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caccia bruno web2di Aaron Pettinari
È mancata una reale attività d’indagine

Non è un capitolo chiuso l'indagine nei confronti dell'ex militante di Prima Linea Francesco D’Onofrio, accusato di essere stato uno dei partecipanti all'agguato che il 26 giugno 1983 uccise il Procuratore capo di Torino, Bruno Caccia. La procura generale di Milano ha avocato il fascicolo dopo che la procura ordinaria aveva chiesto l'archiviazione del procedimento. Ieri, in tribunale, si doveva svolgere la discussione dell'istanza, ma il sostituto procuratore generale Galileo Proietto ha comunicato che il caso era stato preso in carico dal suo ufficio.
Nel decreto di avocazione viene scritto che nei confronti di D'Onofrio "è mancata nel presente procedimento una reale attività di indagine". Secondo la Procura generale occorre "indagare ancora sul periodo che va dal 2006 ad epoca antecedente l’omicidio, a prescindere da un’affiliazione rituale" in quanto "è evidente che a D’Onofrio non possono essere state conferite le doti di Padrino e Croce (gradi apicali della ‘ndrangheta ndr) senza una lunga e pregressa appartenenza all’associazione criminale".
Nei confronti di D'Onofrio (imputato anche nel processo d'appello Minotauro) vi sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Agresta di cui la Procura generale di Milano sottolinea "l’attendibilità intrinseca".
In particolare questi aveva rivelato alcuni dialoghi tra il padre, Salvatore Agresta (già condannato per 416 bis) e Cosimo Crea (tra i massimi esponenti della 'Ndrangheta a Torino): "In carcere hanno parlato in mia presenza anche dell’omicidio del procuratore Caccia. Hanno detto che se lo sono fatti Rocco Schirripa (già condannato all’ergastolo in primo grado) e Franco D’Onofrio. Anche altri detenuti mi hanno raccontato la stessa cosa".
Si evidenzia anche che i familiari di Caccia "non risultano essere mai stati sentiti" su due episodi, come più volte chiesto dal loro avvocato di parte civile Fabio Repici.
Il primo riguarda la lettera anonima ricevuta nel novembre 2017 in cui si fa riferimento ad asserite "verità" sul delitto Caccia con tanto di indicazione del nome di un detenuto che potrebbe "dirvi tutto". Poi c'è l'elemento riportato dal libro "Tutti i nemici del Procuratore" scritto dal viceprocuratore onorario torinese Paola Bellone in cui si parla dello scatto di nervi di Caccia ("voi non capite, io rischio la vita") un giorno che i familiari gli chiedevano di abbassare il volume della radio dalla quale stava ascoltando una notizia.
Proprio la famiglia Caccia lo scorso giugno si era opposta all'archiviazione di D'Onofrio parlando di "limiti sostanziali" e "lacune investigative" propri rispetto alle indagini compiute fino a quel momento.
Da sempre, inoltre, la famiglia Caccia, è rimasta convinta che dietro al delitto non vi fosse solo la 'Ndrangheta. Nelle sue indagini, Caccia si era anche occupato delle infiltrazioni mafiose nel casinò di Saint Vincent.
Nelle scorse settimane il legale Fabio Repici era stato sentito di fronte alla Commissione comunale Legalità e contrasto ai fenomeni mafiosi del Comune di Torino. Anche in quella sede erano stati evidenziati "i depistaggi e le pesanti omissioni". E sempre in quella occasione era stata rivelata la presentazione di un esposto al tribunale di sorveglianza di Torino per "revocare la semi-libertà concessa a Placido Barresi, personaggio della ‘ndrangheta su cui pesano diversi assassini eseguiti per conto della famiglia mafiosa dei Belfiore, ritenuta mandante del delitto Caccia. "Ritengo scandaloso e indegno - aveva detto Repici - che un mafioso ergastolano, che anche di recente è stato ritenuto dalla procura e dalla Corte d'Assise di Milano, come a conoscenza dei più reconditi segreti dell'omicidio Caccia, che ha sempre mantenuto segreti, continui a usufruire della semilibertà nonostante abbia commesso, almeno dal 2015, una serie innumerevoli di violazioni per le quali un qualunque altro ergostalano sarebbe tornato in carcere senza uscire più". Nonostante due processi gli interrogativi sul caso Caccia sono ancora numerosi. La speranza è che con l'avocazione dell'inchiesta possano arrivare quelle risposte fin qui mancate.

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