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Il Procuratore Bertone: “Su stragi non escludiamo incontri mafia-ambienti esterni”

“Riina ha rappresentato un’essenza forte, autentica, di una Cosa nostra che si voleva fare Stato. Cosa nostra è un serpente che cambia la sua pelle a seconda delle esigenze. Se in un determinato momento, magari perché delusa dal mancato raggiungimento delle aspettative di tipo politico che nutriva sin dal tempo delle stragi, Cosa nostra deciderà di tornare all’attacco frontale alle istituzioni. Avrà la capacità di farlo perché ha ancora un germe stragista molto forte al suo interno e gli uomini come Matteo Messina Denaro che quegli intenti potrebbero portarlo a compimento”. Il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo analizza così i rischi che possono maturare dopo la morte del Capo dei capi. Intervistato da Maria Grazia Mazzola su lo speciale Tv7, ieri sera andato in onda su Rai Uno, il magistrato titolare dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia, in un tempo in cui si è tornati a parlare della necessità o meno del 41 bis come strumento detentivo, lancia un allarme: “Allentare o addirittura abrogare il regime di 41 bis per i capomafia costituirebbe un pericolosissimo passo indietro nella lotta alla mafia. Il 41 bis non è uno strumento di vendetta. Non è uno strumento di ulteriore afflizione dei detenuti. E’ uno strumento necessario di ordine pubblico per evitare che i capomafia continuino a comandare”. Da Leoluca Bagarella a Giuseppe e Filippo Graviano, da Salvatore Biondino a Salvuccio ed Antonino Madonia sono diversi i boss tra i cinquanta ed i sessant’anni condannati all’ergastolo che in passato hanno condiviso quel pensiero di attacco frontale allo Stato ed alle istituzioni. All'interno del servizio anche il procuratore capo di Caltanissetta, Amedeo Bertone, interviene sul rischio di nuovi ordini inviati dal carcere: “Malgrado la resistenza del regime carcere duro è inevitabile che coloro che sono al 41 bis continuano a dare messaggi e trasmettere i propri ordini e le proprie direttive a coloro che sono fuori dal carcere. Dopo la ricostruzione cogliamo anche dagli esiti delle investigazioni compiute da questo ufficio”.

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Palermo, 1980. L’arresto del boss mafioso Leoluca Bagarella (© Letizia Battaglia)


Verità sulle stragi
Rispetto alle indagini sulle stragi il Procuratore nisseno aggiunge: “Voglio ribadire con forza che non si esclude la possibilità di incontri della mafia con ambienti esterni”.
Un concetto ribadito anche dal pm Di Matteo: “Riina avrà necessariamente condiviso i segreti con altri all’interno e probabilmente anche all’esterno di Cosa nostra”. E poi ancora: “Ci sono ancora dei misteri, per esempio attorno a tutte le vicende delle stragi del 1992 e del 1993, che devono necessariamente essere chiarite. Che lo Stato, con tutte le sue articolazioni, si deve impegnare a fondo per chiarire, per completare un percorso di verità che è rimasto parziale. Fino a quando non verranno colmati questi buchi di conoscenza è pur sempre possibile che la generazione di quei mafiosi stragisti, oggi in gran parte detenuti ma pur sempre vivi e capaci di trasmettere ordini all’esterno, possa condizionare l’attività politica e istituzionale. E questo è inaccettabile”.

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Uno scatto d'archivio della "primula rossa trapanese", Matteo Messina Denaro


Il volto di Messina Denaro
Parlando del superlatitante Matteo Messina Denaro, il sostituto procuratore nazionale antimafia Di Matteo ricorda che “nel 1993, assieme a Giuseppe Graviano e pochi altri, è stato il principale organizzatore di una fase molto importante; quella nella quale Cosa nostra esportò le stragi fuori dalla Sicilia”. Una fase che “fu caratterizzata dalla scelta di Cosa nostra di seminare il terrore  nel paese attraverso attentati rivolti contro beni del patrimonio storico monumentale artistico. Mattea Messina Denaro è uno stragista e fino a quando sarà libero c’è sempre il pericolo che possa tornare ad essere quello che fu”.

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