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Durissimo sfogo del fratello di Graziella Campagna
di Lorenzo Baldo
E’ una vergogna! Non ci sono parole... io pensavo che Graziella fosse vittima innocente di mafia, e invece mi rendo conto che è una vittima innocente della giustizia!”. C’è tanta rabbia, dolore, frustrazione, ma anche una incrollabile determinazione a continuare a lottare contro “quelle regole che vanno cambiate”. Al telefono la voce di Pietro Campagna, 54 anni, carabiniere del Nucleo radiomobile di Messina, vibra forte, è carica di fermezza. Il suo primo commento dopo l’arresto di uno dei killer di sua sorella, Giovanni Sutera, che incredibilmente si trovava libero, è un appello alla Procura generale di Firenze. “Come fratello della vittima chiedo che venga immediatamente revocato quel decreto di liberazione nei confronti di Sutera. Sicuramente il magistrato in questione si è attenuto a delle leggi. Che devono essere cambiate! Un magistrato che ha un senso di giustizia non può concedere questi benefici a dei criminali che non hanno mai collaborato con la giustizia!”. Pietro Campagna non intende rimanere in silenzio, sua sorella di 17 anni è stata assassinata brutalmente dalla mafia trentatré anni fa. “Sono profondamente indignato! Io ho prestato un giuramento all’Arma dei Carabinieri e ho deciso di dare la vita per lo Stato italiano, per la Bandiera. E altrettanto lo hanno fatto i magistrati. Non è possibile che un condannato a due ergastoli si faccia appena otto anni di galera, è una vergogna!”. Subito dopo c’è lo spazio per un ringraziamento sentito ai suoi colleghi di Firenze unito ad un ricordo di quel maledetto 1985. “Ringrazio i Carabinieri di Firenze. E grazie anche ai Carabinieri che hanno contribuito all’arresto degli assassini, l’allora capitano del Ros Riccardo Piermarini che ha fatto un lavoro certosino: questo ci fa capire che lo Stato c’è! Ma si devono eliminare le mele marce. Bisogna fare piazza pulita degli uomini di Stato infedeli! Mi riferisco a certi soggetti di allora: non solo hanno depistato le indagini sull’omicidio di mia sorella, ma hanno letteralmente consentito di farla uccidere!”. Tornano in mente alcuni stralci della sentenza di primo grado per l’omicidio di Graziella Campagna (2004) nei quali veniva evidenziata la grande importanza del lavoro del capitano Piermarini, comandante della compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) dal ‘95 al ‘99, che aveva “esplicitamente  stigmatizzato i ritardi nella localizzazione dell'abitazione occupata da Gerlando Alberti jr, nella effettuazione della perquisizione e negli accertamenti successivi al mancato controllo al posto di blocco del giorno dell'Immacolata”. Evidenti omissioni ad opera di uomini di Stato. “L’otto dicembre del 1985 Graziella era con me, al mio fianco - racconta ancora -, ed era felicissima. Quella sera a un posto di blocco furono fermati i due latitanti, Giovanni Sutera e Gerlando Alberti jr, e proprio quest’ultimo fece vedere ai Carabinieri la patente falsificata”. Nella sentenza di primo grado si legge che “l’esito negativo del controllo avrebbe indotto i militari a desistere dall'inseguimento (i due latitanti erano letteralmente fuggiti via in macchina dopo che stava sopraggiungendo un’altra vettura, ndr), sebbene fossero rimaste in loro possesso la patente di guida esibita dal conducente e la carta di circolazione dell'autovettura”. Il racconto di Pietro riavvolge quindi il nastro di un film sbiadito. “Il giorno dopo (il nove dicembre 1985, ndr) io e mia sorella siamo rientrati al lavoro. Una volta tornata a casa Graziella ha detto a mia madre: ‘sai mamma, l’ingegner Cannata non è quello… ho trovato un documento che mi è stato strappato dalle mani’. Quel documento che mia sorella aveva trovato comprometteva sicuramente chi copriva la latitanza. Da quel momento il mio pensiero è stato sempre lo stesso: dall’otto al dodici dicembre, quando mia sorella era ancora viva, potevano pubblicare senza problemi la foto di quel latitante che si trovava in quelle zone, invece quella patente è ‘emersa’ solamente un mese dopo il suo omicidio. Ma se invece sui giornali fosse uscita quella foto Graziella mi avrebbe sicuramente detto quali erano i luoghi dove portava la biancheria che aveva lavato di quei latitanti. Ecco perché ritengo che in questo modo sia stato consentito di far ammazzare mia sorella!”. Parole forti. Che non ammettono giustificazioni.

campagna pietro lapide

Il fratello di Graziella, Pietro Campagna


Esiste una vera e propria ‘enciclopedia’ che riguarda i depistaggi delle indagini relative all’omicidio di Graziella - sottolinea con forza -. Per non parlare di un processo che è stato insabbiato... Era evidente che mia sorella fosse diventata una scomoda testimone che non si doveva incontrare con il fratello carabiniere... Negli anni a venire abbiamo fatto scoperte inquietanti. Basti pensare al falso colonnello dei Carabinieri che mi è stato presentato qualche giorno dopo l’omicidio di Graziella. Quest’uomo aveva contatti con la magistratura, con gli investigatori e con gli assassini di mia sorella: questa era la realtà di Messina...”. Di questo pseudo carabiniere vi è addirittura traccia in un’interrogazione parlamentare del 2000.
Ma le mele marce di questo Stato che fine hanno fatto? - si chiede a gran voce - Hanno pagato per l’omicidio di mia sorella? No”. L’amarezza è tanta e continua a farsi largo tra i ricordi di questo indomito carabiniere. “Devo ringraziare gli avvocati Fabio Repici e Mariella Cicero - sottolinea con convinzione - che hanno sostenuto con forza il processo riuscendo ad ottenere giustizia. In questi anni ho assistito alle scarcerazioni di Gerlando Alberti jr (nipote di “’u paccarè”, così chiamato Gerlando Alberti senior, ritenuto il braccio destro del boss Pippo Calò, ndr), ed è stato devastante. Una volta è accaduto per decorrenza dei termini di custodia cautelare. I giudici di primo grado non avevano depositato entro i termini le motivazioni della sentenza: doveva essere depositata entro novanta giorni e invece di mesi ne passarono diciannove. In questo modo i due assassini hanno presenziato al processo di appello accanto a noi... Nonostante questo sono stati condannati. Poi però Alberti jr è stato nuovamente scarcerato perché ritenuto incompatibile con il regime carcerario; successivamente sottoposto a visita medica è stato riscontrato che i certificati medici erano falsi...”. “Tutt’attorno all’omicidio di Graziella abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a vere e proprie vergogne. Che offendono non solo la memoria di mia sorella e la mia famiglia, ma l’Italia intera: offendono la giustizia!”. Resta appesa ad un filo la domanda se si possa avere ancora speranza di avere giustizia nel nostro Paese. “Fino a quando ci saranno delle leggi che consentono questo obbrobrio non c’è speranza - risponde tutto d’un fiato -. Ma dobbiamo ugualmente continuare a lottare. Chi mi dà la forza per andare avanti?! Perchè credo in una giustizia terrena. Che ci deve essere! Quella divina è sicuro che c’è: lì non ci sono sconti ed è perfetta... Quella terrena invece non lo è, e allora dobbiamo fare in modo che lo diventi. Ognuno di noi ha questa responsabilità. Io non dimentico mai i miei colleghi uccisi per amore della giustizia: il generale dalla Chiesa, il capitano Basile, il capitano D’Aleo e tanti altri, così come tanti magistrati, avvocati ed altri ancora. Ormai vivo solo per questo”. “Del resto - conclude con una ferma convinzione - io sono morto il 12 dicembre 1985, sono un cadavere all’impiedi. A questo punto non ho più paura di niente. Io quel giorno sono morto assieme a Graziella, ma non ho scelto la vendetta, ho scelto la giustizia. E la devo portare avanti. Dobbiamo essere tutti uniti perché non si verifichino più queste oscenità. Sì, perchè quello che è accaduto con Sutera è davvero osceno. Ripeto: se il magistrato si è attenuto a delle regole, ebbene queste regole vanno cambiate. Perchè chi le ha accettate è ugualmente responsabile!”.

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