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Visconti risponde alla Maggiani Chelli ma dimentica le leggi vergogna

Da una parte Giovanna Maggiani Chelli che si è schierata dalla parte di Antonino Di Matteo nel ricordo delle pecche della legislazione antimafia. Dall’altra Costantino Visconti, Professore straordinario di diritto penale nell'Università di Palermo che nei giorni scorsi, dalle pagine del Giornale di Sicilia, ha criticato il magistrato palermitano accusandolo di aver pronunciato una fake news affermando che “i governi di centro-destra e centro-sinistra degli ultimi anni non hanno voluto farsi promotori delle leggi antimafia necessarie”. Nell’affermare ciò Visconti ha ricordato i “pacchetti sicurezza” del 2008 e del 2009 del Governo Berlusconi “che introducevano l’istituto della confisca senza condanna penale a carico degli eredi di un sospetto mafioso deceduto entro cinque anni precedenti all’avvio del procedimento” ed anche la “stabilizzazione nel sistema penitenziario” del cosiddetto “carcere duro” per i mafiosi. Tra gli esempi dei governi di centro sinistra ha ricordato la riforma del reato di scambio elettorale politico-mafioso, per allargarne la capacità punitiva, e l’introduzione del reato di auto-riciclaggio.
Partiamo proprio dal nuovo 416-ter, il voto di scambio politico-mafioso, riformato nel 2014. Una norma così discussa che lo stesso Giovanni Fiandaca (mentore di Visconti) ha definito la norma, in occasione di un convegno, come “una fattispecie nata male”, meglio di prima, ma “non un capolavoro penalistico”. Una formula, quella definitiva della norma, decisamente più attenuata rispetto a quella che lo stesso Senato aveva licenziato qualche mese prima. Così, mentre da una parte si inseriva la formula del voto di scambio punibile se il politico avesse promesso denaro ma anche “altre utilità” (appalti, favori, appoggi, finanziamenti, assunzioni, autorizzazioni, ecc…), dall’altra si sono abbassate le pene  introducendo una condizione impossibile da verificare, che cioé il candidato sapesse del metodo mafioso usato per procurargli i voti. E il risultato è che processi che in primo grado avevano visto la condanna degli imputati, in appello sono stati totalmente ribaltati. Critiche da parte di addetti ai lavori e giuristi non sono mancate anche rispetto alla nuova norma sull’auto-riciclaggio.
Tornando a quanto detto da Antonino Di Matteo al convegno organizzato dal Movimento5Stelle il magistrato ha ribadito che “sono stati fatti dal ’92 ad oggi dei passi in avanti notevoli nella repressione della cosiddetta mafia militare” ma che si deve compiere “un salto di qualità nell’azione di contrasto alla mafia e al sistema criminale integrato mafioso-corruttivo”. Ed è proprio questo l’aspetto che si evidenziava nel convegno, partendo dal presupposto che Mafia e Corruzione sono, oggi più che mai, due facce della medesima medaglia.
Ancor più duro era stato Pier Camillo Davigo, intervenuto allo stesso convegno alla Camera dei Deputati, rinfacciando ai vari governi che si sono succeduti dai tempi di Mani Pulite di aver “reso più difficili le indagini e i processi sulla corruzione” con tanto di “leggi cambiate per fare assolvere gli imputati. Centrodestra e centrosinistra si sono sempre dati da fare non per contrastare la corruzione ma per contrastare le indagini sulla corruzione. Con una fondamentale differenza: il centrodestra le ha fatte così grosse e così male che di solito non han funzionato. Invece il centrosinistra le ha fatte mirate e ci ha messo se non in ginocchio almeno genuflessi”.
Ma come dare torto all’ex presidente dell’Anm e al pm che indaga sulla trattativa Stato-mafia?
Detto del “rinnovato” 416 ter, basta sfogliare il volume della storia per accorgersi dei continui “giochi a ribasso” rispetto al contrasto di certi fenomeni. Un gran numero di leggi vergogna ad personam, ad aziendam, ad mafiam, ad castam e così via, proposte nel tempo. Può essere utile fare alcuni esempi.
Durante il governo Berlusconi 1 fu approvato il “Decreto Bondi”, in cui si vietava la custodia cautelare in carcere (trasformata al massimo in arresti domiciliari) per i reati contro la pubblica amministrazione e quelli finanziari, comprese corruzione e concussione, nel preciso istante in cui stavano per scattare gli arresti per le tangenti Fininvest della guardia di finanza. E in quell’occasione vennero scarcerati 2764 detenuti (di cui 350 colletti bianchi coinvolti in Tangentopoli).
Nel 1995, in pieno governo Dini, era passata la riforma della custodia cautelare con cui veniva abolito l’arresto obbligatorio per associazione mafiosa; veniva accorciata la durata massima della custodia cautelare ed era abrogato l’articolo 371bis (arresto in flagranza del falso testimone).
Con i Governi di centro sinistra (Prodi 1, D’Alema ed Amato 2) vengono accolti due punti del famigerato “papello” di Riina, ovvero quelli in cui si chiedeva la chiusura delle super carceri e la carcerazione vicino le case dei familiari. Così nel 1997 il ministro Flick - con l’appoggio del centro-sinistra e nel silenzio del centro-destra - ha chiuso le supercarceri di Pianosa e Asinara, che facevano impazzire i boss perché, reclusi nelle isole lontani centinaia di chilometri da casa, non riuscivano a comunicare i loro ordini all’esterno tramite parenti e avvocati. Due anni dopo vengono spuntate altre voci con l’abolizione dell’ergastolo. Inizialmente il pacchetto Carotti estendeva il rito abbreviato a tutti i delitti, anche quelli più gravi (stragi mafiose comprese). Accedendo all’abbreviato si ha diritto allo sconto di un terzo della pena e, al posto dell’ergastolo, si rischia al massimo 30 anni. Che poi diventano 20 con i benefici della Gozzini.
Soltanto le fortissime proteste dei magistrati antimafia e dei familiari delle vittime porterà il governo Amato a compiere una retromarcia varando un decreto per il ripristino dell’ergastolo per i delitti più gravi.
Nel 2001 un nuovo colpo in arrivo con la Riforma della legge sui collaboratori di giustizia. Anche questa era una richiesta inserita nel papello.
Il governo Amato (ministro della Giustizia Piero Fassino), sempre col consenso del centro-destra, stravolge quella che era stata una conquista di Falcone e Borsellino, riducendo i benefici per i pentiti, adottando una serie di sbarramenti per l’accesso al programma di protezione e riducendo a sei mesi la tempistica entro cui poter rilasciare dichiarazioni ai magistrati.
Nel 2002 il governo Berlusconi fa approvare la legge 279 che trasforma il 41bis da provvedimento straordinario, rinnovato di semestre in semestre in via amministrativa dal ministro della Giustizia, in una misura stabile dell’ordinamento penitenziario. Pare un durissimo attacco alla mafia ma la verità è che la nuova legge sortisce l’effetto opposto. Così centinaia di boss otterranno la revoca del 41bis dai Tribunali di sorveglianza sfruttando le difficoltà interpretative della nuova legge. Inoltre, se prima era difficilissimo per i boss far revocare il 41bis, visto che i tempi dei ricorsi erano più lunghi di quelli delle proroghe semestrali, e ogni volta bisognava ricominciare daccapo, da quando il regime carcerario è definitivo c’è tutto il tempo per chiedere e ottenere l’annullamento del carcere duro.
Nel dicembre 2009 (sempre governo Berlusconi) viene approvata una legge finanziaria per il 2010, che consente la vendita all’asta di tremila immobili confiscati alle mafie, destinando la metà dei proventi al ministero dell’Interno e l’altra metà al ministero della Giustizia. Si tratta di immobili che non possono essere destinati “a finalità di pubblico interesse”. Una legge che viene criticata da magistrati, opposizioni e associazioni antimafia in quanto si permette ai prestanome dei mafiosi di partecipare alle aste pubbliche e permettere così il riacquisto del bene. Questi sono solo alcuni esempi. Insomma, è vero che sono stati compiuti importanti passi avanti nel contrasto alla lotta alla mafia. Ma la strada per arrivare all’eliminazione definitiva, finché non verrà alzato il livello nel contrasto contro i colletti bianchi, la corruzione ed il sistema criminale integrato è tutt’altro che in discesa.

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