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di Aaron Pettinari
In appello riformata in parte la sentenza di primo grado

E’ stata la mafia ad uccidere Mauro Rostagno il 26 settembre 1988. Si parte da questo dato, a quasi trent’anni di distanza dal delitto, grazie alla sentenza della Corte di Assise di Appello di Palermo che ha confermato la condanna all’ergastolo per il boss di Cosa nostra trapanese, Vincenzo Virga. Tuttavia il collegio, presieduto da Matteo Frasca e giudice a latere Roberto Murgia, ha assolto per non aver commesso il fatto Vito Mazzara, accusato di essere stato il killer del sociologo e giornalista. La sentenza di primo grado, dunque, è stata riformata solo in parte con i giudici della Corte d’Assise d’Appello che, evidentemente, non hanno ritenuto sufficienti per una condanna le analisi delle impronte genetiche trovate sui resti del fucile a canne mozze rinvenuti per terra sul luogo del delitto (la canna di legno si ruppe al momento dell’esplosione dei primi colpi), effettuati dai periti della Corte d'Assise di Trapani Paola De Simone, Elena Carra e Silvano Presciuttini. Su questo punto la difesa di Mazzara aveva tentato di far riaprire l’istruttoria dibattimentale e di produrre una nuova perizia sul dna, richiesta che però non è stata accolta dai giudici d’Appello.
Si dovrà attendere le motivazioni della sentenza, che saranno depositate tra novanta giorni, per comprendere quali siano state le effettive valutazioni.
Non possiamo che aspettare - ha detto l’avvocato Carmelo Miceli, legale di parte civile per Chicca Roveri e Maddalena Rostagno - Intanto c’è una conferma che è stato un delitto di mafia. Noi confidavamo nella conferma, leggeremo con attenzione le motivazioni per comprendere le ragioni di questa riforma. Comprenderemo le ragioni dell'assoluzione che evidentemente hanno a che fare con la prova scientifica. Capiremo se è stata ritenuta una prova i cui risultati sono inutilizzabili o è una prova che è nata male in partenza”. Grande la delusione nel volto dei familiari che erano giunti a Palermo. “E’ una sentenza illogica” ha detto a caldo la sorella del sociologo, Carla.
Il Pg Domenico Gozzo, che assieme al collega Umberto De Giglio aveva chiesto la conferma degli ergastoli per entrambi gli imputati, prima di uscire dall’aula dice chiaramente “Siamo qua. Continueremo a lavorare”.
Se sul nome del killer, dunque, torna ad abbattersi un alone di mistero, restano chiari i contorni in cui si è consumato il delitto.
L’omicidio di Mauro Rostagno - avevano scritto i giudici di primo grado - volto a stroncare una voce libera e indipendente, che denunziava il malaffare, ed esortava i cittadini trapanesi a liberarsi della tirannia del potere mafioso, era un monito per chiunque volesse seguirne l’esempio o raccoglierne l’appello, soprattutto in un'area come quella del trapanese dove un ammaestramento del genere poteva impressionare molti”.
E nel corso della requisitoria anche i Pg avevano evidenziato i clamorosi depistaggi che si sono verificati nel corso delle indagini. Perché Rostagno dava fastidio alla mafia e non solo. Fu ucciso mentre si apprestava a raccontare in tv, su Rtc, gli affari di mafia e massoneria. “Bisognava mettere a tacere per sempre quella voce - scrivevano ancora i giudici - che come un tarlo insidiava e minava la sicurezza degli affari e le trame collusive delle cosche con altri ambienti di potere”.
Il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, fino agli anni 90 capo della famiglia di Mazara del Vallo, aveva raccontato le irritazioni del capomafia Francesco Messina Denaro, padre del superlatitante Matteo, ad ogni trasmissione televisiva. Poi c’è stato chi come Francesco Milazzo ha parlato di un ordine “partito dalla Provincia, perché il giornalista aveva toccato qualche nome importante nelle sue trasmissioni”.
Trent’anni dopo ci sono ancora troppe cose da chiarire, a cominciare dai “colpevoli ritardi e inspiegabili omissioni” commesse da parte di chi doveva indagare.
E' un fatto noto che dalla sede di Rtc scomparve la videocassetta su cui Rostagno aveva scritto “Non toccare”. Lì, probabilmente, c’era il suo ultimo scoop, la registrazione con le riprese del presunto traffico d'armi nei pressi della pista d'atterraggio di Kinisia.
Un elemento di prova scomparso così come non si ritrovano le lettere che Rostagno si scambiava con il fondatore delle Brigate Rosse Renato Curcio, il memoriale sull’omicidio del commissario Luigi Calabresi, o la partizione del proiettile calibro 38 estratto dal corpo del sociologo durante l’autopsia. Tra le carte sparite vi è anche una relazione degli 007 del centro Scorpione, una delle 5 basi della VII divisione del Sismi, da cui dipendeva “Gladio”, che riguardava il centro Saman. Misteri che portano a domande che restano ancora aperte.