Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di AMDuemila - Video
Sulla sentenza il magistrato però non si esprime prima di aver letto le motivazioni


“Con la sentenza in primo grado del processo trattativa Stato-mafia per la prima volta nella storia del nostro Paese vengono condannati nello stesso processo e con pene severissime rappresentanti delle istituzioni e boss di Cosa nostra”. A dirlo è Giorgio Bongiovanni, il direttore di ANTIMAFIADuemila, intervenuto alla conferenza in occasione del 26° anniversario della strage di Capaci. In particolare “E’ stato condannato uno dei fondatori del partito che ha governato in Italia per vent’anni Marcello Dell’Utri”. “Si può dire che rappresenta un passo avanti questa sentenza?” ha quindi chiesto Bongiovanni al dottor Guido Lo Forte, magistrato che ha curato il processo Andreotti nella fase delle indagini e del dibattimento di primo grado.
“Cosa è successo dopo che è stata riconosciuta la partecipazione del senatore Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio, all’associazione per delinquere Cosa nostra fino alla seconda metà degli anni ’80? Assolutamente nulla” ha risposto Guido Lo Forte. Non è accaduto nulla “perché quel fatto è stato totalmente negato e manipolato”.
In merito invece alla trattativa Stato-mafia in magistrato ha evidenziato che “il fatto storico della trattativa è stato riconosciuto e così definito dalle sentenza delle Corte d’Assise di Firenze e confermate dalla Cassazione, il termine presunta è fuori luogo perché ci sono sentenze che dicono che come fatto storico è avvenuto”. Mentre riguardo la sentenza del 20 aprile Lo Forte ha detto: “Il processo partiva da un fatto storico già rivelato e la sentenza emessa in primo grado  ha riconosciuto delle responsabilità, ora non esprimo alcun giudizio se non dopo aver letto le motivazioni - ha sottolineato il magistrato - ma mi sento di dire che sia i pm che i magistrati che hanno gestito il processo sono magistrati di grande professionalità e moralità”.





Agostino: "Vogliamo sapere chi ha manovrato i 'pupi' mafiosi"
Graziella Accetta: "Noi familiari pretendiamo la verità"
agostino accettadi AMDuemila

"Oggi non si può solo parlare di mafia. E' chiaro che non possiamo accollare tutto ai Riina o ai Provenzano. Bensì si deve parlare di altri personaggi ed appartenenti alle istituzioni. Si parla di Governo. Chi manovra i 'pupi'?". A fare la domanda è Vincenzo Agostino, padre di Nino Agostino, agente di Polizia alla questura di Palermo, che nel 1989 a Villagrazia di Carini fu ucciso con la moglie Ida Castelluccio, intervenendo alla conferenza “Falcone, la strage e le verità nascoste” che si sta svolgendo presso l'Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza in occasione del 26° anniversario della strage di Capaci. "Abbiamo preso i militari semplici e i generali dove sono? - ha continuato Agostino - Vogliamo sapere chi ha manovrato i 'pupi' mafiosi, vogliamo tirare fuori questi vermi che si nascono attraverso i 'non ricordo'". Agostino ha poi chiesto verità e giustizia per Nino ed Ida Agostino: "Dopo 25 anni ho riconosciuto una persona, Giovanni Aiello. Era un uomo dei servizi segreti, un uomo pagato dallo Stato. A quest'uomo è venuto un infarto. E' un infarto vero o un infarto di Stato? Certo è che ancora oggi non sappiamo la verità. E noi la vogliamo conoscere. Vogliamo sapere chi sono gli assassini e chi ha commesso e voluto queste stragi". Del medesimo tenore l'appello di Graziella Accetta, mamma del piccolo Claudio Domino: "Noi familiari pretendiamo la verità. Ci sono pentiti che parlano di Aiello come responsabile della morte di mio figlio e c'è questa donna, questa Antonella, di cui non si sa nulla. Noi vogliamo sapere perché".



Limiti: “Donna in commando stragi? Spezza continuità mafiosa”
limiti 2di AMDuemila
“Testimonianze immediate e precise parlano di una donna nel commando stragista di Firenze, Roma e Milano” e questo “spezza la continuità mafiosa della strage”. L’ha ricordato Stefania Limiti, giornalista e scrittrice, alla conferenza “Falcone, la strage e le verità nascoste” presso l'Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza in occasione del 26° anniversario della strage di Capaci.
“Il punto - ha proseguito la Limiti - è che per l’indagine si scelse la pista mafiosa, e tutto il patrimonio investigativo accumulato intorno a questo elemento così interessante e particolare è stato improvvisamente disperso”. Secondo la scrittrice questo si verificò anche “nel ’69 dopo la strage di Piazza Fontana” quando “il commissario di polizia, uomo fedele allo Stato, aveva detto che la via da seguire era quella ordinovista” mentre all’epoca “si scelse un’altra via”.
“È difficile - ha considerato la Limiti - smontare una strage da un punto di vista investigativo, perché viene organizzata con un apparato disinformativo e di depistaggio” ma, ha concluso, se si ripercorre “la storia della strategia della tensione, che parte dal ‘69 e arriva al '92-'93, ogni volta la pista scelta porta ad uno scenario che ci fornisce sempre quella mezza verità”.



Lo Forte: suggeritori dietro le stragi, non fu solo mafia
di AMDuemila

“Chi glielo doveva dire a Matteo Messina Denaro e ai Graviano di fare l’attentato in via dei Georgofili? Di scegliere le chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio a Velabro a Roma?”, si è domandato l’ex procuratore generale di Messina Guido Lo Forte, intervenendo all'evento organizzato dall'Associazione culturale Falcone e Borsellino in collaborazione con la Rete Universitaria Mediterranea e ContrariaMente“Falcone, la strage e le verità nascoste”.
Secondo Lo Forte, infatti, dietro le stragi “ci sono dei suggeritori” e ciò vuol dire “che non era solo mafia, ma qualcosa di calcolato per influire sugli equilibri generali del Paese”. L’ex procuratore ha quindi ricordato come “più sentenze attribuiscono un’enorme importanza a un evento mai verificato” cioè “la mancata strage allo stadio Olimpico nell’ottobre '93”. “La vocazione stagista di Cosa nostra cessa improvvisamente. Ma cosa è successo nel frattempo? - si è chiesto Lo Forte - Questa è una domanda a cui la classe dirigente non mai dato una risposta”.



Lo Forte: ''Un Paese che non riesce a fare chiarezza su nodi tragici non ha futuro''
lo forte 1di AMDuemila

"La classe dirigente di questo Paese ha deciso di non fare i conti con la sua Storia e ha deciso di non fare chiarezza. Un Paese che non riesce a fare chiarezza su certi nodi tragici e fondamentali con la sua storia è un Paese che non ha futuro".
Lo ha detto Guido Lo Forte, ex procuratore Capo di Messina, oggi in pensione, all’evento “Falcone, la strage e le verità nascoste” organizzato dall'Associazione culturale Falcone e Borsellino in collaborazione con la Rete Universitaria Mediterranea e ContrariaMente in occasione del 26° anniversario della strage di Capaci.
Lo Forte, che nel corso della sua carriera ha curato a Palermo il processo Andreotti nella fase delle indagini e del dibattimento di primo grado, ha ricordato che "nei processi in questi anni sono anche emerse delle prove che tuttavia sono state nascoste, negate, ridotte, rimosse o addirittura manipolate per l'opinione pubblica". "Spesso - ha aggiunto - si rappresenta uno Stato che si mette dalla parte dei magistrati del pool antimafia e che li ha sostenuti fino in fondo ma non è sempre stato così. Non si ricorda una serie di denigrazioni ed affermazioni violente, delle vere e proprie campagne di stampa contro Falcone ed i magistrati componenti del pool proprio per quel maxi processo. E quegli organi di stampa non erano altro che portavoce di una parte importante e significativa della classe dirigente del Paese. Queste cose nessuno le ricorda".
L'ex magistrato ha individuato come anno chiave in particolare il 1987: "In quell'anno iniziò a collaborare con la giustizia Antonino Calderone. Questi parlava non solo della mafia militare ma anche di altri argomenti come i Cavalieri del lavoro, del Golpe Borghese o dei cugini Salvo. La classe dirigente di allora non poteva tollerare che emergessero certi intrecci e quindi ci fu un attacco forte. E questo accade ogni qual volta si passa dalle indagini su mafia militare a quella di altri settori. Così scatta il negazionismo, il riduzionismo, le manipolazioni. E chi si occupava di queste cose veniva accusato di ricostruzioni fantascientifiche e fantapolitiche, inseguendo teoremi".



Lo Forte: "Falcone promotore di iniziative che preoccupavano Cosa nostra e non solo"
di AMDuemila
"Falcone divenne promotore di una serie di iniziative che preoccupavano tanto Cosa nostra quanto quello che c'era attorno e sopra di essa". Lo ha detto con fermezza l'ex procuratore capo di Messina, Guido Lo Forte, intervenendo all'evento organizzato dall'Associazione culturale Falcone e Borsellino in collaborazione con la Rete Universitaria Mediterranea e ContrariaMente, “Falcone, la strage e le verità nascoste”."Si era creata una miscela esplosiva per cui Falcone andava fermato e che non può certamente essere stata innescata solo dal fatto che con il pool aveva processato la mafia militare - ha proseguito - Mettendo insieme i pezzi, leggendo le pagine processuali si comprende perché Falcone attribuì grande importanza a Gladio che poi spiegava quel medesimo sistema che veniva intravisto con le indagini sul Golpe Borghese o il delitto Mattarella.  
Il Golpe era una cosa molto seria che stava andando in porto e che vedeva Cosa nostra interpellata da elementi dell'eversione neo fascista e da appartenenti della massoneria. Non andò in porto l'accordo a livello globale nel momento in cui i golpisti volevano conoscere l'identità dei soggetti mafiosi che avrebbero partecipato. Ma una parte di Cosa nostra partecipa. E questo rapporto tra potentati, tra servizi, eversione e mafia emerge anche nelle indagini su omicidio Mattarella, dove ancora oggi non sono stati individuati gli esecutori materiali".



Stefania Limiti: ''Sui poteri occulti è stato fatto poco''
limiti 1di AMDuemila

“La sentenza di Caltanissetta dice, in modo pallido, che ci sono zone irrisolte e queste vengono collocate in uno spazio extra giuridico in cui rimangono immobili e invece il punto è che ci sono aspetti che non abbiamo potuto sciogliere sul piano giudiziario che impediscono di dare una giusta lettura sulla strage di Capaci e di capire il significato politico della strage”. A dirlo è la scrittrice Stefania Limiti alla conferenza “Falcone, la strage e le verità nascoste” che si sta svolgendo presso l'Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza in occasione del 26° anniversario della strage di Capaci.
Zone irrisolte e aspetti “liquidati facilmente” che secondo la scrittrice sono invece fondamentali per provare a capire cosa successe. “Le tracce di pentrite sono importanti nonostante la sentenza le liquida dicendo che furono riscontrate solo nella perizia del FBI - ha spiegato Stefania Limiti - Sono importanti perché ci parlano di qualcosa che non appartiene a Cosa nostra”. Così come “le perizie genetiche sui reperti trovate nella scena del crimine che  ci dicono che quegli oggetti non appartengono a tutte le figure note della scena del crimine di quel giorno”. E ancora: “Pensiamo a quel famoso furgone individuato da un testimone lucido di cui però nessun mai dei pentiti di cosa nostra ha detto qualcosa”. “Cosa dobbiamo pensare?” si è chiesta quindi la giornalista e scrittrice.
“Io credo che quel giorno la democrazia è stata deviata è successo qualcosa che è ancora una ferita aperta - ha detto Stefania Limiti -. La verità giudiziaria porta a stabilire la responsabilità penale ma qui parliamo di qualcosa che va al di là - ha aggiunto - la verità nasce anche da un processo collettivo di discussione”. La scrittrice ha quindi invitato a riflettere ed essere consapevoli che riguardo ai poteri occulti in Italia “è stato fatto poco nonostante sia un tema è terribilmente serio”. In merito la scrittrice ha portato l’esempio del tema talpe nella strage di Capaci: “La sentenza dice: ’se fosse stata una strage di Stato non ci sarebbe stato bisogno di talpe perché stato sapeva a che ora Falcone arrivava a Roma’”. Una considerazione che secondo Stefania Limiti“non si può accettare perché lo Stato non è la rappresentazione monolitica e semplice che ci vogliono dare”.
Secondo la scrittrice siamo di fronte ad “un piano di liquidazione di informazioni importanti che determinano la complessità di questi fatti”.



Scarpinato: ''Su Falcone e Borsellino no a storie dimezzate o falsificate''
scarpinatodi AMDuemila

"Se vogliamo rendere onore e memoria a Giovanni Falconesi deve trovare la forza di non raccontare ai nostri figli una storia dimezzata e falsificata. Nelle commemorazioni ufficiali, raccontando il lavoro antimafia di Falcone e Borsellino si parla del maxi processo e poi si arriva direttamente alle stragi. Ma dopo cosa è accaduto?". Queste le parole del Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato intervenuto presso l’Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza al convegno in memoria a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. "Il nostro è un Paese di mancate verità - ha proseguito Scarpinato - Non siamo riusciti a sapere la verità su quanto avvenne a Portella della Ginestra nel 1947, non siamo riusciti a sapere la verità su stragi come quella di Bologna, Brescia, stragi che hanno insanguinato il Paese. La sentenza di Bologna parla di una condanna per chi ha depistato quelle indagini e si tratta di esponenti di servizi segreti e questa storia dura fino ai giorni nostri".
Scarpinato ha poi analizzato quelli che sono i "pezzi mancanti" di questi anni: "Ci sono prove distrutte ed altre che vengono svelate perché chi sa non parla, perché teme di essere ucciso. Abbiamo avuto un processo come quello sulla strage di via d'Amelio che è la summa di tutta una serie di anomalie. Ci sono stati documenti scomparsi come la famosa agenda rossa, poi sottratta nell'immediatezza dell'esplosione. A distanza di anni non sappiamo chi è quel soggetto esterno a Cosa nostra di cui ha parlato Spatuzza che aiutò i mafiosi ad imbottire l'auto di esplosivo. Non sappiamo chi sono gli 'infiltrati della polizia' di cui parla la moglie di Mariosanto Di Matteoin quel colloqui in cui ricorda al marito che hanno anche altri figli e di non parlare di certi fatti". Tra gli altri episodi ricordati anche la vicenda dell'infiltrato Luigi Ilardo, ucciso pochi giorni prima che iniziasse ufficialmente la propria collaborazione con la giustizia. "Grazie al suo contributo è stato individuato Pietro Rampulla,sono stati arrestati diversi boss mafiosi, e aveva già annunciato che avrebbe parlato della strategia politica di Cosa nostra - ha ricordato Scarpinato - E cosa dire di Antonino Gioé,suicidatosi in carcere, e quel riferimento ai servizi nel bigliettino che aveva lasciato". "C'è una storia di questo Paese che è destinata a restare segreta perché le fonti di prova sono state sistematicamente distrutte - ha concluso Scarpinato - E' importante però non rimuovere certi pezzi di storia. Questo Paese ha sempre avuto difficoltà a fare i conti con la propria storia e lo faceva già negli anni Cinquanta quando si doveva raccontare ai giovani la storia del Fascismo. E lo stesso vale per questo pezzo di storia. Dopo le stragi è accaduto che con la caduta di un sistema della prima Repubblica finalmente si celebrano processi importanti portando in giudizio Presidenti del consiglio, vertici dei servizi di sicurezza. Ovvero quel mondo che fu causa della via crucis di Falcone e Borsellino. Non si può dimenticare che non fu Riina a portare alla smobilitazione del pool antimafia o a portare Falcone a lasciare Palermo. A Falcone, è scritto nei suoi diari, fu impedito di indagare sull'omicidio Mattarella, sui rapporti di Gladio ed i servizi, le implicazioni della P2 e la mafia. Di questo si deve parlare nelle commemorazioni ufficiali".



Morvillo: ''Non sono emerse tutte le verità''
morvillo relatoridi AMDuemila

“Non sono emerse tutte le verità per tutto ciò che abbiamo appreso in questi anni c’è una parte di verità che non fa parte dei processi”. A dirlo è Alfredo Morvillo, procuratore di Trapani e fratello di Francesca Morvillo, intervenendo all'evento organizzato dall'Associazione culturale Falcone e Borsellino in collaborazione con la Rete Universitaria Mediterranea e ContrariaMente “Falcone, la strage e le verità nascoste”. Una parte di verità “che fa rifermento anche all’attentato all’Addaura”, ha continuato Morvillo, un fatto “di matrici mafiose ma che oggettivamente non può che essere stato favorito necessariamente da uomini istituzioni perché il fatto che Falcone avrebbe fatto un bagno lì è stato rivelato in occasione di cena conviviale, quando non lo sapeva nessuno”. E di fatti e situazioni particolari e poco chiari “la nostra terra ci presente altre cose - ha aggiunto il procuratore di Trapani - dalla mancata perquisizione del covo di Riina a certe mancate catture di esponenti di cosa nostra”.
“Non è semplice accontentarsi di parti di verità che riguardano un segmento - ha concluso Morvillo - e la cosa più triste per tutti noi è che c’è tanta gente che ci ha rimesso la vita, abbiamo avuto molti uomini delle istituzioni che hanno sacrificato la vita per dinamiche i cui motivi reali ad ampio respiro possiamo affermare che non sono emerse del tutto”.

Foto © Stefano Centofante