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"Nella comprensibile e sacrosanta esigenza di scoprire cosa è accaduto nelle prime indagini e su chi ha convinto Scarantino a riferire fatti che lui non conosceva, in parte anche veri, si stanno diffondendo delle clamorose falsità" e "concentrare solo le attenzioni sulla vicenda Scarantino rischia di diventare la migliore arma nelle mani di chi ha paura della verità". Così ha detto il sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo, alla presentazione del libro “Il Patto Sporco” scritto assieme a Saverio Lodato. "Quando si dice che in questi 25 anni, per il depistaggio, non sono stati fatti passi avanti nella ricerca della verità o che sono stati 25 anni inutili si dice una cosa non vera - ha proseguito il magistrato - Non è vero che non sappiamo nulla. Anche grazie a quei magistrati che hanno lavorato sulla strage negli anni Novanta si sono ottenute 24 condanne per strage che non sono mai state messe in discussione".
Di Matteo ha ricordato che "nel processo via d'Amelio Ter, che si è tenuto tra il 1996 ed il 1999 a Caltanissetta, furono raccolti significativi elementi probatori sulla causale della strage e sulla responsabilità di soggetti di ambienti esterni a Cosa nostra. E partendo da lì si è arrivati anche nel processo trattativa ad ulteriori elementi che hanno spianato la strada alla verità. Attenzione a chi sovrappone le due vicende".
il patto sporco integraleSempre sulla vicenda Scarantino Di Matteo ha ribadito che quello "rappresenta un infelice segmento all'inizio di un percorso che poi è andato avanti, distaccandosi da quella pista. Un percorso molto più ampio, articolato e lungo che oggi, soprattutto dopo quello che è emerso nel processo trattativa Stato-mafia, può portare al completamento del percorso di verità per quelle stragi".
Il pm ha ricordato i momenti più critici del processo come la vicenda delle intercettazioni causali sulle conversazioni tra il Presidente della Repubblica Napolitano e l'ex ministro Mancino. "Fummo accusati di tutto - ha ricordato - E nessuno ci difese. Anm e Csm non ci difesero quando ci accusarono di essere assassini o eversori. Ci fu chi tra colleghi, avvocati e professori universitari ci disse che stavamo agendo secondo legge, che non c'erano rimproveri che a noi potevano essere mossi ma c'era sempre un 'però'. Perché aggiungevano che non era il caso, ad esempio, di citare il Capo dello Stato come testimone dinanzi ad una Corte d'assise per una semplice questione di opportunità. Questo era il clima che si respirava, profondamente ed amaramente".
Infine ha concluso: "Ci sarebbero tante cose su cui riflettere. E' vero, siamo ancora di fronte ad una verità parziale ma emerge dal lavoro di tanti pm giudici, l'assoluta probabilità che quelle bombe del 1992 e del 1993 sono state azionate da uomini di Cosa nostra e sono esplose perché anche altri hanno voluto, organizzato o compartecipato materialmente con uomini di Cosa nostra. E il processo trattativa ha delineato il contesto in cui maturavano quelle stragi che non è solo mafioso ma istituzionale politico-mafioso".





Lodato a Fiammetta Borsellino: “La risposta agli interrogativi su via d’Amelio? Nella sentenza Stato-Mafia”

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“Potrebbe essere un errore non fare riferimento alla sentenza sulla Trattativa Stato-Mafia dove si potrebbe trovare la risposta ai suoi interrogativi (facendo riferimento a Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso in via D’Amelio, ndr”. Con queste parole il giornalista Saverio Lodato è intervenuto alla presentazione a Roma del suo libro “Il Patto Sporco” (ed. Chiarelettere) scritto a quattro mani con il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo. Lodato, in risposta a quanto detto dalla figlia del giudice qualche giorno fa a “Che Tempo Che Fa”, ha spiegato che “la storia delle stragi italiane non è nata a via D’Amelio” perché “si inserisce in quelle che partono da Portella della Ginestra fino ad arrivare a quelle successive di Roma, Firenze e Milano”.
Per il giornalista i famigliari delle vittime “hanno a cuore l’accertamento della verità per capire come sono morti i loro cari in un momento preciso e in un momento particolare di una determinata barricata”. Per questo motivo l’opinione pubblica “hanno il diritto di conoscere la verità su tutte, non solo su quella di via D’Amelio”. “Io credo che l’insieme delle famiglia delle vittime - ha concluso Lodato - in questo momento dovrebbero riflettere e prendere consapevolezza. Perché questa sentenza (trattativa Stato-Mafia, ndr) potrebbe diventare un punto di partenza per un nuovo accertamento della verità. A condizione che si rompa il silenzio e il muro di gomma di coloro i quali diedero giudizi sul processo. Intellettuali che abbiano il coraggio di aprire un dibattito su un Paese che non è stato solo falciato dai terrorismi rossi e neri, ma da un mafia, che con probabilità, in tantissime occasioni è stata il braccio armato per operazioni sporche del potere che voleva e doveva fare per logiche che oggi sono sconosciute e in parte gli italiani hanno capito”.


Lodato: “Com' è possibile che un imputato per mafia vada a scuola a parlare di legalità?”

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“Se quel documentario (facendo riferimento a un documentario riguardo le stragi italiane proiettato all’inizio, ndr) andasse in onda in TV contribuirebbe a migliorare la coscienza civile del paese. Ci dice che in un Paese normale non dovrebbero accadere le stragi, ma sappiamo che in molti paesi le stragi, i delitti politici sono diventati spesso strumenti per fare politica”. Ha così iniziato l’intervento il giornalista Saverio Lodato alla presentazione a Roma del libro “Il Patto Sporco” (ed. Chiarelettere). “Quel documentario ci dice - ha aggiunto - che in un paese anche in ritardo di 25 anni si arriva a una sentenza di Corte d’Assise. E fin qui siamo una logica di una paese ‘normale’ dove avvengono delle stragi che vengono punite con le sentenze della magistratura”.
Lodato ha poi parlato anche di una “terza parte di storia che non è normale che è indegno in un Paese dove sono avvenute le stragi”, dove “l’imputato principale di quel processo, (trattativa Stato-Mafia, ndr) un generale dei carabinieri e rappresentate dei servizi segreti, ha la possibilità di dire l’ultima parola: ‘io mi auguro di vedere morire i miei accusatori’”. Il giornalista ha poi detto che il nostro Paese è “bizzarro” e “si indigna quando un vecchietto sopravvissuto delle brigate rosse va a raccontare nelle scuole gli anni di piombo. E in quel momento i telegiornali italiani aprono le loro denuncie dicendo che è scandaloso”.
L’editorialista ha quindi parlato dell’intervento del Generale Mario Mori qualche mese fa in una scuola in Abruzzo per una lezione di legalità e di come “nessun giornale tranne Il Fatto Quotidiano abbia denunciato il fatto”. “In quale paese al mondo un condannato per mafia va a scuola a tenere delle lezioni di legalità. - ha detto - Nessuno ha detto nulla. Nessuno ha protestato e nessun provveditorato ha scritto una lettera nei confronti della preside che era sorella di un imputato di quello stesso processo”.
Lodato ha poi sottolineato che secondo gli storici “la mafia è antica di circa 200 anni” e che in Italia “solo dal 1962 è stata istituita la commissione parlamentare antimafia e che quindi da circa 60 anni si studia questo fenomeno”. Dopo queste considerazioni, il giornalista si è chiesto: “Come si spiega la longevità di questo fenomeno?” “Oggi - ha proseguito Lodato - dobbiamo dire che Falcone e Borsellino non avevano alle loro spalle lo Stato italiano quando sono stati uccisi. Così come non lo avevano il generale Dalla Chiesa, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, il capitano Basile, il carabiniere Mario D'Aleo, Mauro De Mauro, Rostagno, Francese, Fava, tutti quei poliziotti e carabinieri che sono stati trucidati negli anni".
Per lo scrittore ciò che hanno in comune il maxi processo a Cosa nostra con quello a Giulio Andreotti e quello sulla trattativa Stato-Mafia è che “in tutte e tre i casi una parte della magistratura e forze di polizia hanno deciso che non bisognava più convivere con la mafia, ma hanno accettato che esisteva e che andava combattuta con gli strumenti di uno Stato di diritto”.
“Quando lo Stato non poteva fare nulla davanti allo stragismo comprese che il braccio armato della mafia poteva essere sgominato - ha concluso - dopo le stragi del ’92 i magistrati avevano capito che dietro si nascondevano i rapporti con la politica, le istituzioni, l’economia e la finanza”.



"Colpevoli!", esclamano le attrici Nappi e Natoli
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L’ultima lettura, a due voci, di Claudia Nappi e Carlotta Natoli sulla sentenza trattativa Stato-mafia, ha dato il termine all’evento tenutosi presso Hub Culturale Moby Dick a Roma interpretando le parole degli autori del libro "Il Patto Sporco": “Colpevoli. Colpevoli per essere scesi a patti con Cosa Nostra. Colpevoli per aver trattato in nome di uno Stato che mai avrebbe dovuto trattare. Colpevoli per aver creduto che la divisa che indossavano, gli alamari, le mostrine, gli alti gradi di comando che rappresentavano, li esentassero dal dovere istituzionale di non scendere a compromesso con chi stava riducendo l’Italia a un mattatoio. Colpevoli di avere fatto pervenire a Silvio Berlusconi e al suo governo le richieste avanzate dalla mafia per porre fine allo stragismo. Colpevoli, in altre parole, di intelligenza con il nemico. Le prove, dunque, c’erano. Le prove erano state raccolte e portate in dibattimento da un ristretto gruppo di PM che non si sono rivelati né visionari, né persecutori incattiviti: Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia. E non dimentichiamolo Antonio Ingroia, il quale, per aver creduto per primo da pubblico ministero in quello che sembrava un teorema impossibile, vide le pene dell’inferno. Le prove hanno retto al vaglio di un dibattimento durato oltre cinque anni”. Le considerazioni di Lodato sono datate 20 aprile, giorno in cui fu pronunciata la sentenza al processo trattativa.
“Si diceva, infine, che Lo Stato non avrebbe mai processato se stesso. - hanno continuato le due attrici - Questo Stato - rappresentato dalla seconda corte d’assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto - non solo il processo lo ha celebrato. Ha avuto anche il coraggio, non da poco nell’Italia di oggi, di dire le parole più scomode che si potessero sentire sull’argomento: la verità su come andarono davvero le cose negli anni delle stragi; stragi in cui, ricordiamolo en passant, persero la vita, fra gli altri, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Agostino Catalano, per non parlare delle vittime civili di Roma, Firenze e Milano. Le pene sono ‘pesanti’. Ma questa non è una sentenza "pesante". È una sentenza ‘storica’, e non ci vuole molto a capire perché”.



Nino Di Matteo: ''Nel processo trattativa fatti che vanno raccontati''
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"Il processo sulla trattativa, a prescindere dall'esito che potrà avere in secondo grado o in Cassazione, racconta dei fatti che rimarranno tali e che vanno evidenziati e raccontati". Così Antonino Di Matteo ha esordito nel suo intervento durante la presentazione del libro "Il Patto Sporco" (ed. Chiarelettere), scritto a quattro mani dal pm Nino Di Matteo con Saverio Lodato, che si sta tenendo a Roma presso  Moby Dick Hub Culturale. "Attorno a questo processo - ha proseguito Di Matteo - all'inizio c'è stato un atteggiamento negazionista, con accuse di vario tipo, lanciate contro i magistrati che lo conducevano. Poi, dopo questa prima fase, spiazzati dal fatto che la corte aveva riconosciuto la validità delle accuse dopo centinaia di ore di udienze, la strategia è cambiata ed alla negazione è subentrato il muro di gomma. Per questo è importante rompere il silenzio sui fatti". Di Matteo ha dunque ribadito l'importanza di processi storici come il Maxi Processo o il processo Andreotti, "con quest'ultimo che ha dimostrato come il problema mafioso era da sempre una questione nazionale e non solo ora che sono state scoperte le infiltrazioni 'ndranghetiste in Piemonte, in Lombardia o nel Lazio". "Il terzo caposaldo - ha detto il sostituto procuratore nazionale antimafia - è stato raccontato con questo processo che dimostra come il rapporto mafia-istituzioni non è sempre stato di contrapposizione fisiologica ma, troppo spesso, hanno avuto un rapporto di dialogo e mediazione sotterranea". Proseguendo la relazione Di Matteo ha letto alcuni passaggi della sentenza che mette in stretta connessione le stragi del 1992 con quelle del 1993 fino al fallito attentato all'Olimpico. "La sentenza - ha ricordato il pm - dice chiaramente che tre Governi percepirono la minaccia e la violenza in quello che stava avvenendo, ma anziché denunciare preferirono tacere. La sentenza dice che l’intermediazione di Dell’Utri è proseguita attraverso la trasmissione di messaggi e richieste di Cosa Nostra a Silvio Berlusconi anche dopo il 1992. Soprattutto dopo che Silvio Berlusconi a seguito delle elezioni del marzo 1994 divenne Presidente del Consiglio. Si dice che versava denaro nelle casse di Cosa nostra anche in quel momento.
E ancora si dice che un Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, ha mentito quando è stato da noi sentito durante le indagini. Ecco perché non si parla del processo".


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Natoli e Nappi: “Per la prima volta carabinieri di alto rango, Subranni, Mori e De Donno, venivano condannati per un reato così infamante”
di AMDuemila
“Che accadde quel pomeriggio?” ha domandato Bianca Nappi, riprendendo le parole del giornalista Saverio Lodato nell’opera “Il Patto Sporco”, in un momento della presentazione presso l’Hub Culturale Moby Dick a Roma.
“Entrammo nell’aula bunker del carcere Pagliarelli, a Palermo, un quarto d’ora prima delle 16. - ha recitato, il ricordo del magistrato Nino Di Matteo del giorno della lettura del dispositivo di sentenza a Palermo il 20 aprile scorso, l’attrice Carlotta Natoli - Il cancelliere, infatti, come da prassi per camere di consiglio molto lunghe, aveva avvertito tutte le parti processuali che il dispositivo di sentenza sarebbe stato pronunciato intorno a quell’ora. Trovammo in aula decine e decine di giornalisti e telecamere che, duole ricordarlo, si erano visti con un pari spiegamento di forze solo all’udienza iniziale. Si percepiva la febbrile attesa di una sentenza che in ogni caso avrebbe rappresentato una pietra miliare nella storia della giustizia italiana. Avrebbe segnato il percorso futuro di quella magistratura che ancora si ostina a credere e a lottare, convinta che – come si legge ancora in certe aule di tribunale – «La Legge è Uguale per Tutti». Quando la Corte entrò calò un silenzio spettrale. Nei volti dei giudici si percepivano tensione e stanchezza. Il presidente iniziò la lettura, anche la sua voce tradiva emozione. Pochi attimi e capimmo com’era andata. Tutti gli imputati che rispondevano di quel reato furono riconosciuti colpevoli. E condannati a pene detentive adeguate alla gravità dei fatti accertati. La Trattativa c’era stata. La minaccia anche. Mentre correva il sangue delle stragi c’era chi, in nome dello Stato, dialogava e interagiva con il nemico. La lettura del dispositivo durò alcuni minuti. In aula risuonava solo la voce del presidente. Per ciascun imputato venne indicato il periodo nel quale era stato commesso il reato. Quando si arrivò al nome di Dell’Utri venne specificato che quel periodo era successivo al momento in cui Silvio Berlusconi, del quale venne fatto il nome, aveva assunto l’incarico, nel 1994, di presidente del Consiglio. Per la prima volta, una sentenza pronunciata in nome del popolo italiano accostava il protagonismo della mafia a Berlusconi, considerato non più un semplice imprenditore, ma un politico con responsabilità di governo. Per la prima volta carabinieri di alto rango, Subranni, Mori e De Donno, venivano condannati per un reato così infamante. Condannato anche Massimo Ciancimino per la calunnia a Gianni De Gennaro, ex capo della polizia. Veniva assolto solo Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza”.

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Natoli e Nappi: “Saremmo stati, per tutti e per sempre, i visionari che pretendevano di processare lo Stato”

di AMDuemila
“E venne il giorno della sentenza. Lo Stato, che aveva processato se stesso, si sarebbe fatto sconti? Si sarebbe trattato in guanti bianchi, facendo propria la tesi che se la Trattativa c’era stata, era stata Trattativa a fin di bene? Giornali e televisioni si aspettavano il colpo di spugna assolutorio, il liberatorio «tutti a casa, in fondo non è successo nulla». Pensatori di fine concetto, politici che sanno come va il mondo, giornalisti che troppa cronaca nera avevano mangiato e digerito, per credere ancora alla Befana, scommettevano che delle chimere accusatorie dei pubblici ministeri non sarebbe rimasto proprio nulla. La sentenza sarebbe stata la prova definitiva della sconfitta di un azzardo indimostrabile, quello che lo Stato italiano avesse qualcosa a che vedere con Cosa Nostra. Un pugno di coraggiosi giudici popolari, con tanto di fascia tricolore, chiamati a una impresa titanica, un presidente di Corte d’assise, Alfredo Montalto, una giudice a latere, Stefania Brambille, lasciarono tutti di sasso, sconvolsero le previsioni dei bookmaker che scommettono sui capricci della "dea bendata", dimostrando invece che il reato c’era: eccome se c’era. E, in un attimo, quasi per incanto, quello Stato che aveva processato se stesso, grazie a quei giudici, non ebbe più né sconti né attenuanti. Imputati condannati, sia coppole storte, sia carabinieri di rango, sia uomini politici. Sentenza shock? Sentenza pesante? Sentenza storica? Epocale? Forse, molto più semplicemente, il verdetto di una Corte libera, scevra dai condizionamenti mediatici. E può capitare a tutti di incontrarne nelle aule di giustizia. Ci racconti allora le sue emozioni e il suo stato d’animo, le ore della attesa e della vigilia, i vostri pronostici, cosa provò, insieme ai colleghi d’avventura, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia, quel 20 aprile 2018, alle ore 16, quando vi alzaste in piedi all’ingresso della Corte d’assise per quei sette minuti e cinquanta secondi che fecero tremare in Italia tutti i Palazzi del Potere”. Ha continuato così l’attrice Bianca Nappi nell’interpretare le domande poste da Saverio Lodato al pm Di Matteo nel libro “Il Patto Sporco”, durante la presentazione a Roma.
“Ricordo tutto di quel giorno e di quelli lunghissimi che lo precedettero. - ha interpretato le parole di Nino Di Matteo, l’attrice Carlotta Natoli - A conclusione di oltre cinque anni di dibattimento, la Corte si era ritirata in camera di consiglio sei giorni prima di quel 20 aprile. In me e nei colleghi la lunga attesa faceva aumentare la tensione. Ero già abituato a vivere le sensazioni che inevitabilmente accompagnano un importante verdetto dopo processi delicati e difficili. Ma questa volta era diverso. Con Teresi, Tartaglia e Del Bene, eravamo consapevoli che l’eventuale assoluzione degli imputati, e in particolare di quelli istituzionali, avrebbe segnato il definitivo tramonto di un’epoca e di una aspirazione: quella di colpire i rapporti alti, altri, inconfessabili, di Cosa Nostra con il Potere. La mattina del 20 ci ritrovammo seduti intorno a un tavolo a discutere di questa eventualità, quella della sconfitta processuale, con due precise convinzioni. La prima: avevamo fatto tutto quello che la legge e la coscienza ci avevano suggerito. La seconda: saremmo stati letteralmente travolti da una nuova e ancora più violenta ondata di attacchi e delegittimazioni. Saremmo stati, per tutti e per sempre, i visionari che pretendevano di processare lo Stato. Sapevamo che quel rischio era concreto perché era la prima volta in cui mafiosi e uomini in divisa erano accusati di avere insieme minacciato il governo della Repubblica. Ma restavamo convinti che le prove raccolte avrebbero portato alla condanna di tutti gli imputati di quel terribile reato: minaccia a corpo politico dello Stato”.



Giorgio Bongiovanni: "Mai come oggi si è giunti a un passo dal raggiungimento delle verità sulle stragi"
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"L'informazione è al servizio del potere. Quello che mi duole è che anche questo governo con l'informazione non sta andando bene". Esprime così il suo parere il direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni, in risposta alla domanda della giornalista Silvia Resta sullo stato dell'arte dell'informazione in Italia. Una "visione pessimista" che è scaturita anche dai recenti avvenimenti in tema mafia i quali non vengono riportati all'opinione pubblica in maniera fedele o perlomeno integrale. A questo riguardo Bongiovanni, intervenuto durante la presentazione del libro "Il Patto Sporco", scritto dal sostituto procuratore nazionale Nino Di Matteo e dal giornalista e scrittore Saverio Lodato, tutt'ora in corso a Roma, ha parlato dell'udienza del processo sul depistaggio della strage di via d'Amelio tenutosi nella Capitale due giorni fa. In aula era stato sentito l'ex uomo d'onore Giovanni Brusca che ha parlato, nuovamente, di un orologio costoso indossato dal cavaliere Silvio Berlusconi. "Rai 1 era presente in aula - ha affermato Bongiovanni - ma non ha mandato in onda le dichiarazioni di Giovanni Brusca dove raccontava di un incontro avuto con Matteo Messina Denaro. Il quale parlando di orologi con Brusca (grande collezionista di orologi, ndr) racconta che in uno degli incontri che Giuseppe Graviano aveva avuto con Silvio Berlusconi ha visto nel suo polso un orologio da 500 milioni di lire". "Dichiarazioni importanti - afferma il direttore - che aggiungono un altro tassello a quello di cui stiamo parlando ma Rai 1 non l'ha mandato in onda, il direttore ha detto che 'non era una notizia'". Per questo motivo dunque Giorgio Bongiovanni descrive l'informazione italiana come "carente per quanto riguarda - specifica - non la lotta alla mafia militare, ma le notizie importanti riguardo mafia-stato e mafia-politica con testimonianze di collaboratori". Notizie di rilievo dove però "l'informazione tace". Per questo motivo nasce "Il Patto Sporco" che Bongiovanni ha definito "un libro importante perchè per la prima volta nella storia si spiega cosa è stata la trattativa mafia-stato e quelle cose che non vogliono che si sappiano, cioè - afferma Bongiovanni - che la mafia non solo ha trattato con lo stato ma è stata spesso il braccio esecutivo di una parte di esso. Una parte dello Stato si è servito della mafia per fini di potere con omicidi, l'aggravante è che la mafia si è arricchita tramite il traffico di droga". Ma il libro spiega anche altro, come ha aggiunto sempre il direttore della rivista ANTIMAFIADuemila, ad esempio "che la strage di via d'Amelio, in particolare, è una strage 'anomala' dove è probabile che Borsellino, lo dicono le sentenze, ha perso la vita perchè c'è stata una accellerazione della strage". E poi "si parla dell'ex senatore Marcello Dell'Utri che non solo ha trattato ma aveva garantito, secondo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, a Cosa Nostra dei benefici". "In sostanza - conclude il suo intervento Bongiovanni - ci troviamo di fronte ancora oggi a grandi sistemi di sicurezza che difendono i magistrati perchè ci troviamo di fronte ancora oggi al rischio che ci siano altre stragi". Questo perché "mai come ora si è giunti a un passo dal raggiungimento delle verità sulle stragi. Le inchieste condotte da pubblici ministeri, come Di Matteo e altri, ci hanno fatto quasi arrivare all'apertura di quella porta e vedere chi sono questi famosi mandanti esterni incappucciati. Siccome questo è un rischio per l'assetto di potere ancora presente in Italia accade quello che è sempre acaduto nel corso della storia cioè la deligittimazione, la calunnia e le ironie. Cercare in qualche modo di fermare questo lavoro per evitare che questi personaggi vengano arrestati, imputati e condannati come nel processo trattativa stato mafia. Quell'assetto di potere politico economico, finanziario e massonico ancora oggi governa in Italia. A mio giudizio - termina Bongiovanni - non è Riina che minaccia i magistrati come Di Matteo ma è quell'assetto di potere che non vuole che quello stato, che questi magistrati servono, possa smascherarli, perchè significherebbe per loro la fine".



Resta: ''La conoscenza ci rende liberi e la democrazia muore nell'oscurità''
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Cosi ha affermato la giornalista Silvia Resta. “Oscurità è il destino di questo processo durato cinque anni in cui il paese non ha avuto riscontri o informazione che è mancata attorno a questo processo. L’informazione ha manipolato, è mancata, si è arresa e non c’è stata l’attenzione che invece era stata dedicata a fatti di portata minore per la vita pubblica. Si parla in questi giorni dell’anniversario del caso di Cogne, lì ci furono dirette, riproduzioni, grafiche e un’informazione quotidiana e costante, quasi morbosa” ha continuato la giornalista. “Possiamo dire che il processo trattativa è nato già con le telecamere spente e con una clima che lo voleva far passare come un processo di persone che emettevano teoremi invece poi abbiamo visto, attraverso le udienze, che sono venute a galla tante novità e sono emerse numerose figure pubbliche che avevano omesso negli anni delle parti importanti. Il puzzle si è andato a ricomporre ed è un quadro che non ci fa piacere vedere. Ma la conoscenza ci rende liberi e la democrazia muore nell’oscurità”.


Resta: "Questo tunnel oscuro della trattativa ha presentato un fitto gioco delle parti e un dialogo tra mafia e stato che la sentenza di Palermo dello scorso anno ha reso certo"
di AMDuemila

relatori pubblico

“È molto oscuro il tunnel in cui il magistrato Nino Di Matteo e la magistratura nel suo complesso si è addentrata dopo quel periodo tragico che ha attraversato l’Italia all’inizio degli anni novanta. Le stragi sono avvenute in successione strategica e numerica. Una geometria del tritolo che non si era mai vista prima”. Così ha esordito la giornalista Silvia Resta all’apertura della presentazione del libro ‘Il patto sporco’ del magistrato Nino Di Matteo e del giornalista e scrittore Saverio Lodato.
“Questo tunnel oscuro della trattativa ha presentato tanti buchi neri, un fitto gioco delle parti e un dialogo tra mafia e stato che la sentenza di Palermo dello scorso anno ha reso certo. È una realtà incontrovertibile. Il dialogo tra apparati dello stato e cosa nostra in quei mesi c’è stato ed ha portato delle conseguenze”.
Ha poi continuato la giornalista parlando della solitudine che hanno vissuto i magistrati che si sono occupati del processo sulla trattativa. “È stata diffusa la definizione’ processo trattativa stato mafia’ ma in realtà si è trattato di un processo sulle conseguenze che questo dialogo ha innescato e che sono ricadute sulla vita pubblica e la democrazia anche negli anni a seguire”.



Natoli e Nappi: ''Ormai il Re è nudo''
nappidi AMDuemila

"Ormai il Re è nudo. La Trattativa fra lo Stato e la mafia ci fu, ebbe i suoi protagonisti, il suo scopo sotterraneo, la sua filosofia dell’arrendevolezza e dell’intelligenza con il nemico. E provocò le sue vittime innocenti. Per decenni e decenni si era invece voluto far credere che la mafia, in Italia, fosse un mostro criminale autosufficiente. E che lo Stato la combatteva, con alti e bassi, da oltre un secolo e mezzo. Una grande favola, una rappresentazione falsa della realtà. Una maniera elegante per far sì che centinaia e centinaia di persone assassinate apparissero, agli occhi dell’opinione pubblica, come gli eroi moderni caduti durante lo scontro frontale fra il mostro criminale autosufficiente e uno Stato integerrimo che gli faceva la guerra. La grande favola, appunto". E' un altro passaggio del libro "Il Patto Sporco" (edito da Chiarelettere) scritto a quattro mani dal pm Nino Di Matteo e dal giornalista Saverio Lodato. L'attrice Carlotta Natoli ha proseguito insieme a Bianca Nappi la lettura del volume: "Il Re era nudo da tempo. Ma nessuno voleva vederlo. I fatti, i personaggi, le solite manine che hanno accompagnato, e in certi casi diretto dall’esterno sia la mafia sia il terrorismo in questo paese, erano perfettamente individuabili. Ma nessuno voleva trarne le dovute conseguenze. Non si volevano delineare responsabilità politiche, istituzionali, storiche, che avrebbero potuto precedere e prescindere dalla responsabilità penale di soggetti determinati... a morire nelle barricate" erano "tutti quelli che si permisero di mettere in discussione la sostanziale convivenza, la spartizione occulta di una gestione del potere reale che a molti andava bene ma che calpestava i diritti di tutti. Magistrati, uomini politici, poliziotti e carabinieri, giornalisti e imprenditori, sacerdoti, che non accettavano, che non si piegavano, che mettevano in discussione la logica della mediazione, della coesistenza e del compromesso. E di fronte a uno scenario di queste dimensioni, non si può parlare di un merito della magistratura. Ma del demerito di chi ha volutamente ignorato che, per lunghi tratti di strada, Stato e mafia hanno camminato di pari passo”.


Natoli e Nappi: "Venticinque anni di solitudine e coraggio"
natolidi AMDuemila
"Ho la consapevolezza di essere sgradito a una parte consistente e importante del Potere. Ma non a tutto il Potere. Peccherei di superficialità se pensassi una cosa del genere. Negli ultimi anni, quando il livello delle mie inchieste si è scontrato con settori importanti delle istituzioni, spesso, anche da quei settori, in mezzo a tanta ostilità, ho registrato attestati di stima e di appoggio. Continuo a sperare, prima o poi, in una vita più normale, a costo di assumermi la responsabilità di scelte difficili. Continuerò a provare infinita gratitudine e stima per chi rischia la vita per me. Ma non mi rassegno a pensare a livelli di protezione così alti come a una condizione che mi accompagnerà per sempre". Con queste parole, tratte dal libro “Il Patto Sporco”, l’attrice Carlotta Natoli e Bianca Nappi hanno interpretato durante la presentazione del libro edito da Chiarelettere scritto da Nino Di Matteo e Saverio Lodato.
Il libro parla del processo Trattativa Stato-Mafia nel racconto di un suo protagonista: Nino Di Matteo che ha condotto l’accusa insieme ai magistrati Vittorio Terresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Le due attrici hanno riportato al pubblico del Hub culturale Moby Dick alcuni passi dell’opera: i dialoghi tra il sostituto procuratore nazionale antimafia e il giornalista. Al pubblico sono arrivate le stesse emozioni e sentimenti delle parole pronunciate nel libro. Di Matteo ha vissuto “venticinque anni di inchieste e di solitudine, di ricerca accanita della verità, di successi e momenti di amarezza, ma anche di isolamento e vita blindata. - ha letto Natoli - Un quarto di secolo, con la toga addosso, nell’Italia di oggi. Dall’età di trent’anni, a oggi che ne ha cinquantasette".

Foto © Jacopo Bonfili

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Il servizio di Lorenzo Santorelli

Di Matteo: ''In questo Paese una voglia insana di archiviare per sempre verità su stragi e trattativa''

La Trattativa Stato-mafia, intreccio mortale tra poteri forti, occulti e criminali - di Rossella Guadagnini

''I pericoli di una mafia che non spara'' - di Dacia Maraini (Intervista)

Il Patto Sporco: 'La Voce di New York' intervista Saverio Lodato - di Joseph M. Benoit

''Il Patto Sporco'' presentato a Quante Storie
Il magistrato Nino Di Matteo ospite di Corrado Augias

''Il Patto Sporco'' nelle parole di Corrado Stajano

Un patto sporco tra mafia e Stato - di Lorenzo Baldo
Il libro di Saverio Lodato e Nino Di Matteo per conoscere la storia (censurata) d’Italia

Di Matteo: ''Berlusconi continuò a pagare Cosa nostra anche da Premier''
Il pm, intervistato da Borrometi per Tg2000, presenta il libro "Il patto sporco" - VIDEO

Le verità che molti volevano nascondere - di Paolo Borrometi


La trattativa Stato-mafia e un Paese senza memoria (e forse senza futuro). Parla Nino Di Matteo
di Paolo Borrometi