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 MG 0582Sul palco i familiari delle vittime di mafia, un unico filo che lega le mancate verità
di Miriam Cuccu e Francesca Mondin - Foto e Video integrale
Nessun minuto di silenzio quest’anno in via Mariano d’Amelio, ma un lungo momento in cui un migliaio di persone hanno scandito i nomi di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Agostino Catalano, uccisi 25 anni fa nella strage del 19 luglio 1992. All’evento organizzato dal Movimento Agende Rosse sono presenti, tra gli altri, Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia, pm del processo trattativa Stato-mafia, Antonio Ingroia, ex magistrato di Palermo, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e quello di Messina, Renato Accorinti, Ferdinando Imposimato, Presidente della Corte di Cassazione, e Giulia Sarti, componente M5S e della Commissione parlamentare antimafia.
Mentre una giovane sul palco canta l’inno d’Italia, sul balcone della famiglia Borsellino campeggiano sei figure di cartone a grandezza naturale: sono quelle del giudice ucciso e dei cinque agenti di scorta. Quasi a voler osservare la folla che applaude attorno al palco ed ai familiari delle vittime. Che, ancora una volta, denunciano l’amara condizione dell’essere defraudati della verità sull’uccisione dei loro cari. Un boato inevitabilmente contrastante con i “silenzi di Stato” ed i “depistaggi” che hanno dato il nome a questa venticinquesima manifestazione, all’ombra dell’ulivo adornato di lettere e fazzoletti colorati piantato di fronte al cancello dove Paolo Borsellino sostò per l’ultima volta.
“In fondo - ha riflettuto Nino Di Matteo, chiamato ad intervenire - le storie di tante vittime di mafia e non solo, e le tante vicende che hanno scandito la storia del nostro Paese sono tutte legate da unico filo. Ed è impressionante ascoltarle nuovamente dalla bocca di chi ha patito in prima persona il dolore dalla morte dei propri congiunti”. Le parole di Angelina Manca, madre dell’urologo Attilio, vibrano di sdegno dopo aver appreso della prossima archiviazione per l’uccisione del figlio, bollata come suicidio per overdose: “Me l’aspettavo, ma vorrei dire a Pignatone (procuratore di Roma titolare dell’inchiesta, ndr) che, se proprio non vuole indagare sulla morte di mio figlio, perché non lo fa sulla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto?”, non solo una città, ma anche “un covo di mafia” dove “mi disgusta incontrare Rosario Cattafi per strada”, personaggio-ponte tra mafia e massoneria e, secondo un pentito, coinvolto proprio nell’omicidio Manca. Per Gianluca, fratello di Attilio, c’è comunque un “filo conduttore che unisce la strage di Capaci e via d’Amelio con altre morti, in Sicilia e a Viterbo” dove Attilio viveva. “La sua vicenda - afferma dal palco - ha in comune con via d’Amelio i depistaggi istituzionali volutamente effettuati”.

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© Emanuele Di Stefano


La lista di depistaggi e verità in perpetua attesa, nella storia italiana, è ancora lunga. C’è l’omicidio del procuratore Bruno Caccia per il quale, dice la figlia Paola, “il processo concluso pochi giorni fa ci ha dato solo un contentino” con una “sentenza poco soddisfacente” perché “a noi interessava conoscere i mandanti”. O l’uccisione di Umberto Mormile raccontato dai fratelli Stefano e Nunzia “accomunati dalla stessa voglia di giustizia e verità”. Le parole di Claudia Loi, sorella di Emanuela, arrivano con una lettera, perché “dopo venticinque anni l’angoscia e il tormento sono ancora presenti e non ho trovato il coraggio di tornare a Palermo”. Luciano Traina, fratello di Claudio, ricorda la dipartita della madre “morta senza avere giustizia per il figlio”, avvenuta proprio a ridosso del 25° anniversario. “In questi 28 anni non mi sono mai stancata di raccontare la storia di Nino e Ida, dice Augusta Schiera, madre dell’agente Nino Agostino ucciso insieme alla moglie Ida Castelluccio. “Non posso morire senza giustizia”, assicura, accompagnata sul palco dal marito, Vincenzo Agostino. Cristina, Salvatore e Antonella Catalano, familiari dell’agente Agostino, per la prima volta salgono sul palco di via d’Amelio: “Mio zio è vivo ancora nel cuore - dice Cristina al pubblico - così come gli altri”. In via d’Amelio c’è anche Massimo Sole, fratello di Giammatteo, che afferma come “è un onore” essere “qui con chi cerca la verità”. Graziella Accetta, mamma del piccolo Claudio Domino accompagnata dal marito Antonio, sottolinea come nonostante “l’omicidio di Claudio sia da inquadrare tra quelli di stampo mafioso” ancora “non vengo riconosciuta come vittima di mafia”. Eppure, aggiunge, “quattro pentiti dicono che il poliziotto ‘faccia da mostro’ si sarebbe vantato dell’omicidio del mio bimbo”. Poi la critica a Lucia Riina, figlia del boss corleonese: “Se proprio vuole il bonus bebè si dissoci dal padre”.


"Queste sono ferite che continuano a sanguinare, soprattutto quando, dopo 25 anni, i processi che si sono succeduti sono stati oggetto di depistaggio da parte di pezzi deviati dello Stato. - dice Salvatore Borsellino - Oggi finalmente una sentenza ha riconosciuto che un balordo di quartiere (Vincenzo Scarantino, ndr) attraverso torture fisiche e psicologiche, è stato indotto alla calunnia e questo certifica un depistaggio di Stato. E’ l'inizio di una svolta. Noi siamo qui a combattere per la verità e la giustizia".
Ed è un treno in corsa quello che ha preso Calogero Montante quando, a processo Borsellino quater in corso, è diventato legale difensore Scarantino, collaboratore poi sconfessato dal pentito Gaspare Spatuzza. “E non è stato un compito facile” assicura, intervenendo insieme all’avvocato di Salvatore Borsellino, Fabio Repici, nel dibattito condotto da Aaron Pettinari, caporedattore di Antimafia Duemila che modera l’evento insieme a Marco Bertelli delle Agende Rosse. “Nello studiare quelle carte mi accorsi subito di alcune stranezze”, aggiunge Montante, come che “di Scarantino tutto si poteva dire fuorché che fosse un uomo capace di prendere parte all’esecuzione di una strage” e poi costruire “un castello accusatorio che resse a due processi ed a diversi gradi di giudizio”. E com’è possibile, si chiede il legale, “che le versioni di Scarantino e Spatuzza in parte coincidano” quasi fossero “due pellicole di uno stesso film, ma una più sbiadita dell’altra?”. “Coincidono, sì, ma non su una parte - afferma Repici - nelle dichiarazioni di Scarantino non è stata inserita nessuna responsabilità di Stato” come “il ruolo di Castello Utveggio” dal quale si ha una visione completa di via d’Amelio, “il depredamento dell’agenda rossa” o “la compartecipazione di uomini di Stato” per la bomba del 19 luglio ‘92. “Il paradosso - commenta - è che chi ha imboccato Scarantino sapeva cosa era accaduto. Scarantino non è un falso pentito, ma vittima di torture di Stato” rimarca Repici, e più precisamente “è la Procura di Tinebra e Boccassini a colpirlo in quel momento”. E sulla recente vicenda dell’ex funzionario Bruno Contrada: "La sentenza mi ha fatto vergognare di essere un operatore della giustizia, Contrada è un pregiudicato per concorso esterno in associazione mafiosa. E smettiamola di vedere la magistratura come un blocco granitico".

Nel commentare poi la recente sentenza del Borsellino quater, Repici si è dichiarato “soddisfatto” poiché “la procura e tutte le parti civili hanno chiesto la condanna di Scarantino, tranne me e Salvatore Borsellino. E la Corte d’Assise l’ha prosciolto” prendendo una scelta “corretta e coraggiosa”. Con questa sentenza, ha confermato Montante, “lo Stato ha inteso in qualche modo processare se stesso e riconoscere che dietro Scarantino c'erano uomini che coscientemente hanno agito per allontanarci dalla verità, e credo che la sentenza abbia contribuito a fare piccolo, ma significativo passo verso la verità”. Che è, secondo Luigi Lombardo, segretario del Siap (Sindacato appartenenti polizia) “un dovere morale ed etico prima ancora che giuridico”.
L’ultimo ricordo di Borsellino spetta a Ferdinando Imposimato, presidente della Corte di Cassazione che conobbe il magistrato negli anni Ottanta: Paolo Borsellino è stato un grandissimo magistrato che ha saputo unire la saggezza all’umiltà”, ucciso insieme a Falcone perché entrambi “iniziarono ad indagare su Gladio”. Poi la dura critica al Consiglio superiore della magistratura: “Dobbiamo avere il coraggio di denunciare il Csm quando sbaglia, perché ha delegittimato Falcone e Borsellino” ribadendo l’urgenza di “dare dei criteri certi nella nomina dei magistrati” che non siano “subalterni al potere politico. Vogliamo magistrati che facciano i magistrati, non che siano stati al ministero”. E ai giovani: “La vostra assenza dalla vita sociale è la fine della speranza per tutti noi. Gli adulti non hanno creato per voi un ambiente accogliente dove la speranza fosse possibile” ma, conclude, “ispiratevi a Paolo, e sia la Costituzione la vostra stella polare”.

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