giuseppe Governale, Direttore della Dia e Fiorenza Sarzanini, Caporedattore del Corriere della Sera, che affrontava il tema delle “Mani della mafia sui giovani”. Lodato ha affrontato l’argomento ricordando come “le famiglie mafiose, falcidiate dalle forze dell’ordine, necessitano un ricambio di giovani”, ma ha aggiunto anche che non si può ignorare l’esistenza di altre mani, ben più grandi e ben più pericolose. Quelle che il giornalista ha descritto come “alte manone istituzionali” che hanno indirizzato, ad esempio, il recupero di documenti di fondamentale importanza per l’accertamento della verità. Esempi chiari sono rappresentati dal "furto dell’agenda di Paolo Borsellino o i diari di Carlo Alberto dalla Chiesa in contemporanea col suo omicidio in via Carini, o i diari elettronici di Giovanni Falcone che non sono mai stati trovati”. Quelle “manone” probabilmente hanno mosso i fili delle marionette del “mostro” della mafia “che in questi settant’anni molto spesso, drammaticamente, è stata il braccio armato di una parte di quello Stato italiano che aveva necessità di portare a conclusione delle operazioni sporche per le quali occorrevano i killer di mafia”. Secondo il giornalista quelle sono le stesse “manone” che, a conclusione del processo Trattativa Stato-mafia, hanno tutt’ora “l’interesse che non se ne parli non tanto per quello che il processo come fatti, non come opinioni, ha acclarato - ha detto Lodato - ma altri fatti, che partendo dalla trattativa stato-mafia, si potrebbero ancora scoprire e approfondire perchè molti sono ancora vivi”. Come Matteo Messina Denaro, “ennesimo capo mafia scomparso nel nulla da 26 anni e di cui non ne veniamo a capo”.
il patto sporco integraleOltre a questo Lodato si è chiesto perchè oggi non si parla più di mafia. Il motivo è chiaro e semplice e lo ha spiegato in poche parole al pubblico da casa: “Il maxi processo del pool antimafia portò alla sbarra quasi 500 mafiosi che poi vengono condannati in maniera definitiva. Non tutti sanno che durò 22 mesi. Quello successivo a Giulio Andreotti, il sette volte presidente del consiglio, durò sette anni. Il processo trattativa Stato-mafia, di cui mi occupo nel libro "Il Patto Sporco" insieme a Nino Di Matteo, è durato cinque anni”. "Con questo voglio dire che lo Stato italiano ha fatto e sa fare la lotta alla mafia, affrontando l’aspetto militare e criminale. Se la mafia decide di fare affari alla grande, il rapporto tra mafia e Stato va alla grande".
E la ragione per cui di “mafia questa politica non vuole parlare” è “perché dovrebbe mettere in discussione se stessa”. Non se ne vuole discutere nonostante “dal dopo-guerra ad oggi - ha sottolineato - sull’argomento mafia sono stati spese milioni di miliardi di parole. La prima commissione parlamentare d’inchiesta del Parlamento italiano sul fenomeno mafioso risale al 1963, l’ultima presieduta da Nicola Morra è la 18° commissione d’inchiesta. Quale parlamento al mondo - ha concluso il giornalista - da oltre sessant’anni continua a rinnovare commissioni parlamentari d’inchiesta su un fenomeno che non riesce a debellare?”. Della stessa idea è stata la giornalista del Corriere della Sera Fiorenza Sarzanini che ha confermato: "Le organizzazioni criminali vivono grazie ai rapporti nella pubblica amministrazione e nello Stato via via salendo di livello. Su questo bisogna influire. E' bene parlarne di più quando non si spara”. E poi ancora ha sottolineato come “le mafie e le associazioni criminali non sono solo quelle che sparano. C’è una mafia sommersa che preferisce restare nell’ombra, meno esposta, per fare più affari”. Quindi ha lanciato un allarme per cui “non è possibile oggi parlare di una stagione felice della lotta alla mafia” in quanto “oggi in città come Roma si è arrivati a sparare in strada e si evidenziano altre mafie ed organizzazioni criminali che stanno prendendo il sopravvento”.
Inoltre, durante la puntata è intervenuto anche il direttore della Dia Governale che ha ricordato come la politica in passato abbia usato gli stessi termini della mafia: “Abbiamo avuto un ministro dell’Interno Scelba che nel giugno del 49 al Senato disse: 'quando noi vediamo una bella donna formosa diciamo che è mafiosa'. Enzo Biagi, nel 1989, andò a trovare Liggio in Sicilia che gli disse: 'quando noi in Sicilia vediamo una bella donna formosa diciamo che è mafiosa'. A distanza di 40 anni il ministro dell’Interno e il capo della mafia hanno lo stesso linguaggio. Questo problema lo abbiamo digerito con difficoltà”.
Il generale ha infine toccato il tema del ruolo delle scuole nella lotta alla criminalità organizzata partendo da un aneddoto. "In un libro di storia di 632 pagine che ho chiesto a un ragazzo di un mio collaboratore che doveva dare l'esame di Stato sa quante pagine c'erano dedicate alla storia della mafia e del terrorismo? - ha chiesto alla giornalista Gruber mostrando due pagine scarne - è fondamentale che un ragazzo conosca per esempio l'articolo 3 della Costituzione non si devono passare gli studi se uno studente non lo conosce".