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ciancimino eff c giorgio barbagallo“Deve essere assolto”. In vista della sentenza presentata una memoria
di Aaron Pettinari
La vicenda Vaselli-De Gennaro? “Manca la consapevolezza dell’odierno imputato di accusare un soggetto innocente. Lo stesso, infatti, si è limitato a raccontare quanto riferitogli dal padre sulla vicenda, nell’assoluta certezza della veridicità dei fatti narrati”. La dichiarazione secondo cui Ciancimino avrebbe affermato che il signor Franco era De Gennaro? “Non vi è alcuna prova che il Ciancimino abbia affermato che ‘il sig. Franco è De Gennaro” e “la relazione della Dia del 13 dicembre 2010 non andava acquisita”. La vicenda passaporto per il figlio? “Tale vicenda, raccontata il 28 settembre 2010, non risulta provata nella sua materialità, atteso che non è stato attribuito al De Gennaro alcun reato”. L’accusa a Narracci? “Non è provata la falsità delle dichiarazioni rese di Ciancimino. Al contrario, numerosi sono i riscontri che il Narracci potrebbe aver avuto in quegli anni”. Ecco alcuni dei passaggi della memoria difensiva che i legali di Massimo Ciancimino (Roberto D’Agostino e Claudia La Barbera) hanno depositato al processo che vede imputato il figlio dell’ex sindaco mafioso per calunnia nei confronti dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro e dell'ex componente del Sisde Lorenzo Narracci. Un documento che si conclude con la richiesta di assoluzione del proprio assistito da tutti i capi di imputazione.
Il procedimento che si svolge davanti al Tribunale monocratico di Caltanissetta (giudice Valentina Balbo) è ormai alle battute conclusive e il prossimo 16 novembre i due legali prenderanno la parola per le arringhe dopodiché, forse già in giornata, si avrà la sentenza.
Nei confronti di Ciancimino jr l’accusa ha già chiesto la condanna a 5 anni e 9 mesi ma secondo i difensori nei fatti contestati “non c’è dolo”, né sarebbe stato provato che quanto dichiarato da Ciancimino non sia vero.
In particolare, nella memoria, viene evidenziato come per l’accusa “la prova più evidente del dolo di calunnia” sia “il documento oggetto di diverso procedimento per calunnia” (un foglietto in cui compariva il nome di De Gennaro che le perizie hanno dimostrato essere stato manomesso, ndr). “Un fatto che è estraneo al presente procedimento” e che è al vaglio della Corte d’assise di Palermo nell’ambito del processo trattativa Stato-mafia. Del resto proprio l’accusa e le stesse parti civili avevano ritenuto differenti i fatti nel momento in cui i legali di Ciancimino avevano sollevato “eccezione di incompetenza territoriale e sostenuto la connessione teleologica dell’odierno procedimento con quello della c.d. trattativa per medesimo contesto dichiarativo” per cui appare non coerente richiamare lo stesso documento per sostenere la colpevolezza dell’imputato. Così i legali si concentrano sui singoli capi di imputazione.

de gennaro gianni 610

Gianni De Gennario


Il rapporto Ciancimino-Vaselli-De Gennaro
Secondo l’accusa, la calunnia commessa in data 11 febbraio 2010 consisterebbe nel fatto che “sapendolo innocente, incolpava, avanti questa Procura, De Gennaro Giovanni, di avere intrattenuto rapporti sin dalla fine degli anni ’80 con il conte Romolo Vaselli, fornendogli informazioni coperte da segreto investigativo al fine di farle pervenire a Ciancimino Vito.
I legali hanno ricordato che in realtà già nel marzo 2009 aveva fatto riferimento “all’amicizia del dott. De Gennaro con Vaselli, un accenno al fatto che il Vaselli facesse da tramite per fornire informazioni a suo padre e le accuse e i sospetti che suo padre nutriva nei confronti del dott. De Gennaro”. Fatti che, secondo i difensori, sono anche confermati dalla testimonianza di un altro teste: il fratello dell’imputato, Roberto Ciancimino.
Questi, sentito in dibattimento il 28 febbraio 2017, aveva dichiarato: “Nell'elaborare il suo libro, che poi intitolò “Le Mafie”, mio padre voleva intraprendere azioni giudiziarie, ma è stato dissuaso dall'intraprenderle perché non aveva un grosso materiale probatorio…quando scriveva il libro noi cercavamo di dire ‘stai attento, non dire questa cosa, non è provato, becchi una calunnia’. Ma la sua idea di fondo, che riferisco, era che... infatti lui il libro lo chiamava ‘Le Mafie’, è che all'interno dello Stato Italiano esistesse una vera e propria organizzazione fatta di funzionari e cose che non era direttamente collegata a Cosa Nostra, ma era a suo modo di dire una mafia che serviva ad impedire che le notizie criminis arrivassero agli organi giudiziari correttamente”.
Dunque aveva indicato alcune di queste “anomalie”: “È comprovato agli atti di mio padre che la polizia canadese manda un'informativa alla Questura di Palermo dicendo: ‘Guardate, il signor Ciancimino ha comprato degli immobili in Canada. Chi è questo signor Ciancimino?’. Tra quando è datata l'informativa canadese e quando l'atto è finito nel processo sono passati, ora non ricordo, mio padre li calcolava... ma circa due anni. Noi sappiamo che la notizia di reato dev'essere trasmessa entro 48 ore”.
Ed alla domanda specifica se il padre “riteneva che questa informativa fosse stata tenuta nel cassetto dal dottor De Gennaro” lo stesso Roberto Ciancimino aveva risposto: “Mio padre non aveva nessuna prova per affermare questo… Lo affermava come sua intuizione, non che aveva le prove”.
E poi ancora: “Perché mio padre ce l'aveva col dottore De Gennaro? Perché subito dopo l'arresto, mio padre era in detenzione a Rebibbia, mi viene a trovare il conte Romolo Vaselli, io ero a Roma per andare ad incontrare mio padre, mi dice: ‘Sai, ho incontrato il dottor De Gennaro, abbiamo parlato della situazione di tuo padre, mi diceva che non la vede male perché contrariamente a quello che ha detto per i Salvo, Buscetta non ha mai pronunciato la frase ‘Ciancimino è un uomo d'onore’, oltretutto non ha mai detto di averlo conosciuto. Quindi posizione di Salvo è brutta ma quella di tuo padre non è per niente male’”. Quindi aggiungeva: “Penso che si conoscevano. Aspetti un attimo, si conoscevano, non amici, perché quando lo stesso Vaselli mi svela l'episodio, non è che mi disse ‘De Gennaro è amico mio, mi ha detto questo, stai tranquillo’, dice: ‘Io conosco De Gennaro, mi ha riferito questo, te lo dico. Dillo a tuo padre’”. Dichiarazioni che, secondo i legali, risconterebbero proprio quelle rilasciate da Ciancimino.

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Massimo e Vito Ciancimino in uno scatto d'archivio di Luciano Del Castillo (©)


II signor “Carlo-Franco”
Il pm, durante la requisitoria, lo ha definito come il “convitato di pietra” del procedimento. Al centro del caso un dialogo con un funzionario della Dia. Secondo l'accusa "Ciancimino avrebbe indicato come “Carlo/Franco” (uomo dei servizi segreti ed interfaccia tra Vito Ciancimino, l’associazione mafiosa Cosa Nostra, e ambienti istituzionali deviati) l’identità di Giovanni De Gennaro, confermando inizialmente tali dichiarazioni, ed immediatamente ritrattandole, nel corso del verbale del 28 settembre 2010, avanti questa Procura”.
La difesa, però, mette in evidenza come già nel giugno 2010, in un verbale redatto a Palermo, il figlio di don Vito “abbia parlato del rapporto tra De Gennaro e il Sig. Franco non in termini di identificazione tra i due soggetti, bensì come due soggetti differenti, sebbene inseriti nello stesso contesto”. Allo stesso modo Ciancimino jr, rispondendo in aula alle domande del proprio legale, aveva ridimensionato i contenuti della conversazione qualificandole come “supposizioni da bar” in cui rappresentava come, secondo il padre, “la figura più rappresentativa del mondo istituzionale che veicolava Franco, nel senso alla quale Franco facesse capo, in Italia oggi l’asse più rappresentativo fosse quello fatto tra Napolitano, De Gennaro, Violante ed altri soggetti”.
Inoltre, sempre la difesa, nella memoria indica come non si possa considerare la relazione di servizio come “corpo del reato” in quanto “o Ciancimino era già indagato per calunnia” e quindi il funzionario della Dia “non poteva raccogliere le sue dichiarazioni in maniera informale, senza difensore e senza i preventivi avvisi di legge né tantomeno poteva essere resa dallo stesso la testimonianza sulle dichiarazioni, anche con la semplice forma della relazione di servizio, o Ciancimino era comunque già all’evidenza indagabile all’epoca per il reato di calunnia ai danni del dott. De Gennaro e dunque si sarebbe dovuto applicare l’art. 63, c.2, c.p.p.”.

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La vicenda passaporti
Per quanto concerne la vicenda dei passaporti rilasciati nel 2004 per la sua famiglia, ed in particolare per il figlio, la difesa spiega che Ciancimino jr “ha dichiarato che aveva un numero di telefono che gli fu dato da suo padre e dal Vaselli dopo la scarcerazione di suo padre nel 1999 e che gli fu detto facesse riferimento al dott. De Gennaro” ma allo stesso tempo non ha mai affermato “che suo padre conoscesse personalmente il De Gennaro e che il signor Franco e De Gennaro fossero la stessa persona, così mai ha affermato di parlare al telefono con il dott. De Gennaro” mentre asseriva che a rispondere al telefono era “un altro signore a cui le dicevo che avevo bisogno”.
Pur riconoscendo la contraddittorietà delle testimonianze dei soggetti chiamati in causa riguardo il rilascio del passaporto i legali si concentrano su alcuni dati: “La cosa che possiamo ritenere provata per la convergenza di tutte le testimonianze è che all’epoca Massimo Ciancimino disse sia all’allora moglie che all’Ass. C. Cuccio che si sarebbe rivolto al dott. De Gennaro per risolvere il problema. Altri fatti certi sono che il passaporto fu ottenuto senza difficoltà in tempi rapidi (una settimana), che il neonato Vito Andrea ebbe un passaporto personale con la sua foto, cosa inusuale all’epoca e ancora che Massimo Ciancimino non andò nel Commissariato per ritirare i passaporti, come ammesso dallo stesso Cecala a giustificazione dell’innegabile fatto che nel registro c’è la sua firma mentre avrebbe dovuto esserci quella del Ciancimino che li aveva ritirati.
Un altro fatto certo è che effettivamente nel retro del bar Thomas c’era uno scantinato-deposito che la moglie del Ciancimino mostrò di riconoscere in sede di ricognizione con la DIA e di cui il Ciancimino già aveva parlato. Ci sono inoltre anche le intercettazioni tra i coniugi Ciancimino che dimostrano la genuinità del ricordo, in quanto la moglie ricorda dei dettagli al marito, dimostrando che effettivamente i loro ricordi non erano per nulla concordati”. DunqueMassimo Ciancimino era realmente convinto di godere di canali privilegiati del padre certamente riferibili alla Polizia per l’ottenimento di un passaporto che è arrivato in pochissimo tempo e che riguardava il figlio appena nato che non poteva avere per consuetudine un passaporto personale e invece lo ha ottenuto”.
Un episodio che si aggiunge ad altri “favori” ottenuti che lo convincono “di essere testimone di un contesto in cui più nulla lo stupiva. Di godere di rapporti privilegiati con soggetti delle istituzioni, dei servizi segreti, carabinieri e polizia ed era impossibile per lui conoscere realmente la verità, atteso che non poteva fare domande al padre, ma prendere per vero solo quello che suo padre decideva di raccontargli”.
“Lui - scrivono i legali - percepisce come un favore certo la perquisizione del 2005 a casa dove lasciano la cassaforte senza controllo, l’avvertimento del viaggio a Sharm qualche giorno prima dell’arresto di Provenzano, gli aiuti ricevuti per portare tranquillamente somme di denaro dall’estero, il passaporto del figlio ricevuto in pochissimo tempo, l’aggregazione dell’amica Angela Cuccio.

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Bruno Contrada


Il “riconoscimento” di Narracci
Rispetto all’accusa di calunnia nei confronti dell'ex componente del Sisde Lorenzo Narracci i legali ricostruiscono le modalità del riconoscimento in cui “Indica la foto n. 29, ossia il dott. Narracci”. Ciancimino disse esplicitamente: “Riconosco il soggetto effigiato nella foto n. 29, l'ho visto non in compagnia del sig. Carlo/Franco, ma in occasioni in cui lo stesso consegnò a mio padre documentazione presso la nostra abitazione di Roma sempre per conto del sig. Carlo/Franco. In diverse occasioni lo stesso ebbe dei colloqui con mio padre essendo stato accreditato direttamente a mio padre dal signor Carlo/Franco. Ricordo altresì che in più di un'occasione la persona effigiata nella foto n. 29 fece da tramite tra me e mio padre quando quest'ultimo, dal 1992 ali 'anno 2000, si trovava detenuto; in particolare questa persona mi faceva avere documentazione riservata ricevuta da mio padre presso la Casa Circondariale di Rebibbia. Si trattava tra l'altro di documentazione destinata ad ambienti vicini al Lo Verde (cioé Provenzano) ed in particolare a Pino Lipari e ai suoi familiari, nonché di disposizioni finanziarie interessanti la mia famiglia”. Ed è in questi termini che avviene il riconoscimento, senza indicare il soggetto per nome e cognome. Fermo restando che il nome di Narracci non è nuovo agli inquirenti, i legali evidenziano come Ciancimino jr non sapesse che la foto numero 29 ritraesse proprio l’ex funzionario del Sisde. “Il Narracci - ricordano i legali - veniva associato alla strage di Capaci per un bigliettino con i suoi riferimenti ritrovato sul luogo della strage, alla strage di via d’Amelio per essersi trovato in barca con Bruno Contrada al momento della strage, all’attentato di via Fauro per la presenza di un appartamento riferibile allo stesso Narracci e di auto del G.U.S. società del Sisde saltate in aria nell’attentato”. Inoltre, nelle intercettazioni con i giornalisti successive al riconoscimento dell’11 febbraio 2011, i legali evidenziano come siano stati proprio i giornalisti “a parlare del soggetto a Massimo Ciancimino che si limita a dire che ha riconosciuto il numero 29. Perché per lui Narracci è solo il numero 29... non c’è una intercettazione che sia una, né alcuna altra prova da cui si possa desumere che Massimo Ciancimino conoscesse il nome di Narracci al momento del riconoscimento e tanto meno che potesse associare il nome al volto”. Quindi di certo "se il riconoscimento non fu fatto nel convincimento di riconoscere quella persona che già aveva visto nelle circostanze da lui descritte, esso fu fatto a caso e allora va detto che il Ciancimino ebbe davvero una gran fortuna a riconoscere giusto un soggetto il cui nome era emerso nelle indagini sulle stragi dagli anni ’90 e che poi sarà indicato il 23.03.2010 anche da Gaspare Spatuzza.
Basteranno queste considerazioni per evitare a Massimo Ciancimino una nuova condanna? Certo è che la sentenza avrà un peso anche in altri procedimenti. A prescindere da quello che sarà l’esito c’è un dato di fatto che non può essere dimenticato. Da quando il figlio di don Vito ha iniziato a rilasciare dichiarazioni tanti “smemorati di Stato”, che per anni avevano taciuto, hanno iniziato a ricordare fornendo elementi inediti su ciò che avvenne durante e dopo le stragi. Senza il suo contributo, molto probabilmente, sarebbero rimasti trincerati nel loro silenzio ed ancora oggi saremmo di fronte ad un vuoto di verità.

Foto di copertina © Giorgio Barbagallo

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