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travaglio marco c imagoeconomica 1di Marco Travaglio
Farà piacere ai pm Di Matteo, Teresi, Tartaglia, Del Bene e all’ex pm Antonio Ingroia, apprendere dalla viva voce del condannato in primo grado a 12 anni Mario Mori, generale dei carabinieri in pensione, già comandante del Ros e direttore del Sisde, che devono morire presto, possibilmente prima di lui. Il noto galantuomo lo va ripetendo in ogni dove: in tv, sui giornali e ultimamente anche nelle scuole. Almeno in quelle che l’hanno scelto come testimonial di legalità e invitato a educare i loro studenti. In passato le scolaresche avevano la sfortuna di incontrare personaggi che Cosa Nostra la combattevano. Ora hanno la fortuna di abbeverarsi al verbo di chi con Cosa Nostra negoziava, peraltro all’insaputa dei cittadini. In Rete circola il video di Irpinianews, rilanciato da ANTIMAFIADuemila, dell’ex generale intervistato all’uscita dell’Istituto Comprensivo di Serino (Avellino) subito dopo aver arringato la scolaresca sul tema-ossimoro “Educazione alla legalità e alla democrazia. Rispettare le regole è un aiuto, non un limite” insieme al correlatore e coimputato Giuseppe De Donno, il suo ex braccio destro, condannato a 8 anni in primo grado sempre per la trattativa Stato-mafia. Mori spiega subito con chi ce l’ha: “Accetto il giudizio di una Corte di Assise e accetto che un pm svolga pienamente il suo lavoro anche contro di me. Ma non accetto che un pm, dopo il giudizio, continui a parlare di questo argomento, perché la sua non è più una funzione impersonale, ma un qualcosa di personale”.

Quindi ce l’ha con i pm, soprattutto con Nino Di Matteo, che sta presentando il suo libro sulla trattativa. Poi, messo a fuoco l’obiettivo, prende la mira e spara: “Io sono molto reattivo: mi curo per vivere a lungo, perché devo veder morire qualcuno dei miei nemici”. Non sappiamo se l’amorevole auspicio - peraltro condiviso con il suo ex coimputato Riina, buonanima - sia esteso alle parti civili del processo Trattativa, che come i pm chiesero e ottennero la condanna sua e degli altri imputati: i parenti delle vittime delle stragi e le associazioni antimafia. Né se il simpatico augurio sia stato esplicitato anche dinanzi agli studenti, o solo davanti ai cronisti, così poco curiosi da non domandargli chi precisamente vorrebbe vedere schiattare ed eventualmente come. Sappiamo però che la dirigente scolastica Antonella De Donno (sorella del più noto Giuseppe) assisteva compiaciuta all’intervista e spiegava l’incontro con la necessità di “radicare il concetto di legalità negli alunni fin dalla più tenera età” affinché crescano all’insegna “dell’onestà, del rigore morale e della cittadinanza attiva”.

Sennò mica avrebbe invitato Mori e De Donno, che diamine. Purtroppo dell’incontro con la scolaresca non c’è testimonianza filmata. Perché sarebbe interessante scoprire come sono stati presentati i due relatori agl’ignari studenti. Improbabile che la dirigente De Donno abbia detto: “Ragazzi, oggi abbiamo pensato di affidare una lezione di legalità a due ex carabinieri condannati a 12 e 8 anni dalla Corte d’Assise di Palermo, insieme ai boss mafiosi che ammazzarono Falcone e Borsellino, per minaccia a corpo politico dello Stato per avere trattato con Cosa Nostra anziché combatterla”. O anche: “Ricordate la strage di via D’Amelio, in cui persero la vita Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, e quelle di via dei Georgofili a Firenze, di via Palestro a Milano, di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano a Roma? Ecco, la Corte d’Assise ha appena sentenziato che la prima mattanza non si sarebbe verificata il 19 luglio 1992 e le altre non ci sarebbero mai state se due alti ufficiali dei carabinieri non fossero andati a trattare con Riina tramite Ciancimino. E noi oggi abbiamo invitato proprio loro, gli ex ufficiali Mori e De Donno, per insegnarvi un po’ di legalità. Siete contenti? Un bell’applauso!”. Più probabile che si sia tenuta sulle generali.

Magari avrà raccontato che Mori è l’eroe che catturò Riina, senza specificare che fino a pochi giorni prima ci aveva trattato per interposto don Vito e che in quel giorno radioso omise di perquisire e anche di sorvegliare il covo del capo dei capi, lasciandolo così svuotare dai mafiosi: altrimenti anche il più ritardato degli alunni avrebbe capito che i conti non tornavano. Difficilmente si sarà avventurata nelle catture di altri latitanti, come Santapaola e Provenzano, arrestati dalla Polizia mesi o anni dopo che il Ros di Mori e De Donno li aveva lasciati scappare. Il miglior biglietto da visita delle due guest star della legalità sarebbe stato il video, disponibile su Youtube, della loro testimonianza del ’97 alla Corte d’Assise di Firenze, nel processo sulle stragi del ’93, in cui ammettevano testualmente e ripetutamente la “trattativa” con Cosa Nostra. Ma poi si sa come sono fatti i ragazzi. Dopo tanti film e fiction su mafie, gomorre e narcos, avrebbero potuto domandare, col candore del bambino della fiaba sul re nudo: ma se Ciancimino comunicava con i capimafia, voi carabinieri non potevate seguire gli intermediari per arrestare i capimafia? E la lezione di legalità sarebbe finita lì, nell’imbarazzo generale. Ma almeno tutti avrebbero compreso perché Mori augura la morte prematura ai pm che tentano di far conoscere la sentenza occultata dai media. Del resto il celebre motto “Ricordati che devi morire” viene dal latino Memento mori. Con la minuscola, però.

Ps. Se il ministro dell’Istruzione e il provveditore agli studi volessero intervenire su questi begli esempi di educazione alla legalità, saremo felici di ospitarli. E se i genitori dei poveri ragazzi di Serino volessero conoscere la sentenza nascosta, per spiegare ai figli chi erano i due signori che parlavano a scuola, saremo felici di omaggiarli del nostro libro Padrini fondatori.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Foto © Imagoeconomica

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