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mattarella piersanti 610di Aaron Pettinari
Una storia ancora avvolta dal mistero

Una doppia cerimonia tra Palermo e Castellammare del Golfo (Trapani). Così viene ricordato oggi Piersanti Mattarella, presidente della Regione siciliana, allievo di Aldo Moro, ucciso il giorno dell'Epifania del 1980. In quel 6 gennaio di 39 anni fa, poco prima delle 13, Mattarella venne colpito in via Libertà, mentre usciva di casa per andare a messa a bordo di una Fiat 132.
Quel giorno era solo, senza scorta, per sua stessa scelta in modo da promettere agli agenti di stare con le loro famigli in un giorno di festa. Appena entrato alla guida della vettura, però, fu avvicinato dai killer che spararono una serie di colpi. Il tutto avvenne davanti alla moglie Irma Chiazzese, ai due figli e la suocera. Sul posto, immediatamente dopo il delitto, giunse anche il fratello Sergio, oggi Presidente della Repubblica, accorso in strada appena sentiti gli spari.
La vicenda giudiziaria legata all'omicidio Mattarella è stata piuttosto lunga e complessa, e si è conclusa senza fare piena luce sull'omicidio. Come mandanti sono stati condannati all'ergastolo i boss della commissione di Cosa Nostra (Totò Riina e Michele Greco condannati all'ergastolo, con altri esponenti della cupola: Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci detto Nenè), ma l'inchiesta non è riuscita a identificare i sicari né i presunti mandanti esterni.
Già negli ultimi mesi del 1979, Mattarella si era reso pienamente e drammaticamente conto che la propria sorte e la propria vita erano strettamente intrecciate all'evoluzione dei rapporti di forza tra politica e mafia e al peso che all'interno del suo partito avevano quegli uomini che - secondo lui - "non facevano onore al partito stesso" e che "bisognava eliminare per fare pulizia".
La sua azione politica, come presidente della Regione Siciliana stava contrastando fermamente proprio la criminalità organizzata. Proprio nel 1979, alla Conferenza regionale dell’agricoltura tenutasi a Villa Igea, Mattarella non usò mezzi termini quando sottoliniò la propria opposizione contro la mafia e il malaffare. E non si oppose quando il deputato del Partito Comunista Italiano Pio La Torre - ucciso nell’82 - accusò l’assessore dell’agricoltura Giuseppe Aleppo di essere colluso con la delinquenza della regione. Piuttosto, si limitò a confermare l’urgenza di garantire legalità e trasparenza nella gestione dei contributi agricoli regionali.
Durante le prime indagini sull'omicidio la vedova aveva riconosciuto in una fotografia l'estremista di destra Giusva Fioravanti come killer. Ma diversi collaboratori di giustizia smentirono che Fioravanti fosse stato coinvolto nel delitto e infine il suo nome uscì dal processo.
Oggi, però, la Procura di Palermo è impegnata in nuove indagini per dare un volto agli esecutori del delitto e non sono pochi gli spunti che rilanciano la pista dell'asse tra mafia e terrorismo neofascista che poterebbero al coinvolgimento dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari, attraverso una comparazione balistica con i proiettili usati per una trentina di omicidi tra il '77 e l'81.
Su questi aspetti, sin dal primo momento, aveva indagato anche Giovanni Falcone, il quale era convinto che gli ambienti eversivi di destra fossero implicati del delitto del Presidente della Regione. Per questo alla sbarra degli imputati portò i “neri” Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, accusati - e poi assolti - di essere gli autori materiali dell'omicidio.
Nel corso del processo Mattarella emerse chiaramente che il delitto non fu solo di matrice mafiosa. L’insofferenza di Cosa nostra nei confronti dell’allora Presidente della Regione era ben conosciuta da Giulio Andreotti: fu proprio l’ex presidente del consiglio a prendere parte a due incontri al cospetto di boss di “prima classe”, dove si parlò della politica di Piersanti Mattarella e di come fosse necessario eliminarlo. Tanto che, sebbene Andreotti fosse “nettamente contrario” all’esecuzione del delitto - si legge nella sentenza - dopo l’omicidio il divo Giulio “non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a allontanarsi senz’altro dagli stessi, ma è sceso in Sicilia per chiedere conto al Bontade (il boss Stefano Boutade, ndr) della scelta di sopprimere il presidente della Regione”, già da lungo tempo nella “black list” di Cosa nostra. La speranza è che con le nuove indagini si possa giungere ad un nuovo segmento di verità che si attende ormai da troppo tempo.

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