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“Egregio Signor Riina, il suo tritolo, il vostro tritolo, e di quanti con Voi lo hanno fortemente voluto per salvarsi dalla galera, ha spezzato mia figlia, ma non l’ha piegata. Pur fra mille difficoltà, con uno Stato spesso disattento, mia figlia ce l’ha fatta a raggiungere quell’obiettivo che si era prefissata”. Era il 2009 quando Giovanna Maggiani Chelli scriveva questa lettera aperta al capo di Cosa Nostra.
Quelle parole erano poi tornate alla ribalta qualche anno dopo in occasione del 18° anniversario dell’eccidio di Firenze. La presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili ricordava la laurea in architettura di Francesca: 110 e lode, un riscatto per le sofferenze patite da questa ragazza nella strage del 27 maggio del ‘93 che ancora segnano il suo fisico. Giovanna Chelli puntava il dito contro mafiosi, politici, capi militari, uomini di Chiesa e soprattutto uomini delle istituzioni “che si sono venduti” sull’altare di una trattativa. “Questa laurea di mia figlia - concludeva la signora Chelli - è la rivincita su quei 300 chili di tritolo usato sulla pelle di innocenti per nascondere ancora una volta le miserie di chi ha dato alla mafia la possibilità di andare in Parlamento”. Parole come pietre. Che tornano di attualità alla luce della nuova indagine sui mandanti esterni delle stragi del ‘93 aperta a Firenze a carico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.
In un Paese anestetizzato come il nostro il ritornello di oggi e dei prossimi giorni sarà quello solito: “Giustizia a orologeria per colpire un partito a ridosso delle regionali e in vista delle prossime elezioni politiche”. Una vera e propria mistificazione della realtà consentita ai politicanti di turno solamente perché siamo in Italia. La forza e il potere di chi indegnamente ricopre incarichi politici o istituzionali, e si straccia le vesti per questa nuova indagine sui mandanti esterni delle stragi, si basa prevalentemente sull’ignoranza dell’opinione pubblica in merito ai collegamenti tra mafia, politica e Stato. Ignoranza che si fonde con una becera indifferenza frutto di un lavoro sistematico di destrutturazione culturale. Che affonda le proprie radici in prevalenza nei mezzi di informazione, i quali, salvo rarissime eccezioni, sono funzionali ad un sistema di potere totalmente refrattario alla verità sul biennio stragista ‘92/’93. Una verità di cui però c’è già traccia nelle sentenze di alcuni anni fa che sanciscono un dato oggettivo: lo Stato avviò una trattativa con Cosa Nostra, una trattativa che “indubbiamente ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des” per interrompere la strategia stragista di Cosa Nostra.

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Basterebbe rileggere questo passaggio della motivazione della sentenza dei giudici della Corte d'Assise di Firenze che nel 2012 hanno condannato all'ergastolo (sentenza confermata poi dalla Cassazione) il capomafia Francesco Tagliavia per le stragi del '93 a Firenze, Roma e Milano. E “l'iniziativa (la trattativa, ndr) - sottolineavano i giudici fiorentini - fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia”. Nello stesso periodo il Gip nisseno, Alessandra Bonaventura Giunta, riconoscendo e accogliendo le richieste della Dda della Procura di Caltanissetta definiva l’accelerazione della strage di via d’Amelio figlia di una “trattativa” tra Stato e mafia. “La tempistica della strage - scriveva il giudice - è stata certamente influenzata dall'esistenza e dall'evoluzione della cosiddetta trattativa tra uomini delle Istituzioni e Cosa nostra”. Alla faccia di chi si ostina a definirla “presunta trattativa”.
Ecco allora che le parole intercettate del boss Giuseppe Graviano - con riferimento ai contatti con Berlusconi e alla sua discesa in politica - acquisiscono oggi una ulteriore valenza andando a confermare quanto dichiarato precedentemente da Gaspare Spatuzza “Graviano disse che con Berlusconi e Dell'Utri c'avevamo il Paese nelle mani”.
L’importanza del lavoro del pool di Palermo sul fronte della trattativa Stato-mafia è strettamente collegata all’apertura di queste nuove indagini. Che indubbiamente possono contribuire ad aprire un varco in questo muro di gomma eretto a protezione di “segreti indicibili” tra Stato e mafia. Un varco che può essere ulteriormente aperto con l’avvio del processo “'Ndrangheta stragista” nei confronti di Giuseppe Graviano e Rocco Filippone.
L’imperativo resta quello di sostenere la richiesta di giustizia dei familiari delle vittime della violenza politico-mafiosa come Giovanna Chelli, così come il lavoro dei magistrati che si ostinano a cercare la verità. Che - una volta per tutte - può liberare questo Paese da un ricatto criminale. Solamente con la verità ci potrà essere una vera e propria liberazione figlia di un cambiamento che - così come ricordava Paolo Borsellino - potrà avvenire all’interno di una cabina elettorale con la matita in mano.

Foto di copertina © Guido Mannucci/Massimo Sestini
Foto al centro © Ansa

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