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L’accordo con Cosa nostra sancito nella sentenza Dell’Utri
di Aaron Pettinari
"Scrivono che io sono mafioso? Un'accusa di questo genere è un'infamia. Io sono al contrario una vittima della mafia, lo siamo stati io, i miei figli e le mie aziende". Parola di Silvio Berlusconi.
Pregiudicato, condannato in via definitiva a quattro anni per frode fiscale, il Caimano è tornato protagonista in questi ultimi mesi e sempre più al centro dell’ennesima campagna elettorale, si difende da chi non fa altro che ricordare nient’altro che i fatti.
Dal palco di Milano, alla manifestazione di Forza Italia, punta anche il dito contro la stampa ed in particolare contro Il Fatto Quotidiano: “Il Falso quotidiano, o il Fatto, come si chiama, mi accusa in questi giorni di aver pagato per tanti anni la mafia. Vi rendete conto che infamia buttarmi addosso un’accusa di questo genere? Io sono stato al contrario una vittima della mafia”. E’ evidente l’irritazione dell’ex premier rispetto all’uscita “B come Basta”, il libro edito da Paper First in cui Marco Travaglio ripercorre la storia dell’ex cavaliere.
“Mi fa star male il Falso quotidiano - ha aggiunto Berlusconi - Adesso che ci sono le elezioni tira fuori questa storia e Travaglio ci fa anche un libro”. Berlusconi ha poi sostenuto che tutte le accuse nei suoi confronti sono finite archiviate dalla magistratura e che in passato dovette anche “assumere una polizia privata” a sua tutela e dei figli.
Ovviamente non ricorda che è riuscito sempre a cavarsela con prescrizioni, amnistie e leggi ad personam.
E non ricorda neanche le sentenze definitive, come quella nei confronti del co-fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nelle motivazioni della sentenza è scritto che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, l’ex senatore è stato il garante “decisivo” dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”. Inoltre “la sistematicità nell'erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell'Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all'accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.
La Cassazione ha poi evidenziato come “il perdurante rapporto di Dell'Utri con l'associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell'amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall'incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l'imputato, Bontade e Teresi, incontro nel corso del quale Dell'Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l'acquisto di film per Canale 5”.
Inoltre i giudici della Suprema corte, più che di una polizia privata assunta per proteggere sé e la sua famiglia, parlano di un “patto di protezione andato avanti senza interruzioni”. E Dell’Utri era il garante per “la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa, in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”.
Parole scritte nero su bianco.

Inchiesta aperta a Firenze sulle stragi
Berlusconi, sempre assieme a Dell’Utri, è anche indagato dalla Procura di Firenze con l’accusa di essere tra i possibili mandanti occulti delle stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano. Un addebito che gli è già stato rivolto due volte sia dai giudici toscani che da quelli della procura di Caltanissetta.
Una riapertura dovuta del fascicolo dopo la trasmissione di atti, pervenuti da Palermo, con le intercettazioni dei colloqui in carcere del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
"Berlusca mi ha chiesto questa cortesia, per questo c'è stata l'urgenza” diceva il capomafia durante l’ora di passeggio con il camorrista Umberto Adinolfi.
Parole, quelle del capomafia stragista, che hanno portato anche a numerose polemiche con pareri discordanti tra i periti che hanno analizzato e trascritto i ventuno colloqui nell’ambito del processo trattativa Stato-mafia. Quelli nominati dalla Corte d’assise e quelli dell’accusa sono certi di sentire la parola “Berlusca” mentre il perito della difesa Dell’Utri ascolta “Bravissimo”. Il riferimento all’ex Premier compare in altri punti della conversazione ma sempre per il perito della difesa i dialoghi sarebbero incomprensibili mentre in altri punti le perizie non presentano differenze. Certo è che al processo solo 21 intercettazioni sono state depositate ma le registrazioni dei dialoghi del boss sono durate quattordici mesi e nelle carte non mancano gli omissis.

Le parole di Riina
Anche il Capo dei capi, Totò Riina, durante il passeggio nel carcere di Milano con il boss pugliese Alberto Lorusso aveva parlato di Berlusconi il 22 agosto 2013: “...si è ritrovato con queste cose là sotto, è venuto, ha mandato là sotto a uno, si è messo d’accordo, ha mandato i soldi a colpo, a colpo, ci siamo accordati con i soldi e a colpo li ho incassati’’. Quanti? “A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi”.
E sempre Riina aggiungeva: “I catanesi dicono, ma vedi di... Non ha le Stande, gli ho detto, da noi qui ha pagato. Così, così li ho messi sotto, gli hanno dato fuoco alla Standa. Minchia, aveva tutte le Stande della Sicilia, tutte le Stande erano di lui. Gli ho detto: bruciagli la Standa. A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi, 250 milioni ogni sei mesi. Quello... è venuto il palermitano... mandò a lui, è sceso il palermitano ha parlato con uno... si è messo d’accordo... Dice vi mando i soldi con un altro palermitano. Ha preso un altro palermitano, c’era quello a Milano. Là c’era questo e gli dava i soldi ogni sei mesi a questo palermitano. Era amico di quello... il senatore (ovvero Dell'Utri, ndr)”.
Certo, le parole del boss corleonese, oggi deceduto, non hanno a che fare con la sentenza Dell’Utri ma sono agli atti del processo Stato-mafia che è alle sue battute conclusive. Per i pm del pool Di Matteo, Del Bene, Tartaglia e Teresi sono elementi utili per ricostruire il ruolo di intermediario svolto da Dell’Utri nella seconda fase della trattativa per cui hanno chiesto la condanna a 12 anni di carcere. “La Cassazione - hanno detto i pm durante la requisitoria - ci dice che tra Cosa nostra e Berlusconi e Dell’Utri il rapporto era paritario. Dell’Utri era un nuovo autorevole interlocutore del dialogo con Cosa nostra”. Nella requisitoria è stato anche ricordato il ruolo avuto dallo “stalliere” Vittorio Mangano, il boss di Porta Nuova assunto da Berlusconi e Dell’Utri nel 1974 (“La presenza di Vittorio Mangano ad Arcore mafioso del mandamento di Porta Nuova, per il tramite di Dell’Utri, rappresenta la convergenza di interessi tra Berlusconi e Cosa nostra”). Quel Mangano, che Berlusconi e Dell’Utri hanno definito più volte come “un eroe” dopo la morte. Quello stesso Mangano che, a loro dire in un’intercettazione del 29 novembre 1986, metteva “bombe affettuose”. Anche Giovanni Falcone aveva annotato in un appunto “Cinà in buoni rapporti con Berlusconi. Berlusconi dà 20 milioni a Grado e anche a Vittorio Mangano”. Non è dato sapere il perché Falcone aveva scritto quel riferimento sull'ex Presidente del Consiglio, allora imprenditore. Sicuramente, ad anni di distanza, sono numerosi gli interrogativi che restano senza risposta.
Silvio Berlusconi è una semplice vittima o anche qualcos’altro? Certo è che in tanti anni non si è mai capito se l’allora imprenditore, poi per oltre vent’anni protagonista assoluto della politica del nostro Paese, pagasse soltanto un’estorsione colossale alla mafia o se fosse inserito in un’opera di riciclaggio. Le inchieste in questo senso sono state archiviate e il Tribunale presieduto da Leonardo Guarnotta scrisse in sentenza che “la scarsa trasparenza o l’anomalia di molte delle operazioni finanziarie effettuate dalla Fininvest negli anni 1975-84 non hanno trovato smentite nelle conclusioni del consulente della difesa”. Lo stesso Berlusconi avrebbe potuto fornire spiegazioni ma il 26 novembre del 2002, chiamato a deporre, si avvalse della facoltà di non rispondere. Resta dunque una certezza, sempre sancita dalla sentenza Dell’Utri. Berlusconi è stato un imprenditore “mai sfiorato dal proposito di farsi difendere dai rimedi istituzionali”, ma pronto a rifugiarsi “sotto l’ombrello della protezione mafiosa, assumendo Mangano e non sottraendosi mai all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione”.
In un Paese normale tutto questo verrebbe ricordato quotidianamente dagli organi di informazione ma certi argomenti diventano tabù nelle conferenze stampa, negli incontri pubblici e nelle varie ospitate televisive.
E’ ormai noto che questo è il Paese delle mancate verità, della memoria corta, o peggio, di chi vuol far finta di niente. Come se nulla fosse accaduto. E’ accaduto più volte in questi anni e il “Patto del Nazareno” ci ricorda come le stesse Istituzioni hanno voluto colpevolmente dimenticare. La speranza è che gli italiani, a partire dal prossimo 4 marzo, non facciano altrettanto.

Foto © Reuters

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