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roberti franco c emanuele di stefano“Sua nomina a Dna sarebbe stata pietra tombale”
di Aaron Pettinari - Video intervento!
"La nomina di Borsellino alla Procura Antimafia avrebbe, altresì, costituito la pietra tombale sulla trattativa Stato-Mafia, che in quei primi giorni di giugno era stata sciaguratamente avviata" e da parte della mafia c'era la consapevolezza di questo. A pronunciare la “parola scomoda” (trattativa, ndr) di fronte al Csm nel giorno delle commemorazioni della strage di via d'Amelio in cui morirono Paolo Borsellino ed i cinque agenti di scorta, è il Procuratore Nazionale antimafia, Franco Roberti. Un'affermazione con cognizione di causa che il magistrato aveva già espresso nel suo libro “Il contrario della paura” (Mondadori), scritto assieme a Giuliano Foschini. Ripetere il concetto, però, in presenza della più alta carica dello Stato assume un valore ancora più grande. Ricordando quegli anni, Roberti ha ricordato l'impressione dell'epoca: “Sembrava si stesse aprendo una nuova stagione per la giustizia del nostro Paese", anche per le indagini su Tangentopoli. Quindi ha ricordato "l'isolamento" in cui si trovarono Borsellino e Giovanni Falcone. Nei loro confronti la sentenza di morte da parte di Cosa Nostra era stata scritta da "molto tempo". Ma la mafia accelerò quando capì cosa avrebbe significato la nomina di Falcone a procuratore antimafia: "intuì che sarebbe stata un pericolo mortale per la sua stessa sopravvivenza". E lo stesso discorso vale per Borsellino. "Di fronte all'incauta dichiarazione del ministro Scotti che dette per certa la sua nomina a procuratore antimafia, Borsellino annunciò la sua rinuncia. Ma il conto alla rovescia era iniziato anche per lui".
I lavori del Plenum, che ha votato all'unanimità la desecretazione degli atti del fascicolo personale di Borsellino, erano stati aperti dal Capo dello Stato, il quale ha per primo ricordato come sulla morte di Borsellino si “deve ancora avere una definitiva parola di giustizia. Troppe sono state le incertezze e troppi gli errori e ancora tanti sono gli interrogativi sul percorso per assicurare la giusta condanna ai responsabili di quel delitto efferato”.
Un concetto ribadito anche dal consigliere Piergiorgio Morosini e soprattutto da Lucia Borsellino: “Abbiamo constatato che la verità non è stata pienamente trovata e che giustizia non è stata fatta dopo 25 anni. Facendo eco alle parole di mia sorella Fiammetta chiedo di fronte a questo altissimo contesto istituzionale che, a fronte delle anomalie emerse e riconducibili verosimilmente al comportamento di uomini delle istituzioni, si intraprendono iniziative necessarie per fare luce e chiarezza su quello che accade veramente nel corso delle indagini che precedettero i processi Borsellino 1 e Borsellino bis”. Una richiesta legittima dopo la sentenza del Borsellino quater dove nel dispositivo si specifica che Vincenzo Scarantino è stato "indotto" a commettere il reato di calunnia. Ma accanto al depistaggio restano inquietanti interrogativi e buchi neri da colmare soprattutto sulla presenza di mandanti esterni che hanno voluto ed ordinato l'attentato.


Isolamento
Quel che è certo è che attorno a Borsellino, così come prima Falcone, vi è stato un forte isolamento da parte delle istituzioni ed anche all'interno della magistratura stessa. Non da tutti però. Ignazio De Francisci, che in passato ha lavorato con Falcone e Borsellino nel pool antimafia dell’ufficio istruzione di Palermo ed oggi è il procuratore generale di Bologna che ha ottenuto dal tribunale di sorveglianza la permanenza in carcere di Totò Riina, intervistato da Il Fatto Quotidiano, ha voluto ricordare come “il giorno dopo la strage in otto pm andammo a casa del procuratore Pietro Giammanco, che ricordo era a letto perché stava male, a consegnargli il documento con cui ci dissociavamo dalla sua guida. Un gesto di responsabilità istituzionale e un atto d’amore verso Paolo”.

Foto © Emanuele Di Stefano

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