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caruso francesco c corrado bertozzi elitedi AMDuemila
Dibattimento concluso dopo due anni e mezzo. 29 gli imputati assolti e 5 le prescrizioni

La 'Ndrangheta in Emilia Romagna non è solo un'ipotesi ma un dato reale che non può essere più negato. Oggi si è concluso con 119 condanne, 29 assoluzioni e cinque prescrizioni il processo "Aemilia", il più grande processo contro l'organizzazione criminale calabrese nel Nord Italia, che si è svolto con il rito ordinario al Tribunale a Reggio Emilia davanti al collegio dei giudici presieduto da Francesco Maria Caruso (affiancato a latere da Cristina Beretti e Andrea Rat).
Una sentenza storica che arriva dopo due anni e mezzo di dibattimento e che aggiunge nuove condanne alle pene già definitive del rito abbreviato, inflitte pochi giorni fa dalla corte di Cassazione.
E' chiaro che l'impianto accusatorio, anche se vi sono state alcune riduzioni di pena, è stato pienamente confermato con la presenza certificata di una 'ndrina attiva da anni in Emilia e nel Mantovano con epicentro a Reggio Emilia, diretta emanazione della cosca Grande Aracri di Cutro, ma autonoma e indipendente da essa. Una cosca che ha goduto dell'appoggio di diversi soggetti esterni all’ambiente malavitoso e, grazie a tale sostegno, è riuscita a svolgere un ruolo non indifferente in ambienti politici, imprenditoriali ed economici.
Tra le condanne più importanti di oggi vi sono quelle di alcuni dei vertici della cosca come Gaetano Blasco (condannato a 21 anni nel rito ordinario ed a 17 anni e 6 mesi in quello in abbreviato per reati avvenuti negli ultimi tre anni legati all’operazione del gennaio 2015). E’ di 20 anni e sette mesi la pena inflitta a Michele Bolognino, ritenuto dalla Dda il braccio destro del boss Nicolino Grande Aracri in Emilia; lo stesso Bolognino nel rito abbreviato è stato condannato a 17 anni e 4 mesi.
La sentenza di condanna è stata emessa anche nei confronti dell'ex calciatore della Juventus e Campione del Mondo del 2006, Vincenzo Iaquinta (due anni, quando la Dda aveva chiesto sei anni, per reati di armi, ndr) ma per lui è caduta l'aggravante mafiosa. Il dato si apprende dalla lettura del dispositivo della sentenza. L'ex attaccante campione del Mondo era accusato di aver violato articoli della legge sul 'controllo delle armi', e di averlo fatto agevolando l'associazione 'ndranghetistica emiliana di cui fa parte anche il padre Giuseppe, condannato oggi a 19 anni. L'ex calciatore avrebbe consapevolmente ceduto o comunque lasciato nella disponibilità del padre armi legittimamente detenute (un revolver Smith & Wesson, una pistola calibro 3,57 Magnum, una pistola Kelt-tec calibro 7,65) e munizioni.
Giuseppe Iaquinta, però, aveva ricevuto un provvedimento dal prefetto di Reggio Emilia, nel 2012, che gli vietava di detenere armi e munizioni, a causa delle segnalazioni relative alla frequentazione con alcuni degli indagati. Il padre quindi rispondeva, tra l'altro, di aver illegalmente detenuto le armi
nella sua casa nel Reggiano, e il figlio di avergliele consapevolmente date o lasciate nella disponibilità. Entrambi se ne sono andati dall'aula del tribunale di Reggio Emilia urlando "vergogna, ridicoli" mentre è ancora in corso la lettura del dispositivo.
Pene pesanti sono giunte anche per la famiglia Bianchini: 9 anni e 10 mesi per l’imprenditore modenese Augusto, 4 anni per la moglie Bruna Braga e 3 anni per il figlio Alessandro. Antonio Valerio, il più importante pentito del processo, è stato invece condannato a 6 anni e due mesi. Assolto invece un altro collaboratore di giustizia, Salvatore Muto. 8 anni e un mese per l’ex poliziotto della stradale di Cremona Maurizio Cavedo. Per le parti civili, il Tribunale ha riconosciuto 500 mila euro di risarcimento al Comune di Brescello e 40 mila euro a Libera e disposto la confisca di numerosi beni appartenenti agli imputati.
"La 'Ndrangheta a Reggio Emilia c'era, non ne abbiamo mai dubitato in questi anni. Ma ora lo hanno confermato la Cassazione e la sentenza di oggi - ha dichiarato il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato commentando la sentenza del processo Aemilia di primo grado arrivata oggi, in seguito all'indagine svolta dai pm di Bologna Marco Mescolini, oggi procuratore capo di Reggio Emilia e Beatrice Ronchi- .Questo processo ci insegna tanto nella prospettiva della bonifica del territorioMa i protagonisti di questo processo non possono essere solo le forze dell'ordine e la magistratura, ma anche tutta la collettività". "Un processo e una condanna, però, non interrompono l'eventocriminoso - ha proseguito Amato - gli accertamenti giudiziari dovranno proseguire. Aemilia apre la pista ad altri processi, come è avvenuto per i delitti degli anni Novanta, grazie alle collaborazioni dei pentiti. Ma ci sono altri profili che meritano investigazioni, le indagini non finiscono". Il riferimento, in particolare, è alla quarantina di sospette false testimonianze per le quali il tribunale ha rinviato gli atti alla procura. "Non è una sorpresa - ha concluso Amato - dato che si parla di un procedimento su un reato che si contraddistingue anche per l'omertà dell'associazione mafiosa, questo porta a dubitare della genuinità di determinate dichiarazioni".

Foto © Corrado Bertozzi/Elite

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