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diotallevi ernestodi AMDuemila
La Guardia di Finanza, su disposizione dei giudici della quarta sezione penale della Corte d'Appello di Roma, ha eseguito la confisca dei beni nei confronti di Ernesto Diotallevi, considerato dagli inquirenti e dagli investigatori come un elemento di spicco della Banda della Magliana.
Il provvedimento è arrivato al termine di una lunga indagine patrimoniale che gli uomini della Gdf hanno svolto su delega della Dda di Roma e che ha visto la posizione del faccendiere passare il vaglio di tutti i gradi di giudizio. La Cassazione, a gennaio 2018, ha infatti annullato il decreto con cui la corte d'Appello a maggio del 2017 aveva disposto - in riforma della decisione del tribunale del gennaio 2015 - la revoca parziale della misura. Secondo la Guardia di Finanza le indagini hanno consentito di documentare come Diotallevi, assolto dalla Corte d'Assise di Roma nel 1996 nell'ambito del processo alla banda della Magliana e da diverse accuse di omicidio (tra le altre quella per la morte del banchiere Roberto Calvi), è riuscito ad accumulare ingenti fortune nonostante l'assoluta carenza di fonti di reddito lecite, intestando i beni a prestanome.
La confisca ha riguardato immobili, opere d'arte, depositi bancari, polizze a vita, quote societarie, capitale sociale e patrimonio aziendale di 8 società, operanti nel settore della compravendita di immobili, della costruzione di imbarcazioni, del commercio di energia elettrica, dei trasporti marittimi e delle holding per un totale stimato di circa 25 milioni.
In tutto sono 43 le unità immobiliari sequestrate tra Roma, Gradara, in provincia di Pesaro-Urbino e Olbia. Tra questi un attico a pochi passi dalla Fontana di Trevi, una villa sull'Isola di Cavallo, in Corsica, ed un complesso turistico, in Sardegna. Per i giudici di piazzale Clodio, che nelle 56 pagine del decreto ricostruiscono le varie vicende giudiziarie di Diotallevi, siamo in presenza di un personaggio "certamente legato a Cosa Nostra e alla Banda della Magliana nelle loro composizioni pregresse e in quelle attuali ma soprattutto in termini che vanno al di là anche di quanto necessario a configurare quanto meno un concorso esterno". Per i magistrati Diotallevi negli anni si è posto "con disponibilità ampia e continua verso le richieste dei consociati, ma con una posizione di 'jolly", in grado quando necessario e opportuno di porsi anche al disopra delle stesse associazioni mafiose". Per la quarta sezione penale i precedenti penali, dagli anni '70 in poi, "pur nella estrema significatività delle vicende che ne fanno da sfondo, non dimostrano in sè una modesta caratura criminale quanto piuttosto l'estrema abilità e intelligenza di Diotallevi nello sfuggire ai 'rigori della legge', la cautela nel suo operare e nel contempo la 'statura' criminale che andava crescendo in modo tale che non ha mai riportato condanne per traffico di stupefacenti, usura o riciclaggio, coinvolgimenti che invece, nell'ambito del giudizio di prevenzione trovano ampie conferme". "Ancor più - viene scritto dai giudici della corte d'Appello - non è mai stato condannato per associazione a delinquere e associazione a delinquere di stampo mafioso a fronte di fatti, non ipotesi o favole o asserzioni di principio che trovano supporto sia nelle dichiarazioni di varie 'importanti collaboratori di giustizia', sia nelle sentenze di assoluzione o di parziale condanna che lo hanno riguardato, sia negli atti che documentano la dedizione a speculazioni immobiliari spregiudicate".
Nella giornata di ieri è poi giunto anche il commento del Procuratore generale di Roma, Giovanni Salvi che in una nota ha detto: "La Corte d'Appello riconosce i legami con la criminalità organizzata di stampo mafioso, sia romana che siciliana (Cosa Nostra) e consente l'acquisizione di un rilevante patrimonio, tra cui un immobile di pregio a Fontana di Trevi, società, stabilimenti balneari. La Corte d'Appello, sezione misure di prevenzione, giudicando a seguito dell'annullamento da parte della corte di Cassazione del decreto emesso dalla Corte in diversa composizione, ha confermato il decreto del Tribunale di Roma e ha disposto la confisca. Il pubblico ministero è stato rappresentato da un gruppo di lavoro congiunto della Procura generale e della Procura di Roma".

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