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di Aaron Pettinari
Il collaboratore di giustizia sentito al processo contro Messina Denaro

"Gli omicidi eccellenti, per quel che ne ho potuto capire io, non maturano mai esclusivamente nell'ambito mafioso ma maturano in un contesto più largo in modo che vi siano degli appoggi esterni all'ambiente mafioso e per avere, nello stesso tempo, una certa copertura, anche politica". A parlare è Antonino Giuffré, sentito nei giorni scorsi durante il processo che si celebra in Corte d’Assise (presieduta da Roberta Serio) a carico del superlatitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e via d'Amelio, in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle scorte.
Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto, Gabriele Paci, l'ex boss di Caccamo ha ribadito che per quanto riguarda gli omicidi deliberati alla fine del 1991, contro politici, magistrati e soggetti delle istituzioni "vi era un lavoro di isolamento nelle vittime disegnate e vi era un lavoro di delegittimazione. Quando si pensava che il discorso era maturo, ad esempio su Falcone e Borsellino, si agiva".
Alla domanda se la strategia stragista venisse da Riina o fosse avallata e sollecitata dall'esterno in particolare Giuffré ha dichiarato di non essere in grado di "fare i nomi ed i cognomi" e lo stesso rispetto a "chi era a favore e di chi era contrario" in quella che in altre occasioni aveva definito come una "tastata di polso". "Questi erano i discorsi che si facevano con Provenzano, in Commissione, con Riina - ha aggiunto - E gli esempi di Lima e Falcone sono esempi. In particolare Falcone anche a livello di opinione pubblica c'era una certo isolamento. Falcone era diventato un nemico per le sue inchieste e la sua bravura nel trovare le prove anche nei contatti ed i collegamenti tra uomini di Cosa nostra e altre personalità del mondo imprenditoriale e politico. Il culmine sarà dopo il maxi processo e questo discorso continuerà quando andrà al ministero a Roma. Su Lima invece il discorso era che prima avevano mangiato sul piatto, godendo di appoggi e favori, e poi ci avevano sputato. aveva sputato sul piatto in cui aveva mangiato". Dunque quella "resa dei conti" era "una vendetta covata anche negli anni precedenti".
Giuffré ha anche parlato dell'opinione differente tra Riina e Provenzano sul piano politico. "Già nel 1987 era chiaro che i rapporti tra la Dc e Cosa nostra erano mutati - ha detto il pentito - Ci sarà l'appoggio al Partito socialista e quello al partito Radicale, poi nel 1991 si è parlato di nuovi discorsi nell'ambito politico con la ricerca di nuovi appoggi, poi maturati attorno al 1992-1993. Quando Riina decise di appoggiare il Partito socialista Provenzano non era particolarmente favorevole. Mi disse che secondo lui 'Totuccio sbagliava e che era un errore uscire dalla Dc. Difetti riteneva affidabile l'onorevole D'Acquisto, dicendo che poteva essere d'aiuto alla causa di Cosa nostra".
Parlando di Messina Denaro il collaboratore ha confermato che questi era "una creatura di Riina e membro del gruppo stretto di cui facevano parte i Madonia ed i Graviano".

L'attentato all'Addaura
Proseguendo con l'esame il pm Paci ha anche chiesto al collaboratore quel che sapesse sull'attentato a Falcone nel giugno 1989. "Posso dire che è stato un progetto perché Falcone in quel periodo seguiva una traccia con la Svizzera con altro magistrato (Carla Del Ponte, ndr). Si doveva eliminare quando andava lì al mare. Questo dimostra che l'eliminazione di Falcone era nato in quella circostanza ma diciamo che vi erano un insieme di cose che ormai pesavano. I contatti con Giuliani in America, gli arresti in America ed in Italia nel campo della droga. C'era un complesso di situazioni. E quella era una strada importante perché cercava i collegamenti tra Cosa nostra ed il riciclaggio. Così si fermava e allo stesso tempo si cercava di mandare un messaggio ad altre persone che facevano quelle inchieste". Inoltre Giuffré ha ricordato che in merito all'inchiesta "mafia-appalti" vi erano delle "fughe di notizie dal Tribunale" (addirittura Angelo Siino gli diceva spesso "ho un mandato di cattura pronto, c'è un'inchiesta su di me"), e di non aver mai saputo di coinvolgimenti diretti si appartenenti a Servizi di informazione nelle fasi di organizzazione, ideazione ed esecuzione delle stragi. Ad una domanda diretta sulla sua conoscenza con Giovanni Aiello, anche noto come "Faccia da mostro", ha anche ribadito "di non aver mai saputo direttamente nulla" quando era in Cosa nostra.

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