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loi emanuela sorrisoFotogallery all'interno!
Our Voice* intervista Claudia Loi, sorella di Emanuela

Nel corso del breve viaggio in Sardegna, realizzato dal nostro gruppo a fine gennaio per incontri e attività legate alla legalità, abbiamo avuto l’onore di recarci a casa di Emanuela Loi a Sestu, ospiti della sorella Claudia e di suo marito Enrico Contini. Grazie alla loro disponibilità abbiamo realizzato un'intervista per conoscere maggiormente la storia di Emanuela e l'esperienza di sua sorella Claudia, dando questa stessa possibilità ai lettori.

Mi trovo davanti ad un'immagine e vedo il sorriso di Emanuela, impresso in quella foto, che mi tocca nel profondo. 
Un sorriso che racchiude tanti istanti, rimasti impressi tutta una vita negli occhi di sua sorella Claudia. Un sorriso che ci dà speranza e gioia di vivere. La voglia di urlare al mondo che oggi mantengono in noi vivi quegli stessi ideali per cui tanti uomini e donne come Emanuela Loi, attraverso il proprio lavoro, si sono battuti. 
L'impronta che ha lasciato Emanuela insieme ai suoi colleghi cresce ogni giorno di più, arrivando alle coscienze di innumerevoli giovani che attraverso quell'esempio danno un senso alla loro vita, coltivando le proprie passioni senza paura di andare fino in fondo. 
Nessun tipo di male potrà mai fermare la forza del loro spirito di servizio, la loro determinazione, che attraverso la difesa della Verità e della Giustizia verso il nostro Paese ha dato vita ad una catena interminabile di speranza per una società migliore, composta dalle idee di tanta gente che oggi lotta per un cambiamento, portando avanti il proprio lavoro con onestà. 
Emanuela amava il mare, ritrovava sé stessa nel rumore delle sue onde. Quando guardo il mare penso alle parole di sua sorella Claudia, che come un fermo immagine rimangono nel mio ricordo, e mi danno il desiderio di donare tutto l'amore che ho dentro. Perché il loro era amore. 
Mi tuffo in mare, e sento il senso di vivere di Emanuela. Rivedo il suo sorriso che non riesco a cancellare da dentro me e penso a quanto sia immensamente bello amare una causa, tanto da farne la ragione della propria vita. 

Noi, ragazzi del Movimento Our Voice ringraziamo di cuore Claudia Loi e il marito Enrico Contini per averci dato l'onore di ascoltare le loro parole, in memoria di Emanuela. La vostra umiltà, semplicità e forza di sorridere alla vita davanti alle difficoltà, ci spinge a dare tutto il possibile per trovare quella Giustizia di cui la nostra società ha bisogno. 
Emanuela è Viva: nel ricordo, nella lotta, nell'esempio.


Ecco qui di seguito l'intervista.

Claudia, ci può raccontare com'era Emanuela?

Emanuela era una ragazza gioiosa, gentile, allegra, rispettosa, emanava positività. Amava molto il mare, il nuoto. Le piaceva ballare, ballava anche il ballo sardo, con il gruppo folk del paese andavamo spesso ad esibirci.

Come decise di entrare a lavorare nella Polizia di Stato?

La sua aspirazione era quella di diventare maestra, infatti ha conseguito il diploma magistrale, così come me. Lei amava tanto i bambini. In realtà ero io quella che sognava di diventare poliziotta. Abbiamo fatto insieme il concorso per insegnanti e poi quello in Polizia. Facevamo tutto insieme, uscivamo, condividevamo le stesse amicizie, frequentavamo le stesse scuole perché avevamo solo un anno di differenza, lei è del ’67 e io del '66. 
Emanuela superò a pieni voti la prova scritta per il concorso in polizia, poi gli orali e le varie visite successive. Prese quasi “per gioco” il superamento della prima prova, andò alla seconda prova e anche lì prese il massimo dei voti. Fu chiamata successivamente ad assumere l'incarico di insegnante ma lo rifiutò, a quel punto decise di restare in polizia perché iniziò a piacerle quel lavoro. La sua aspirazione era quella di specializzarsi, non di rimanere agente semplice. 



Come avete preso la notizia che Emanuela aveva vinto il concorso per entrare in Polizia?

La famiglia, me compresa, era molto contenta. Anche mio padre era orgoglioso che sua figlia facesse qualcosa per il bene della società: lui teneva tanto a questi ideali, all'impegno per migliorare la società. Però avrebbe preferito che fossi entrata io in polizia. Io ero contenta perché sapevo che avrebbero chiamato anche me perché ero entrata in graduatoria e quindi lei mi poteva descrivere tutto per prepararmi a quel momento. Mi chiamarono due anni dopo l'assunzione di Emanuela, dopo la strage, ma io non avrei più potuto portare quella divisa dopo la morte di mia sorella quindi rifiutai l'incarico.

Come ha reagito Lei e tutta la sua famiglia alla notizia che Emanuela era stata trasferita a Palermo?
Dopo il corso di sei mesi a Trieste ebbe come destinazione Palermo. Tutti eravamo preoccupati in famiglia perché sapevamo che Palermo era una città a rischio dopo tutti gli attentati che erano avvenuti ma avevamo la speranza che queste disgrazie non sarebbero più accadute. Emanuela non ci dava nessun segno di preoccupazione. Io andavo spesso a Palermo, ero una ragazzina di 25 anni ma vedevo l'ambiente che c'era e lo confrontavo con quello della Sardegna, notavo la differenza, era una città caotica che non rispettava le regole anche nella strada; nell'attraversamento pedonale ad esempio se non stavi attenta ti mettevano sotto, avevamo paura alcune volte. 



Appena arrivata a Palermo dov'è stata destinata?
Inizialmente ha lavorato al commissariato “Libertà” poi, dopo la strage di Capaci, fu destinata alle scorte.

Cosa diceva Emanuela di Palermo? Cosa vi raccontava del suo lavoro?

Anche Emanuela all’inizio parlava della differenza tra una città tranquilla come Cagliari e la “movimentata” Palermo. Ci diceva che i poliziotti non erano ben visti. Qui da noi se vedi una divisa la reazione è di timore, lì a Palermo invece il contrario, addirittura c'erano persone che rispondevano male ai poliziotti. 
Emanuela chiamava ogni giorno a casa, anche perché nostro fratello aveva appena avuto un bambino e lei gli era molto affezionata. Non c'erano i cellulari come oggi quindi chiamava dalle cabine telefoniche della caserma “Le tre torri” con i gettoni. Quando chiamava io ne approfittavo per fargli delle domande sul suo lavoro. Quando era al commissariato “Libertà” non faceva solo scorte ma anche piantonamenti, stradale, andava con il camper della polizia nelle zone malfamate di Palermo. Noi non sapevamo che era a rischio perché lei non ci parlava del suo lavoro e quando lo faceva minimizzava, quando io le facevo domande si limitava a dire che andava tutto bene e mi rispondeva genericamente: “Oggi ero all'ospedale di piantonamento a uno che ha commesso degli omicidi” ma non diceva neanche il nome. Tante volte ci diceva che faceva piantonamento in via Libertà nella casa dell'oggi presidente Mattarella. Al servizio scorte fece appena in tempo a fare 15 giorni, lei ci rassicurava continuamente dicendoci che la sua posizione non era a rischio, che scortava persone “non pericolose”, non ci aveva detto che era stata assegnata alla scorta del giudice Paolo Borsellino.



Della mafia quindi non vi ha mai parlato?
Assolutamente no, mai. Dopo la strage di Capaci venne a casa, in ferie, e ci rimase fino a mercoledì 15 luglio. Un giorno mentre eravamo seduti a tavola fecero vedere in tv le immagini dell’attentato a Falcone, a sua moglie e alla scorta. Lei non volle guardare quelle immagini. Quando le chiesi se conosceva qualcuno di quei ragazzi mi disse che conosceva il capo scorta Montinaro ma poi cambiò subito argomento.

Conoscevate il fenomeno mafioso?
Sì, sapevamo dei pericoli ma mai avremmo potuto immaginare che la mafia avrebbe colpito la nostra famiglia.

Cosa spinse Emanuela a decidere di restare in Polizia?
Nel suo piccolo lei voleva fare qualcosa di utile, di positivo per il suo Paese. Mi diceva che era molto contenta quando con il camper andavano nelle zone malfamate della città e accoglievano i bambini che stavano per strada con situazioni familiari molto delicate. Si intrattenevano a parlare con loro con la speranza che questi bambini un giorno potessero cambiare e vivere diversamente.



Quando ha visto per l’ultima volta Emanuela?
Quando venne nel Luglio del '92 partì in vacanza con il suo fidanzato al mare come ogni anno a San Teodoro poi ritornò a casa. L'ultimo giorno che l'ho vista è stato il mercoledì precedente la strage che avvenne la domenica. 



Emanuela chiamò a casa il giorno della strage?
No, e neppure il giorno prima infatti eravamo preoccupati perché lei chiamava tutti i giorni solitamente. I miei genitori erano preoccupati, ma pensavano fosse dipeso dai turni di lavoro. 
Quando ci arrivò la notizia dell’attentato al giudice Borsellino la preoccupazione aumentò perché Emanuela continuava a non chiamare. Quando ci fu la strage di Capaci aveva chiamato subito a casa per tranquillizzarci e dirci che stava bene. Allora speravamo che potesse essere andata al mare e non fosse stata informata della strage. 
Io nel mentre ero a Riva del Garda insieme ad una mia amica, stavo scrivendo una cartolina da mandare ad Emanuela a Palermo e non ricordavo l’indirizzo esatto quindi chiamai a casa per sapere da mamma e lei mi disse di chiudere subito la chiamata perché aspettava una chiamata di Emanuela, mi disse che c'era stata una strage a Palermo. Iniziai a chiedere per strada a tutti, qualcuno mi confermò dell'attentato, continuai a chiamare a casa ma mia madre mi ripeteva di chiudere la telefonata e riattaccò lei il telefono. Rientrai subito in albergo con la mia amica e iniziai a guardare le immagini alla televisione e ascoltare le notizie. Parlavano della probabilità che ci fosse una donna tra le vittime. Dopo due ore, al Tg delle 19:00 resero pubblici i nomi delle vittime. Appena ho sentito il nome di Emanuela sono svenuta. Vennero a prendermi dei poliziotti e dopo una tappa in commissariato mi portarono in vari aeroporti alla ricerca della disponibilità di un volo per la Sardegna. Non mi permisero di portare con me la mia amica. Sola in un aereo vuoto, enorme, con destinazione Olbia. Poi scortata in macchina fino a Sestu. L’indomani partii con la mia famiglia per Palermo insieme al sindaco di Sestu, al fidanzato di Emanuela e a mio cugino. Io non sentivo che era morta Emanuela, speravo che ci portassero in ospedale a trovarla sicuramente ferita ma viva. Mamma voleva andare a comprare un vestito da sposa da mettere a Emanuela nella bara perché da noi in Sardegna si usa così quando muore una figlia giovane. Ma ci fecero aspettare tanto tempo e non le permisero di andare ad acquistarlo. Ci portarono direttamente nel tribunale dove era allestita la camera ardente, con tutte le bare in fila.

Come ha trovato la forza di reagire, di andare avanti?

Ho trovato la forza nella fede. La mafia nella mia famiglia non ha ucciso solo mia sorella ma anche mio padre, che era la nostra forza, un uomo in piena salute prima della morte di Emanuela. In seguito ha cominciato a stare male ed è morto per il dispiacere. Iniziò ad avere la febbre ma continuava ad andare ovunque venisse chiamato per ricordare Emanuela, anche in Sicilia, nei processi o nelle manifestazioni. Gli dava conforto sapere che la figlia venisse ricordata. E' morto in ospedale con la febbre altissima e con diagnosi sconosciuta. Io non ho avuto la sua forza, non sono ancora riuscita dopo tanti anni a ritornare a Palermo. Mamma si ammalò dopo la morte di mio padre e morì anche lei alla stessa età, sessantasette anni. Ora per me sono tutti lassù insieme felici, sento che non sono morti, vivono con noi e un giorno ci rincontreremo.



Cosa pensa dell’esempio che oggi ha lasciato Emanuela?
Mia sorella ci ha lasciato un messaggio semplice: ognuno nel quotidiano deve fare la propria parte, il proprio dovere e quando trova delle difficoltà nella propria vita non deve tirarsi indietro. 
Troviamo un conforto in mezzo a tanto dolore, quello di sapere che Emanuela venga ricordata da tanti giovani per non essersi tirata indietro nonostante sapesse il rischio che correva. Sapere che ci sono tante scuole a lei dedicate, il libro uscito l'anno scorso molto letto nelle scuole da cui è nata un'opera teatrale che ha fatto il giro d'Italia. La cosa sorprendente è che dopo venticinque anni di Emanuela se ne parla sempre di più, Emanuela è viva ed è presente dappertutto. 
Noi andiamo ovunque a parlare di lei; c’è sempre una scuola, una piazza o una via intitolata a Emanuela da inaugurare, o un convengo sulla legalità a cui partecipare. 
Il dolore è ancora molto forte. In questi giorni poi abbiamo rivissuto tutto con la trasmissione del film a lei dedicato: “La scorta di Borsellino - Emanuela Loi”, è stato come ritornare indietro nel tempo a quel 19 luglio. Fortemente traumatico per me, anche fisicamente.

Cosa pensate di quello che è successo quel giorno? Delle persone che stanno cercando la verità. Cosa pensate dei Pm come Nino Di Matteo e i magistrati del pool che ora sono impegnati nel processo Trattativa Stato-Mafia?
Il pensiero più immediato sarebbe quello dell'indignazione, della protesta, non siamo riusciti ad andare a fondo a questa tragedia che è più grande di noi, ma vogliamo dare il nostro apporto concentrandoci sulla testimonianza, sul ricordo di Emanuela. Vogliamo contribuire a scuotere le coscienze affinché possa nascere qualcosa di buono da questo dolore. Cerchiamo di reagire suscitando qualcosa di positivo. Ci sono coloro che portano avanti la denuncia di un fatto criminale malavitoso e si impegnano su quel fronte come questi magistrati e c'è chi lavora su un altro fronte cercando di stimolare la gente ad essere dei cittadini onesti, noi cerchiamo di fare questo. Dobbiamo ribellarci contro il marcio che c'è in questa società. Ed è tra l'altro una grande responsabilità perché se lo diciamo dobbiamo essere i primi a dare l'esempio. Dobbiamo cercare di essere coerenti con ciò che diciamo.



A chi come Emanuela sente questa passione di difendere i giusti, a chi vuole intraprendere il suo stesso percorso cosa direste?
Di fare quello che ha fatto Emanuela, di essere liberi e di andare avanti sempre con le proprie idee e le proprie scelte e quando ci sono difficoltà di non tirarsi indietro ma affrontarle e superarle con coraggio.



Potrebbe darci un messaggio per i giovani?
Ai giovani voglio dire di cercare di dare ognuno il proprio contributo per il bene comune. Di non lasciarsi coinvolgere da esempi negativi ma di seguire sempre quelli positivi. Se ognuno, nel suo piccolo, farà il suo dovere, il mondo potrà essere sicuramente migliore. Se gli uomini non cambiano il mondo non cambia. Il cambiamento parte da ciascuno di noi.

Come vedeva le figure di Falcone e Borsellino?
A Palermo non c'è solo la mafia. Dobbiamo pensare che ci sono state e tuttora ci sono tante persone coraggiose come Falcone e Borsellino che combattono per eliminarla. 
E comunque la mafia non è solo a Palermo ma in tutta Italia. I due giudici volevano cambiare la Sicilia e il nostro Paese essendo disposti a rischiare la propria vita. Persone come Falcone e Borsellino potevano nascere solo a Palermo. 
Ho la certezza che la verità su queste stragi si scoprirà prima o poi.

Noi crediamo che anche attraverso le vostre parole e l'esempio di tanta gente onesta il ricordo di Emanuela e quello di tutti i martiri della giustizia resterà vivo per sempre.
Che si scoprirà la verità su queste terribili stragi è anche la nostra speranza, quella di noi giovani. 
Grazie Claudia. Porteremo per sempre con noi la vostra testimonianza.


*Sonia Bongiovanni, Lorenzo Capretta e tutto il Movimento Our Voice.
Sestu, 31 gennaio 2018

Visita: ourvoice.it

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