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ciotti c eikondi Lorenzo Baldo
Per il Gip di Milano le minacce di Riina contro Don Ciotti non potevano avere un seguito all’esterno

“Pur apparendo difficilmente contestabile la forza intimidatrice tipicamente mafiosa evocata dai due interlocutori le frasi pronunciate durante l'ora d'aria da Riina e Lorusso (i quali peraltro non avevano il sospetto di essere sottoposti a controlli auditivi) erano destinate a rimanere prive di qualsivoglia rilevanza esterna” al carcere. Per il Gip di Milano, Anna Magella, il reato di minaccia nei confronti del presidente di Libera non si è quindi concretizzato. L’archiviazione che ne consegue lascia però l’amaro in bocca. Dal canto suo Enza Rando, vice presidente dell'associazione e avvocato dello stesso don Ciotti, si era opposta alla richiesta di archiviazione dell'indagine e aveva chiesto invece di andare avanti “per approfondire il contesto in cui sono nate le minacce, sia per la persona che le ha pronunciate che per i riferimenti a don Pino Puglisi, prete che è stato alla fine ucciso dalla mafia”. La “vera minaccia” non sono le parole di Totò Riina o degli altri mafiosi ma il fatto che “non si fanno le leggi e le politiche giuste”. A pronunciare queste parole era stato proprio il destinatario delle minacce del capo di Cosa Nostra. “Io - aveva sottolineato il fondatore del Gruppo Abele - sono solo un piccolo uomo, non val la pena ammazzarmi. Possono fare fuori una persona, ma c'è un mondo che è cresciuto e cammina da solo anche senza Luigi Ciotti. Io rappresento un noi e sono qui perché altre persone da 20 anni sono vicine a chi fa più fatica”. Ed era proprio nei confronti di chi lavora con Libera e delle associazioni che gestiscono i beni confiscati alle mafie che il pensiero di don Ciotti si rivolgeva. “Sono sinceramente preoccupato che non venga fatto del male a loro e ai ragazzi della scorta, che hanno mogli e figli. Certo, un po' di smarrimento Totò Riina me lo ha provocato, ma noi non possiamo far altro che andare avanti per questa strada: le mafie si battono con la cultura, l'educazione e le confische dei beni”. “Nelle intercettazioni - aveva evidenziato - Riina accenna anche ai beni confiscati. Significa che questa cosa lo ha infastidito molto, perché così facendo ai mafiosi si porta via frutto della loro violenza e del loro potere”. “Non è la prima volta che provano ad ammazzarmi - aveva concluso il prete antimafia -. Possono distruggere la mia vita ma il lavoro andrà avanti”. Parole forti, di chi non teme la morte. Che si contrappongono a quelle sprezzanti e pericolose di uno stragista: “Questo prete è una stampa e una figura che somiglia a padre Puglisi”. E deve fare la stessa fine: “Ciotti, Ciotti, putissimu pure ammazzarlo”. “Salvatore Riina, uscendo, è sempre un pericolo per lui... figlio di puttana”. “È malvagio, è cattivo ha fatto strada questo disgraziato”. “Sono sempre agitato perché con questi sequestri di beni...”. Più che esclamazioni “prive di qualsivoglia rilevanza esterna” queste affermazioni restano a tutti gli effetti veri e propri messaggi che bucano le mura del 41bis e arrivano direttamente all’esterno dove non è dato sapere chi e come può trasformarle in temibili azioni criminali.

Foto © Eikon

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