Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di matteo teresi del bene tartagliadi AMDuemila
Il Pm commenta su Repubblica le motivazioni del processo trattativa

"Questa sentenza è la conferma importante della tesi investigativa su cui ho lavorato per anni, sin dai tempi in cui chiesi e ottenni a Caltanissetta 20 condanne all’ergastolo nel processo via d’Amelio-ter e sostenni che l’anomalia di quella strage consisteva in una sua improvvisa accelerazione rispetto agli originali piani di Cosa nostra".
Così il sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo, intervistato da La Repubblica, commenta le motivazioni della sentenza depositate ieri dalla Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto. Una sentenza che stabilisce chiaramente che "la trattativa ci fu" e che "fu iniziata da organi dello Stato che cercarono il contatto con i capi di Cosa nostra". "Giuridicamente - aggiunge il magistrato - è stata ritenuta criminale. E di fatto, come hanno letteralmente scritto i giudici, l’invito al dialogo pervenuto a Riina dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituì 'un elemento di novità che può avere determinato l’effetto di accelerare l’omicidio del dottor Borsellino con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato'".
Secondo Di Matteo si conferma che "l’interesse ad eliminare Borsellino non era soltanto mafioso. In quel momento con la mafia stava trattando un pezzo dello Stato". Dunque "per comprendere la gravità di quanto è accaduto bisogna usare un grandangolo ed esaminare nel suo complesso la stagione delle stragi".
Secondo Di Matteo la sentenza offre l'opportunità di "andare a fondo nel percorso di verità sulla stagione stragista" anche se in passato non sono mancati gli ostacoli. "Nel corso delle indagini - ha ricordato rispondendo alle domande di Liana Milella - abbiamo ordinato ai servizi e al Ros dei carabinieri di consegnarci tutta la documentazione su quella trattativa, ci hanno solo mostrato cartelle vuote. Non hanno voluto collaborare con quei magistrati che chiedevano di aprire gli archivi".
Riguardo alla posizione di Marcello Dell'Utri e il riferimento a Silvio Berlusconi per il pm "è molto grave che, come afferma la Corte, quando nel 1994 Berlusconi fu presidente del Consiglio, 'vi sono ragioni logico fattuali che conducono a non dubitare che Dell'Utri gli abbia effettivamente riferito quanto emergeva dai suoi rapporti con Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano. Quindi è stato ritenuto provato che Dell'Utri fece da intermediario anche tra Cosa nostra e il Berlusconi politico, dopo aver svolto per molti anni lo stesso ruolo con Berlusconi imprenditore".
Di Matteo, che ha ricordato la solitudine vissuta da lui ed i suoi colleghi (Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia, e ancor prima Antonio Ingroia finché è rimasto in magistratura) ha voluto sottolineare come "Adesso tutti devono fare la loro parte e non lasciare solo a pochi e sempre più soli magistrati il peso esclusivo della ricerca di verità scabrose. È giunto il momento in cui la politica e tutte le istituzioni governative si devono far carico di questa responsabilità".

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos