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provenzano bernardo eff ppdi Lorenzo Baldo
“Lei, in qualità di moglie di Bernardo Provenzano, e' l'unica che mi potrebbe aiutare a cristallizzare la verità sulla morte di mio figlio, Attilio Manca. Suo marito era in procinto di parlare, ma è stato selvaggiamente picchiato e messo a tacere per sempre; quindi la esorto a continuare lei la collaborazione impedita a suo marito”. Le parole di Angela Manca il giorno prima del 25° anniversario della strage di Capaci vanno dritte al cuore. L’appello rivolto alla moglie di Provenzano riaccende un film sulla possibile collaborazione di Bernardo Provenzano abortita sul nascere.

Provenzano vuole parlare? Fermiamolo!
Il 3 luglio 2012 l’allora europarlamentare Sonia Alfano (nonché Presidente della Commissione antimafia europea) e il senatore Beppe Lumia avevano incontrato nel carcere di Parma Bernardo Provenzano (detenuto al 41bis). La Alfano aveva chiesto a Provenzano se si ricordasse di un giovane medico di nome Attilio Manca, se l'avesse operato alla prostata o se l'avesse curato nei mesi successivi. Provenzano aveva risposto: “hama metteri 'nmezzu autri cristiani?”, dobbiamo mettere in mezzo altre persone? Dichiarazioni decisamente forti. Che non hanno, però, portato a importanti seguiti investigativi. Di fatto quello era il secondo incontro tra Provenzano, la Alfano e Lumia. Il primo era avvenuto l’ultima settimana di maggio del 2012. In quella occasione erano trapelate altre indiscrezioni sul breve dialogo intercorso. I due esponenti politici si erano recati nel carcere di Parma dopo il misterioso tentativo di suicidio del 9 maggio di quell’anno, quando il padrino aveva cercato di infilare la testa in un sacchetto di plastica. Dopo aver stabilito un iniziale contatto informandosi sul suo stato di salute Lumia e la Alfano lo avevano esortato a collaborare e l’anziano boss aveva replicato in siciliano stretto: “I miei figli non devono andare al macello, fatemi parlare con loro e poi sarà la volontà di Dio”. Una settimana dopo davanti a Provenzano si erano presentati il pm Antonio Ingroia e il suo collega Ignazio De Francisci. Il 17 dicembre 2012 il Corriere della Sera aveva pubblicato uno stralcio di quel botta e risposta. “Fare male non m’è mai piaciuto e non mi piace”, aveva risposto il capo di Cosa Nostra alle sollecitazioni di Ingroia e De Francisci su un possibile “pentimento”. “Per dire io la verità – aveva spiegato il boss in dialetto – avissi a parrari male di cristiani, scusatemi”. E ancora: “Ci sono cose che… portano tutto questo male che vede”. Per poi osservare: “Noi dobbiamo parlare bene se non abbiamo ricordi”. Dal canto suo Provenzano aveva ammesso il viaggio in Francia in automobile per sottoporsi a un’operazione alla prostata, senza ricordare, però, i particolari del suo arresto. Ai due magistrati disse di non ricordare nemmeno se furono i poliziotti o i carabinieri a catturarlo: “Pi mia a stessa cosa sunnu”. L’anziano boss aveva ugualmente confermato la conoscenza con l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino. “Lo conoscevo perché era paesano mio, u sapi è inutili che ci dico”. Alla fine i magistrati gli avevano chiesto: “Ma se fosse fuori dal carcere parlerebbe?”. Lapidaria la risposta: “Non lo so, se u sapissi u dicissi”. Ingroia ricorda bene quell’incontro. "Ci andammo dopo che ci era stato trasmesso il verbale di Sonia Alfano e Beppe Lumia. Ero convinto che Provenzano fosse sul punto di collaborare. Noi formalmente lo sentimmo come persona informata sui fatti proprio per capire cosa ci fosse dietro quel tentativo di suicidio (quell’interrogatorio fu poi dichiarato nullo dal Gip Piergiorgio Morosini in quanto era avvenuto in assenza dell’avvocato difensore di Provenzano, nda). Non era un atto investigativo. Siccome lui cominciava a parlare (o a biascicare qualcosa) costituiva una traccia importante di una possibile apertura. Che però si è chiusa quasi subito. Ci sono stati poi gli interventi dei figli di Provenzano… nessuno voleva che Provenzano parlasse: questa è la verità. Nessuno, tranne rari esponenti delle istituzioni tra cui noi dalla Procura di Palermo e pochissimi altri. Anch’io ebbi la sensazione che lui avesse paura di parlare di qualcosa… Quando gli chiesi se avesse avuto delle verità da raccontare, aggiungendo che noi eravamo lì pronti ad ascoltarlo, mi fece una battuta simile a quella della Alfano, del tipo: ‘dobbiamo mettere in mezzo altre persone?’".*
Resta la certezza che se Provenzano avesse rivelato agli investigatori qualche “dettaglio” della sua quarantennale latitanza protetta da pezzi “deviati” dello Stato, probabilmente questo stesso Stato avrebbe subìto una sorta di tsunami a catena. Che quindi è stato – volutamente – evitato.
Le parole di Angela Manca rimbalzeranno su un muro di gomma, o riusciranno a penetrarlo? “Lo faccia per i suoi figli – chiede Angelina concludendo la sua lettera – per la sua coscienza, per chi da decenni aspetta un briciolo di verità. Io sono fiduciosa. Confido nel suo cuore di madre, che sicuramente comprenderà il dolore che ho per la perdita di un figlio, ma soprattutto l'impotenza di potergli rendere la giustizia che merita”.

*fonte “Suicidate Attilio Manca”

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