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mormile umberto foto originaledi Francesca Mondin
Il fratello e l'avvocato Repici hanno depositato la richiesta alla Dda di Milano

Non solo 'Ndrangheta ma anche servizi segreti e mandanti esterni ci sarebbero dietro l'omicidio dell'educatore del carcere di Opera Umberto Mormil avvenuto a Carpiano l'11 aprile del 1990 e subito rivendicato con la sigla, che da qui in avanti accompagnerà il periodo stragista, “Falange Armata”. Questa la tesi sostenuta dal fratello Stefano Mormile e del suo difensore Fabio Repici che due giorni fa hanno chiesto la riapertura dell'indagine al procuratore aggiunto Alessandra Dolci della Dda di Milano per individuare altri responsabili.
Soggetti che potrebbero essere “appartenenti ad apparati dello Stato”, scrivono, dopo aver raccolto diverso materiale che ribalta in parte le due sentenze fino ad ora emesse sul caso.
L’ultima sentenza risale al 2011 e i mandanti fino ad oggi condannati sono i boss di 'ndrangheta Antonio e Domenico Papalia (oltre al boss di Lecco Franco Coco Trovato), radicati nell’hinterland milanese. Il killer invece che premette il grilletto è Antonio Schettini assieme a Antonino Cuzzola (che guidava la motocicletta), entrambi collaboratori di giustizia con due versioni però ben diverse.
A Schettini, infatti, si deve il tentativo di far passare Umberto Mormile come un corrotto che aveva accettato soldi dal boss Antonio Papalia in cambio di favori. Quando arrivò a parlare dell'omicidio dell'educatore carcerario, l'ex boss di 'Ndrangheta raccontò di aver agito su ordine del boss calabrese Antonio Papalia, che aveva giurato di vendicarsi contro l'educatore. Schettini raccontò che Mormile aveva intascato 30 milioni di lire di Papalia con la promessa di rilasciare pareri favorevoli che servivano a Domenico Papalia, fratello ergastolano di Antonio, per lavorare fuori dal carcere di Parma. Il collaboratore di giustizia spiegò però che Mormile fu inadempiente e per questo arrivò la sua condanna. Una volta aperto il processo ordinario però, in aula Schettini, clamorosamente, si avvalse della facoltà di non rispondere. Più tardi arrivò la versione di Cuzzola che confutò in molti punti la tesi dell'altro killer, sostendo che Mormile era stato ucciso perchè venuto a conoscenza dei colloqui segreti tra i Papalia e i servizi segreti. La differenza dei due racconti, secondo l'avvocato Fabio Repici è spiegata con il fatto che Schettini fu “protagonista di un depistaggio”.
La tesi che infanga il nome dell'educatore carcerario, secondo la quale sarebbe stato corrotto, fu sostenuta anche dal pentito Emilio Di Giovine, ma come si legge nella denuncia di Stefano Mormile“non combaciano nemmeno i periodi di servizio di Mormile al carcere di Parma con i benefici concessi a Domenico Papalia.
Il quadro delinato dai famigliari di Mormile ora sembra trovare conferma nelle parole di nuovi collaboratori di giustizia e in altre indagini. Nell'operazione Invisibili della Dda di Reggio ad esempio, “venivano spiegate le relazioni tra Domenico Papalia e appartenenti ai servizi segreti, come pure la capacità dei Papalia di ottenere trattamenti privilegiati dentro le carceri”. Quest'anno al processo 'Ndrangheta stragista, che vede imputato Rocco Santo Filippone e il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, sono stati ascoltati i pentiti Cuzzola e Vittorio Foschini che hanno confermato il legame tra i Papalia, i servizi segreti e l'omicidio dell'educatore carcerario.
Foschini, ha raccontato in aula che Mormile si era accorto delle uscite premio di Domenico Papalia “e faceva dei rapporti negativi al Tribunale di Sorveglianza” e per zittirlo “Antonio Schettini e Diego Rechichi sono andati ad offrirgli 30 milioni” per chiudere questa storia ma “lui si rifiutò” e aggiunse: “Non sono dei servizi”. Con quelle parole ha detto in aula il pentito “si è decretata ancora di più la morte. Perché sapeva dei servizi segreti”.
“Papalia - ha detto ancora Foschini - precisò che bisognava parlare con i servizi visto che non si doveva sospettare di loro (cioè dei Papalia). Ne seguì che Antonio Papalia, come ci disse, parlò con i servizi che, dando il nulla osta all’omicidio Mormile, si raccomandarono di rivendicarlo con una sigla terroristica che loro stessi indicarono”.
Affermazioni che trovano conferme anche nella deposizione di Antonino Cuzzola che al processo 'Ndrangheta stragista ha sottolineato: “Schettini dice un mare di balle, è stato manovrato”, Mormile doveva morire “perché aveva messo in giro la voce che Domenico Papalia a Parma faceva i colloqui con i servizi dentro il carcere”. Cuzzola ha detto anche che Antonio Papalia si fece indicare dai Servizi la sigla della Falange armata e il “numero riservato dell’Ansa di Bologna” cui far chiamare da una cabina telefonica, oltre ad aver accennato ad un “documento” che proverebbe questi contatti segreti in carcere tra mafiosi e servizi”. Ci sono infine le parole di Salvatore Anacondia, pentito che spiega come l'ordine di far fuori Mormile, a livello mafioso, arrivò dal “Consorzio, la mamma di tutti: ‘ndrangheta, pugliesi, siciliani, campani”. Ecco perchè serve una nuova indagine che colleghi le diverse fonti per cercare di restituire una volta per tutte la dignità a Umberto Mormile e la verità alla famiglia ed all'Italia, su uno dei tanti buchi neri della storia di questo Paese, il primo omicidio, di una lunga serie, rivendicato con la sigla Falange Armata.

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