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A finire in manette anche due cognati del superlatitante
di Aaron Pettinari - Video e Foto
Si fa sempre più stretto il cerchio attorno al boss latitante Matteo Messina Denaro. Questa notte un’operazione congiunta di Carabinieri, Polizia e Dia, denominata “Anno Zero”, ha portato al fermo di 21 persone su disposizione dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Il ventiduesimo provvedimento riguarda proprio la primula rossa, ricercata dal 1993, e al momento resta ineseguito. Le accuse nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni. Tutti reati aggravati dalle modalità mafiose.
Ciò che è emerso dalle indagini, coordinate dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido (assieme a loro un nuovo pool di pm composto da Claudio Camilleri, Gianluca De Leo, Francesca Dessì, Geri Ferrara, Carlo Marzella e Alessia Sinatra) hanno dimostrato come la rete di protezione del boss sia fortemente condizionata dai legami di sangue. E’ tra i parenti, infatti, che Messina Denaro sceglie gli uomini chiave a cui affidare la gestione degli affari e delle attività illecite. In questi anni il dato è emerso con evidenza tanto che al vertice delle cosche hanno avuto un ruolo chiave il cognato del capomafia Filippo Guttadauro, poi il fratello Salvatore Messina Denaro, quindi il cognato Vincenzo Panicola e il cugino Giovanni Filardo. E ancora il cugino acquisito Lorenzo Cimarosa, poi pentitosi, la sorella Patrizia Messina Denaro, i nipoti Francesco Guttadauro e Luca Bellomo. Oggi si conferma la scelta "familistica" del boss ed emerge il ruolo di protagonista in tutte le dinamiche mafiose sul territorio di due cognati del latitante che sono tra i fermati. Tra gli arrestati odierni vi sono i cognati del capomafia, Gaspare Como e Saro Allegra, i mariti di Bice e Giovanna Messina Denaro.
Allegra avrebbe fatto da tramite con un imprenditore del settore delle scommesse on line arrestato con l’accusa di avere finanziato la cosca di Castelvetrano.
L’inchiesta ha permesso di individuare la nuova rete utilizzata dal capo di Cosa nostra per lo smistamento dei 'pizzini' con i quali dava le disposizioni agli affiliati.



Rischio di una nuova guerra
Che all’interno di Cosa nostra, dopo la morte di Riina, vi sia un certo fermento, viene segnalato da tempo dagli inquirenti. Le indagini hanno fatto emergere come le fibrillazioni riguardino anche i clan trapanesi. E proprio il rischio dello scoppio di una nuova guerra di mafia ha indotto la Dda di Palermo a disporre il fermo odierno.
Lo scorso 6 luglio è stato ucciso Giuseppe Marcianò, genero del boss di Mazara del Vallo, Pino Burzotta ed esponente della "famiglia" di Campobello di Mazara. Il contesto in cui è maturato il delitto ricostruito dagli inquirenti ha svelato una guerra in corso tra la famiglia di Campobello di Mazara e quella di Castelvetrano. "A partire dal 2015, - si legge nel provvedimento della Dda - si registra un lento progetto di espansione territoriale da parte della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, che ha riguardato anche il territorio di Castelvetrano, divenuto 'vulnerabile' a causa, per un verso, della mancanza su quel territorio di soggetti mafiosi di rango in libertà, e, per altro, dalla scelta di Messina Denaro che, nonostante gli arresti dei suoi uomini di fiducia e dei suoi più stretti familiari, non ha autorizzato omicidi e azioni violente, come invece auspicato da buona parte del popolo mafioso di quei territori". Proprio Marcianò si era molto lamentato del comportamento del latitante. "Da tale pericolosissimo contesto (certamente idoneo, come la tragica storia di Cosa Nostra insegna, a scatenare reazioni cruente contrapposte, e quindi dare il via ad una lunga scia di sangue) - scrivono i pm - in uno col pericolo di fuga manifestato da alcuni indagati, si è imposta la necessità dell'adozione del fermo".

Messina Denaro come padre Pio
Nelle intercettazioni registrate si conferma anche una sorta di venerazione da parte degli affiliati nei confronti del superlatitante, tanto da paragonare i Messina Denaro a Padre Pio. "Vedi, una statua gli devono fare... una statua... una statua allo zio Ciccio che vale. Padre Pio ci devono mettere allo zio Ciccio e a quello accanto... Quelli sono i Santi" diceva uno dei mafiosi fermati. A marzo scorso parlavano, non sapendo di essere intercettati, di Matteo Messina Denaro e del padre Francesco, capomafia di Castelvetrano morto nel 1998. Don Ciccio e il figlio vengono accostati dai due interlocutori, uno dei quali cognato del boss ricercato, ai santi e a padre Pio, e vengono idolatratati: "Io ho le mie vedute... che c… vuoi?", prosegue uno dei due. "Significa essere colpevole? Arrestami. Che spacchiu (cavolo ndr) hai? Che fa? non posso dire quello che penso?". "E' potuto essere stragista... cosa minchia sia a me… le cose giuste", spiega uno dei due che fa un paragone tra i boss alla classe politica.
"Voialtri tanto mangiate. State facendo diventare un paese... l'Italia è uno stivale pieno di merda... uno stivale pieno di merda... le persone sono scontente… questo voi fate… e… glielo posso dire? Arrestami... che minchia vuoi?".


L’elogio a Riina per il “bimbo sciolto nell’acido”
Ma c’è anche dell’altro nelle registrazioni captate dagli inquirenti. Particolarmente macabro ed inquietante il riferimento al piccolo Giuseppe Di Matteo, il bambino figlio del pentito Mario Santo, sciolto nell’acido dopo un sequestro di 779 giorni per indurre il padre a ritrattare le proprie dichiarazioni. “Allora ha sciolto a quello nell'acido, non ha fatto bene? Ha fatto bene" dice uno dei mafiosi il 19 novembre del 2017. "Se la stirpe è quella... suo padre perché ha cantato?", conviene l'interlocutore. Il mafioso rincara la dose, esaltando la decisione di Riina di eliminare il bambino di soli 13 anni come giusta ritorsione rispetto al pentimento del padre, colpevole di avere danneggiato Cosa nostra. "Ha rovinato mezza Palermo quello... allora perfetto". "Il bambino è giusto che non si tocca - aggiunge l'altro - però aspetta un minuto ... perché se no a due giorni lo poteva sciogliere ... settecento giorni sono due anni ... tu perché non ritrattavi tutte cose? se tenevi a tuo figlio, allora sei tu che non ci tenevi". "Giusto! perfetto!...e allora ... fuori dai coglioni - gli fa eco l'altro - dice: 'io sono in una zona segreta, sono protetto, non mi possono fare niente'...si a te... però ricordati coglione che una persona la puoi ammazzare una volta, ma la puoi far soffrire un mare di volte".

Messina Denaro la Calabria e la Sicilia
In un'altra intercettazione emergfe che il boss trapanese si è nascosto anche in Calabria. "Era in Calabria ed è tornato" dice uno degli arrestati nel blitz. E chi parla aggiunge che il padrino di Castelvetrano avrebbe incontrato "cristiani" (persone ndr). Durante la conversazione i due commentano il contenuto di un pizzino in cui ci sarebbero state scritte le decisioni del latitante su alcuni temi. Il biglietto non è stato trovato dagli inquirenti che intercettavano il dialogo: Messina Denaro ha ordinato ai suoi di distruggere sempre i pizzini. Dall'inchiesta emerge che il boss continua a comunicare così con i suoi, ma nessun messaggio è stato recuperato. "Nel bigliettino è scritto lo vedi? Questo scrive cosa ha deciso quello ha detto". Dalla conversazione viene fuori che la madre di Messina Denaro si lamenta dell'assenza del figlio. "La madre di Matteo ... che lui non scrive si lamenta, lui deve scrivere .. vorrei vedere a te. Non gli interessa niente di nessuno". Nella ricerca del boss di Castelvetrano sono impegnati i poliziotti del Servizio centrale operativo della polizia, le squadre mobili di Palermo e Trapani, i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani, gli uomini della Direzione investigativa antimafia di Trapani. Un dato importante che emerge dall’inchiesta è la presenza in Sicilia del latitante. Vi è un'intercettazione che coinvolgeva i boss di Marsala in cui si dice: "Iddu si trova in zona”. Ed è da qui che si riparte nella caccia al boss.

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