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borsellino paolo 1986di Aaron Pettinari
La Procura di Caltanissetta ha trasmesso gli atti per valutare le eventuali responsabilità nella gestione di Scarantino

Il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone ed il procuratore aggiunto Gabriele Paci hanno trasmesso alla Procura di Messina gli atti dell'inchiesta sul depistaggio e le motivazioni della sentenza Borsellino quater per valutare eventuali responsabilità dei magistrati che si occuparono delle indagini sulla strage di via d'Amelio che confluirono nei processi Borsellino I e bis. La notizia è stata riportata questa mattina dall'edizione palermitana del quotidiano La Repubblica. Si tratta di un atto dovuto dopo che la Corte d'Assise presieduta da Antonio Balsamo, il giorno della sentenza, aveva disposto la trasmissione ai pm dei verbali d’udienza dibattimentale “per eventuali determinazioni di sua competenza”.
Il motivo per cui ad occuparsi delle indagini sarà Messina e non Catania (in genere competente per le indagini sui magistrati del distretto nisseno) è presto spiegato dal fatto che proprio nella Procura etnea lavora come procuratore aggiunto Carmelo Petralia, uno degli inquirenti che si occupò di quelle indagini sulla strage in cui morirono Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta raccogliendo le dichiarazioni di Scarantino, il falso pentito che, come stabilito dalla sentenza del Borsellino quater, fu "indotto a mentire" accusando sé stesso ed altri soggetti innocenti coinvolgendoli nell'attentato.
La Procura nissena ha chiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio nei confronti di alcuni ex membri del gruppo Falcone e Borsellino, l’ex responsabile del gruppo di indagine, Mario Bo, e gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata.
Secondo i giudici della Corte d'Assise del Borsellino quater, "le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana" e "soggetti inseriti negli apparati dello Stato" indussero il balordo della Guadagna, Vincenzo Scarantino, a rendere false dichiarazioni sulla strage.

Il depistaggio nelle carte del Borsellino quater
E quel depistaggio viene indicato dalla Corte come "un proposito criminoso determinato essenzialmente dall'attività degli investigatori, che esercitarono in modo distorto i loro poteri". Proprio sul gruppo degli investigatori dell'epoca, guidato da Arnaldo La Barbera (deceduto), vengono accesi i riflettori. Secondo i giudici sarebbero stati loro a indirizzare l'inchiesta costruendo i falsi pentiti e la motivazione non si sarebbe celata dietro un'ansia di ottenere risultati nella ricerca dei responsabili del delitto del 19 luglio 1992. Un ruolo chiave lo avrebbe avuto l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera morto nel 2002. I giudici scrivono chiaramente che ebbe “ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell'agenda rossa” e si ricorda anche che La Barbera fu affiliato al Sisde dall’86 all’88 con il nome in codice di “Rutilius”. Nelle pagine della sentenza proprio sull'anomalo coinvolgimento dei Servizi di sicurezza nelle indagini viene posto un forte rilievo. Viene definita come "decisamente irrituale", la richiesta di collaborazione alle indagini espressa dall’allora procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra (deceduto l'anno scorso) a Bruno Contrada, all’epoca numero tre del Sisde, poi arrestato per mafia dai pm di Palermo nel dicembre del 1992, già nel giorno immediatamente successivo alla strage di via d’Amelio.

Il focus sui pm
Nel corso del processo sono emersi diversi elementi che sicuramente meritano un approfondimento per comprendere quanto avvenuto a cominciare dalla genesi con cui si arrivò ad individuare Scarantino per poi giungere alla sua collaborazione con la giustizia. Un percorso che vede tante, troppe anomalie. Una su tutte l'autorizzazione di alcuni colloqui investigativi "anomali" avvenuti dopo che Scarantino aveva iniziato la collaborazione con la stesura del primo verbale davanti ai pm il 24 giugno 1994.
Atti che portano la firma del magistrato Ilda Boccassini che nel corso del processo si è giustificata dicendo "di non ricordare i motivi di quell'esigenza che fu rappresentata dal Procuratore Tinebra". La stessa Boccassini che il 19 luglio 1994, in una conferenza stampa con il Procuratore Tinebra per parlare degli sviluppi delle indagini sulla strage di via d'Amelio, parlava di indagini che "hanno consentito di valutare appieno quello che Vincenzo Scarantino ci diceva". Una contraddizione in termini se si considera che qualche tempo dopo la stessa Boccassini firmerà una lettera assieme al pm Roberto Sajeva in cui si metteva in dubbio l'attendibilità di Scarantino.
Anche questi elementi saranno sottoposti al vaglio della Procura di Messina. Saranno dunque valutate le eventuali responsabilità del procuratore aggiunto Francesco Paolo Giordano e del sostituto Fausto Cardella, che firmarono alcuni atti nelle prime indagini, a cui si aggiungono anche i pm Carmelo Petralia ed Annamaria Palma (in servizio a Caltanissetta dal luglio 1994) e Nino Di Matteo che delle indagini sulle stragi si occupò, a partire dal novembre 1994. Come abbiamo più volte scritto, però, l'oggi sostituto procuratore nazionale antimafia con la vicenda del depistaggio non ha nulla a che fare. Seguì il processo Borsellino II nella fase dibattimentale al termine della quale chiese ed ottenne per quattro dei sette imputati per strage, successivamente ritenuti estrani alla stessa, l'assoluzione proprio perché accusati dal solo Scarantino. Diversamente Di Matteo ha seguito dall'inizio delle indagini il processo Borsellino III, conclusosi definitivamente con la condanna di oltre 20 mafiosi tra organizzatori ed esecutori dell'attentato (tra cui compaiono boss come Giuseppe "Piddu" Madonia, Benedetto "Nitto" Santapaola, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Raffaele Ganci, Michelangelo La Barbera, Mariano Agate, Cristoforo Cannella, Filippo Graviano e Domenico Ganci). Proprio da questo processo emersero per la prima volta le vicende in merito all'accelerazione che portò alla morte del giudice Borsellino oltre che riguardo il possibile coinvolgimento dei cosiddetti "mandanti esterni". La ricerca della verità sulla strage di via d'Amelio è sacrosanta, specie se si considera che ancora oggi attorno al delitto vi sono ampie zone d'ombra. Misteri irrisolti come la sparizione dell'agenda rossa, l'identità dello sconosciuto uomo che Gaspare Spatuzza (il pentito che ha contribuito a far nuova luce sui fatti) ha detto essere stato presente durante la preparazione dell'autobomba; l'infiltrato di cui parla la mamma del piccolo Giuseppe Di Matteo con il marito nel 1993; le confessioni di Borsellino fatte alla moglie Agnese su Subranni e quelle fatte ai colleghi Massimo Russo e Alessandra Camassa riguardo “un amico che mi ha tradito”. Tanti pezzi del puzzle che vanno messi assieme e che si intrecciano anche con la vicenda del depistaggio Scarantino. Una storia che va guardata nel suo complesso e con i dovuti distinguo, altrimenti si inizia un gioco al massacro con l'obiettivo di demolire chi ha cercato di far luce su certi fatti e a farne le spese sarà proprio la verità stessa.

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