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mormile umberto foto originaledi Aaron Pettinari
Un pentito parla di un patto tra cosche e servizi
“Riaprite le indagini sulla morte di Umberto Mormile. E’ questa la richiesta forte che i familiari dell’educatore del carcere di Opera, ucciso da sei colpi di pistola l’11 aprile 1990, fanno per svelare i volti dei mandanti occulti del delitto. Nelle prossime settimane, tramite il proprio legale Fabio Repici, presenteranno un’istanza alla Procura di Milano, ed intanto hanno espresso i propri dubbi partecipando all’evento in memoria che è stato organizzato nell’ambito del Festival dei beni confiscati.
Se c’è qualcosa che è evidente ventotto anni dopo dall’omicidio è che, nonostante le condanne (in via definitiva per l'omicidio Mormile sono stati condannati come mandanti Domenico e Antonio Papalia e come esecutori materiali Antonio Schettini e Nino Cuzzola, entrambi rei confessi, ndr), ci sono ancora diversi aspetti da chiarire per giungere ad una verità completa in particolare per far luce sul contesto in cui maturò il delitto ed i motivi che si nascondono dietro allo stesso.
Dopo l’uccisione di mio fratello - ha ricordato Stefano Mormile - decine di agenti della penitenziaria ma anche detenuti eccellenti vennero trasferiti misteriosamente. Ad Opera molti sapevano di quel delitto, ma nessuno mai volle indagare davvero i mandanti”.
I nuovi elementi passano dalle dichiarazioni del pentito Vittorio Foschini, killer legato alle cosche calabresi, che alcuni mesi fa ha dichiarato al procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo ed al sostituto procuratore nazionale antimafia Franco Curcio che l’educatore non venne ucciso perché rifiutò 30 milioni di lire per redigere una relazione favorevole in vista di un permesso di libera uscita al boss ergastolano Domenico Papalia (la “versione” messa nero su bianco nelle sentenze e raccontata da Schettini, ndr),  ma perché l’educatore (“che non era un corrotto”) aveva scoperto che Papalia aveva degli incontri con agenti dei servizi segreti in carcere senza l’autorizzazione dei magistrati. Non solo. Foschini sostiene anche che i Servizi, informati dallo stesso Papalia, avrebbero dato una sorta di “sta bene” all’omicidio Mormile, raccomandandosi di rivendicarlo con una ben precisa sigla terroristica: quella della “Falange Armata”. Questa sigla, emersa per la prima volta proprio con il delitto Mormile, negli anni successivi si è fatta notare per aver accompagnato stragi mafiose, rivendicazioni politiche, ma anche delitti come quelli della Uno Bianca.
“Occorre indagare sul sistema carcerario, ma non solo - ha ribadito Fabio Repici - Se è vero che Domenico Papalia ha goduto a Parma prima e a Opera dopo, di una detenzione ‘di favore’, con la concezione di permessi grazia alla sua vicinanza con il Sisde, allora occorre ricordare che i permessi vengono concessi da magistrati, non solo in base al parere di un educatore o del direttore del penitenziario”. Ma sono diversi gli elementi che le indagini dell’epoca e le successive non hanno mai profondamente chiarito.
Basti pensare, ad esempio, che pochi giorni dopo l'agguato dell'11aprile 1990 Armidia Miserere, direttrice al carcere di Lodi e compagna di Mormile (trovata morta il 19 aprile del 2003 con un colpo di pistola alla testa), scrisse ai pm che curavano le indagini sull'omicidio che “L’ipotesi più logica è che Umberto sia stato ucciso perché ostacolo a un grande progetto”. A cosa si riferiva? Riguardava i rapporti di Papalia con i servizi? O l'educatore penitenziario aveva scoperto dell'altro ancora?
“Le indagini sul delitto - ha proseguito Repici - avviate dalla Procura di Lodi, non riuscirono mai a penetrare la cappa di silenzio sollevato dall’amministrazione penitenziaria e da alcuni apparati istituzionali. Tant’è che al magistrato inquirente venne perfino negato l’accesso con un blitz nel carcere di Opera”.
Ma non si è neanche mai capito per quale motivo vennero “depotenziate” le rivelazioni di Cuzzola, che non solo rivelò di aver saputo la reale motivazione dell'assassinio che riguardava la scoperta dei contatti di Papalia in carcere con i Servizi segreti, ma parlò anche del fatto che Antonio Papalia (fratello di Domenico) si adoperò per rivendicare il delitto proprio con la sigla della Falange armata. Adesso, però, c’è un ulteriore riscontro con le dichiarazioni di Foschini. E magari, anche se in ritardo, si potrebbe scoprire una nuova verità.

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